LA SIMBOLOGIA DEL TETRAMORFO, TRA ESEGESI ED ICONOGRAFIA

di Alessandra Leo

Alatri (FR), Palazzo Conti Gentili  7 giugno 2008

Con il termine Tetramorfo, la cui etimologia deriva dall’aggettivo greco τετράμορφος composto di τετρα (quattro) e μορφή (forma), si indica l’essere mostruoso che, nell’Antico Testamento, viene descritto nella famosa apparizione del "carro del Signore" di Ezechiele 1, ulteriormente ripreso nell’immagine dei cherubini del capitolo 10.

Le quattro entità mostruose di Ezechiele derivano dalla descrizione dei serafini di Isaia 6, 1-3, dove si vedono questi esseri, con volto, piedi, mani e sei ali che si librano attorno al trono di Dio e che cantano il Trisàghion di lode

Nella sua visione Ezechiele semplifica la descrizione riducendo il numero delle ali, infatti, assegna a ciascuno degli esseri quattro ali, due raccolte in alto e due piegate verso il basso, completamente ricoperte di occhi; da sotto le ali spuntano delle mani, mentre le gambe sono di vitello.

Tuttavia la coincidenza di ali, mani e piedi con i serafini e il modo molto simile in cui i due profeti descrivono la posizione delle ali, rende possibile l’identificazione tra i due diversi tipi di essenza. Il sostantivo sĕrāphīm che ricorre in Is 6, 1-3 solo al plurale, sembra derivare dall’aggettivo sāraph (ardere, bruciare). Quando si trova al singolare, il nome designa delle specie di serpenti mandati da Dio per punire gli ebrei.

Le entità descritte sono menzionate spesso nella Bibbia come kĕrūbhīm. Questo nome è di etimologia incerta, ma è forse collegabile all’accadico Karabu, cioè benedire. Esse trovano quindi riscontro nelle immagini dei Kâribu assiri, gli animali mitici dalla testa umana, il corpo di leone, le zampe di toro e le ali di aquila, le cui statue erano poste a custodia dei palazzi babilonesi.

Per scoprire l’origine dei misteriosi animali di cui parla Ezechiele nelle sue visioni dobbiamo ricondurci al modo antico di concepire il mondo. Secondo le vecchie cosmogonie, infatti, il firmamento era una volta solida, posta sopra al mare, che poggiava sui quattro punti cardinali, rappresentati solitamente da quattro costellazioni: il toro, il leone, l’aquila e l’uomo (ossia il sagittario, l’arciere) collocate ai quattro punti cardinali dello zodiaco.

L’Apocalisse di Giovanni, composta tra il 70 e il 100 d.C. circa, operando una fusione tra le due fonti profetiche, le adatta alla composizione della rivelazione del "gran giorno" di Dio che inizia nel capitolo 4.

Rispecchiando la cosmologia ebraica del suo tempo, Giovanni collega i quattro Esseri Viventi (che il testo riporta come zôdia, mentre in latino è tradotto come animalia) agli angeli che reggono il mondo; il numero quattro è altresì una cifra cosmica (i quattro punti cardinali, i venti). Questi quattro Esseri Viventi rappresentano, quindi, la totalità della creazione e accompagnano sempre, emblematicamente, il manifestarsi della divinità.

L’affinità della visione di Ap 4 con Ez 1 appare evidente, eppure si può notare come qui i quattro esseri viventi non sono più i quattro tetramorfi similari di Ezechiele, ma sono creature alate del tutto indipendenti tra loro, con quattro singoli volti: di uomo, di leone, di vitello e di aquila

I Padri della Chiesa, a partire dal II secolo con Ireneo di Lione, riconosceranno in questi esseri le figure degli Evangelisti, anche se l’assegnazione di una particolare creatura simbolica ad ognuno di essi rimarrà a lungo un problema aperto.

