La mattina del 26 gennaio 2012, penultimo giorno di caccia vagante alla selvaggina migratoria (nel mio caso, tordi) con l’ausilio del cane. All’alba mi accingo a raggiungere il mio sito di caccia a quasi due chilometri da casa. Scendo la prima rampa di scale di casa e apro la porta di accesso all’orto, i miei due "breton": Brick (l’anziano ) e Rex (il giovane) sono già vicino alla soglia che uggiolano, contenti saltano sul fuoristrada che si sta scaldando. Dopo pochi minuti sono sul luogo, il cielo terso e l’aria fredda fanno ben sperare in una giornata ricca di selvaggina. Per raggiungere la postazione devo scendere in fondo ad un oliveto composto da quindici balse e giungere vicino ad un piccolo querceto circondato da anfratti, olivi abbandonati, rovi e così via. Un posto abbastanza impervio ove se non hai dei cani ben addestrati e una discreta mira (sono moltissimi anni che bazzico questo posto) penso proprio che si rischi di rimanere a carniere vuoto.
E’ l’alba, odo il primo zirlo, ma non scorgo nulla, dopo poco, odo il secondo zirlo. Un tordo sfreccia veloce sulla sinistra del querceto verso le balse dell’oliveto, un colpo ed è centrato in pieno. Rex osserva e parte velocissimo per il recupero, cinque secondi ed ecco un altro tordo uscire dal centro del querceto. Secondo colpo e giù, anche questo è abbattuto, Brick parte sotto il mio incitamento per il recupero, Il tordo è a sette metri da dove ho sparato. Nel mentre giunge Rex con il primo tordo in bocca, si siede, me lo lascia tra le mani e aspetta il solito premio (biscottino a forma di osso del quale è golosissimo). Giunge Brick, stessa prassi, ma prima di ricevere il biscotto si accascia al suolo, sbava, la testa ha dei movimenti inconsueti, trema, rantola. Mi accorgo che si tratta di un malore grave. Dal mio zaino prendo due siringhe e gli inietto altrettante dosi di cortisone (Bentelan). La situazione rimane la stessa, anzi, peggiora. E’ critica. Decido di portarlo immediatamente dal veterinario, ma l’ambulatorio è ancora chiuso, lo contatto telefonicamente, mi dice di andare in ambulatorio con l’assicurazione che mi raggiungerà al più presto. In preda all’angoscia prendo Brick in braccio, pesa maledettamente e, poi, tutte quelle balse in salita. La strada sembra interminabile. Sudo in maniera incredibile. Dopo circa quaranta minuti giungo a casa, accompagno Rex nella cuccia e riparto immediatamente. All’ambulatorio di Giiuliano di Roma, il dott. Fabrizio purtroppo conferma la mia diagnosi: ictus cerebrale irreversibile. Tra le lacrime decido per l’eutanasia. Anche Il dottore è dispiaciuto (l’aveva in cura da 13 anni) e, commosso, mi rende il collare. Brick mi guarda per l’ultima volta, tremando, lo accarezzo, scoppio