Nel II secolo d.C. Ireneo vescovo di Lione (130-202c.), nei cinque libri dell’"Adversus Haereses", diede per primo l’interpretazione di un vangelo tetramorfo in collegamento con i quattro Esseri Viventi dell’Apocalisse di Giovanni. E’ stato, infatti, il primo scrittore a parlare di un «vangelo quadriforme» costituito dai quattro testi canonici e a riconoscere la rivelazione universale di Dio agli uomini attraverso gli scritti evangelici.

Per Ireneo il Vangelo è unico, ma tetramorfo e il primo riferimento scritturistico al quale rinvia riguarda proprio la visione del carro divino di Ezechiele 1 nella quale il profeta riconosce l’immagine di quattro Esseri Animati, che richiamano i serafini di Isaia e che rappresentano i vertici delle gerarchie angeliche. I Vangeli, quindi, alla maniera dei cherubini, sono considerati come i pilastri spirituali sui quali poggia il mondo. Mostrando poi ognuno quattro facce, essi riflettono un quadruplice messaggio nonché un aspetto di Cristo: il leone la sua potenza vincente, il vitello il suo supremo sacrificio, l’uomo la sua incarnazione ed infine l’aquila, l’effusione dello Spirito santo dall’alto.

Ireneo per assegnare ad ogni Evangelista un suo volto specifico, fa ricorso all’Apocalisse di Giovanni (4, 6-8), dove le quattro figure che reggono il trono, sono rappresentate indipendenti tra loro. I Vangeli, rispecchiano le qualità specifiche di Cristo che ha, come gli animali simbolici, quadruplice carattere.

L’interpretazione di Ireneo prende come riferimento il prologo di ogni Vangelo, perché crede che proprio dall’avvio di ognuno di essi è possibile trarre il simbolo. Riguardo quest’osservazione è anche significativo il fatto che nell’antichità, se un’opera conteneva più libri, si designava ciascuno di essi, invece che con un titolo o un numero d’ordine, tramite le prime parole del testo.

L’associazione degli Evangelisti con i quattro Esseri Viventi sarà per alcuni secoli un problema che occuperà diversi esegeti perché, da Ireneo in poi, gli autori cristiani che tratteranno questo argomento proporranno delle varianti determinanti per la sequenza simbolica, che diverrà tradizionale in occidente, soprattutto grazie al contributo dell’iconografia.

Anche nel commento di Ambrogio di Milano (339/340-397) al Vangelo di Luca, redatto circa due secoli dopo, troviamo nel prologo la spiegazione del legame che è possibile stabilire tra i Vangeli e le quattro figure di animali che li rappresentano.

Egli, per valorizzare questi simboli, oltre a far ricorso a spiegazioni che derivano direttamente dall’esperienza, si rivolge anche alle Scritture; ad esempio, per la figura del leone, utilizza alcuni versetti del Libro dei Giudici, della Genesi e dell’Apocalisse, nei quali è sempre visto come l’animale più forte. La medesima cosa avviene per l’aquila, vista come un animale che non invecchia mai, ma che anzi recupera sempre le forze e inizia ogni volta quasi una nuova vita. È necessario, tra l’altro, notare come quest’animale tra gli esegeti non sempre simboleggerà la risurrezione. Alcuni autori, infatti, la interpreteranno anche come mezzo per raggiungere le vette più alte della conoscenza, essendo in grado di arrivare col suo volo ad altezze vertiginose.

Sarà però grazie all’autorità di Girolamo (340-419c) che, alla fine del IV secolo, verrà assegnato in modo definitivo ad ogni Evangelista il suo animale simbolico. Nel "Commento al Vangelo di Marco" le profezie di Ezechiele con la figura dei quattro esseri animati con quadruplice volto, riprese nelle visioni dell’Apocalisse come esseri autonomi, vengono citate per assicurare a ciascuno la propria immagine simbolica.

La medesima interpretazione si ritrova anche nel prologo del "Commento al Vangelo di Matteo" dove approfondisce il legame tra i simboli e gli Evangelisti considerando le visioni profetiche di Ezechiele e dell’Apocalisse per spiegare l’opportunità di accogliere solo i quattro Vangeli, respingendo gli scritti apocrifi come leggendari e quindi eretici.

Sarà questa successione simbolica che si diffonderà da questo momento in poi e le coppie che derivano dalla sua interpretazione saranno le seguenti: Matteo/uomo, Marco/leone, Luca/vitello e Giovanni/ aquila.

Dissentirà da questa linea interpretativa Agostino (354-430). Egli nell’associare a Matteo la figura del leone, modifica la simbologia adottata fino a quel momento e motiva la sua interpretazione dicendo che coloro che prima di lui avevano assegnato la figura del leone a Matteo erano caduti in errore perché avevano prestato attenzione solo al prologo dei Vangeli e non al loro piano d’insieme. Per il vescovo di Ippona sembra molto più coerente vedere raffigurato con il leone colui che sottolineò la persona regale di Cristo, mentre assegna il simbolo dell’uomo a Marco, perché nel suo scritto si occupa delle cose compiute da Cristo come uomo(Matteo/leone, Marco/uomo, Luca/vitello e Giovanni/ aquila).

Sebbene fino a questo momento tutte le esposizioni che si sono succedute abbiano di continuo indicato, seppure in modo non sempre esplicito, il riferimento ad una interpretazione cristologica dei quattro esseri, bisognerà arrivare al VI secolo, con Gregorio Magno, papa dal 590 al 604, per vedere affermata questa interpretazione.

Egli torna a vedere nei simboli degli evangelisti, come già aveva fatto Ireneo, l’emanazione della divinità di Cristo che attraverso questi quattro testimoni si svela agli uomini dando loro modo di uniformarsi alla sua predicazione attraverso i quattro testi evangelici.

Egli segue la linea interpretativa stabilita da Girolamo e già canonica, e ribadisce che l’assegnazione dei simboli animali agli Evangelisti deve essere fatta tenendo conto delle introduzioni dei Vangeli. La sua attribuzione è, inoltre, rafforzata dall’assegnazione a questi simboli dei quattro eventi salvifici del Nuovo Testamento: incarnazione, sacrificio, risurrezione e ascensione.

La parabola delle attribuzioni può dirsi conclusa con Gregorio Magno che vide, come aveva fatto per primo Ireneo, questi simboli in riferimento a Cristo. Non va, in ogni modo, sottovalutato il fatto che Gregorio, papa di Roma, sia stato anche solo in parte influenzato, nella sua riflessione, dalla visione degli straordinari mosaici presenti nelle basiliche più importanti della città, al centro dei quali è il Signore che ritorna sulle nubi o, al suo posto, la croce gloriosa, l’agnello o il trono, circondato dai quattro animali simbolici. Questi con le loro qualità peculiari sono in grado, per Gregorio, di mostrare il carattere di Cristo.

L’iconografia sui simboli degli evangelisti è stata soggetta ad uno sviluppo estremamente ricco e molteplice soprattutto nell’arte paleocristiana. La rappresentazione del tetramorfo riprende certamente il passo con la visione del "carro di Dio" di Ezechiele, tuttavia, le versioni a noi note recepiscono soprattutto le varianti di tale tema nella ripresa che ne fa l’Apocalisse di Giovanni. In maniera più precisa vediamo che Ezechiele ci descrive quattro viventi tutti cosparsi d’occhi, ciascuno con quattro ali, quattro volti (uomo, leone, vitello, aquila) e quattro ruote. Egli si richiama ad Isaia che ci presenta dei serafini, di numero incerto e con sei ali.

L’Apocalisse, infine, operando una fusione tra le due fonti crea quattro viventi indipendenti tra loro, con quattro singoli volti (come quelli di Ezechiele) e con sei ali cosparse d’occhi (come in Isaia).

Nei primi secoli dell’era cristiana i padri della Chiesa vollero riconoscere in questi esseri le figure dei quattro evangelisti disposti intorno a Cristo che siede sul trono nel giorno del suo ritorno glorioso alla fine dei tempi (Parusia).

Il primo esempio noto con l’immagine del Cristo dentro una mandorla attorniato dal tetramorfo è quello che si trova in un pannello ligneo della porta della basilica di Santa Sabina, databile al 422-432.

Nella scena è presentato in alto Cristo trionfante, giovane e a figura intera, con ai lati le lettere apocalittiche Alfa e Omega e nella mano sinistra un cartiglio sul quale è inciso IXΘYC (pesce), l’acrostico greco utilizzato dai primi cristiani come segno di riconoscimento che veniva letto come “Іησοΰς Χριστòς θεοΰ υίòς Σωτήρ” (Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore).

La figura di Cristo è inserita all’interno di un clipeo-mandorla al cui esterno sono posti i quattro animali alati del tetramorfo che, letti in senso orario, rispettano l’ordine dato da Ireneo nel II secolo (aquila,leone,vitello,uomo/angelo). La scena si conclude in basso dove, sotto un cielo stellato in cui ci sono anche il sole e la luna, si trova una donna velata ed orante, forse Maria, con ai suoi lati Pietro e Paolo che reggono un piccolo clipeo con il monogramma costantiniano.

La traduzione in immagini del capitolo 4 dell’Apocalisse con i quattro animali distinti che fanno parte della visione del trono e di Colui che vi sta assiso, rappresentato anche dalla croce gloriosa o dall’agnello, troverà maggiore espressione nei mosaici che, dall’inizio del V secolo, decoreranno i catini e gli archi absidali (che diverranno trionfali nel medioevo) delle basiliche paleocristiane.

La prima raffigurazione nota è quella del mosaico dell’abside di Santa Pudenziana a Roma, eseguito molto probabilmente negli anni del pontificato di Innocenzo I (401-417), quindi agli albori del V secolo. Nel suo insieme il mosaico, nonostante i cospicui restauri di cui è stato fatto oggetto, raffigura Cristo in mezzo all’assemblea degli apostoli chiusa all’estremità da due figure femminili generalmente interpretate come la Chiesa dei Giudei e la Chiesa dei Gentili. Più in alto, in mezzo ad un cielo solcato da nubi rosse e violacee, emergono le figure dei quattro evangelisti, descritte nella visione di Ezechiele e nell’Apocalisse, ognuno con sei ali, come riportato nel testo giovanneo, ma ancora privi di libri o di rotuli, che si dispongono ai lati di una grande croce gemmata posta sulla cima di un monte roccioso.

In quello che può essere definito il più bel cielo che ci abbia tramandato l’antichità appaiono, dunque, per la prima volta gli animali che rappresentano simbolicamente gli evangelisti.

Questi esseri maestosi sono disposti da sinistra a destra, ma non secondo l’ordine della visione apocalittica nella quale appaiono il leone, il vitello, l’uomo e l’aquila. Nel mosaico questa disposizione può dirsi rispettata solo se si dà la precedenza alla coppia centrale, vale a dire al leone e al vitello, rispetto agli altri due esseri, l’uomo e l’aquila, che si trovano alle estremità.

La successione in realtà viene ad adeguarsi all’ordine dei vangeli che in quegli anni appariva nel testo della Vulgata redatta da Girolamo sul finire del IV secolo e che, in seguito, diverrà canonica.

Dopo queste prime raffigurazioni la scena ben presto si trasferirà verso gli archi absidali lasciando il Cristo parusiaco nel catino e conservando nella raffigurazione solo il trono etimatico. Il mosaico dell’arco anticipa il mistero celebrato sull’altare.

L’esempio più rilevante lo ritroviamo nel mosaico dell’arco absidale della basilica romana dei Santi Cosma e Damiano, ricavata, sotto il papa Felice IV (526-530), adattando ad aula la biblioteca pubblica del Foro della Pace e servendosi come vestibolo dell’adiacente Rotonda di Massenzio (Tempio di Romolo).

Molte incertezze restano sulla datazione esatta da attribuire a questo mosaico perché l’opera ci è giunta decurtata delle estremità dove erano raffigurati due dei simboli degli evangelisti e i ventiquattro vegliardi che offrivano a loro corone a mani velate. Ispirata direttamente dal libro dell’Apocalisse, dell’originaria decorazione si conserva oggi solo il mare di cristallo, l’agnello mistico sul trono con la croce e con il rotulo con i sette sigilli in un clipeo al centro di sette candelabri, quattro angeli, l’aquila di Giovanni a destra e l’uomo (angelo) di Matteo a sinistra.

Presentano ognuno quattro ali, come in Ezechiele, e recano con loro per la prima volta i testi evangelici. Gli antecedenti di quest’opera vanno ricercati nel mosaico della facciata dell’antica basilica di San Pietro in Vaticano e in quello dell’arco trionfale della basilica di San Paolo fuori le mura, costruita nel 385, e fatta decorare da Galla Placidia durante il pontificato di Leone Magno (440-461).

Il rifacimento dell’arco avvenuto sotto il papato di Leone sembra attestato dalla constatazione fatta dopo il distacco del mosaico in seguito all’incendio del 1823, quando fu riscontrato che l’arco appoggiato alle colonne non era di prima costruzione. Nella parte superiore possiamo vedere che ai lati del busto di Cristo si librano, emergenti da sottili e stilizzate nuvolette rosse, verdi ed azzurre, i simboli degli evangelisti nel seguente ordine: vitello, uomo, leone ed aquila. Tutte le figure reggono, per la prima volta, un codice dalla copertura gemmata ed hanno la testa circondata da un nimbo.

Questa sequenza è la stessa che ritroviamo anche nel mosaico di Santa Maria Maggiore dove nel registro superiore dell’arco trionfale, al di sopra del clipeo entro il quale campeggia un ricco trono gemmato, possiamo vedere le figure alate dei quattro Evangelisti. Questa raffigurazione che si proietta su un fondo d’oro, allude chiaramente all’Etimasia, perché il trono è quello preparato per l’avvento di Cristo nel giorno del Giudizio.

L’esito finale di queste prime forme iconografiche è dato dal mosaico presbiteriale della basilica di San Vitale a Ravenna realizzato nel VI secolo. E’ la prima volta, infatti, che i simboli sono esplicitamente associati ad ognuno degli Evangelisti. Questi hanno tra le mani il testo che li identifica e, sul loro capo, appaiono i quattro simboli, secondo l’interpretazione data da Girolamo.

Tutto ciò è volto a dimostrare il parallelismo esistente tra ciò che si trova riportato negli scritti esegetici e le immagini che compaiono nelle decorazioni musive delle prime basiliche paleocristiane, erette soprattutto a Roma.

Una prima lettura iconografica ha evidenziato che le prime immagini realizzate all’inizio del V secolo, erano completamente indipendenti dalla letteratura che fino a quel momento era stata prodotta e che attribuiva gli esseri viventi di Ezechiele e dell’Apocalisse agli Evangelisti. Queste forme traducevano i testi biblici senza correlare direttamente i simboli animali ai redattori dei quattro Vangeli. Appaiono, infatti, sempre in un contesto apocalittico all’interno dei catini absidali, sono sempre provvisti di ali che variano secondo le scene da due a quattro a sei, ma sono privi dei libri o rotuli e non seguono l’ordine della visione biblica. Questa situazione cambierà nel momento in cui si affermerà la linea interpretativa basata sull’opera di Girolamo nella quale gli animali simbolici saranno definitivamente legati ai quattro Evangelisti. Da quel momento in poi le immagini, sebbene ancora legate alle raffigurazioni della visione del trono di Cristo, saranno provviste dei libri evangelici e si trasferiranno verso gli archi absidali.

Nei secoli successivi le scene dell’Etimasia saranno lentamente abbandonate e gli animali del tetramorfo ricorreranno sempre più come mero attributo dei quattro Evangelisti perdendo ogni connotazione apocalittica.

 


Alessandra Leo - Laureata in "Storia dell’Arte" e in "Scienze Storico-Religiose" presso l'Università "La Sapienza" di Roma. Inoltre ha conseguito il Diploma di Merito per il superamento del "Corso speciale di iniziazione alle antichità cristiane" tenuto presso il Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana di Roma.


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up. 23 giugno 2008

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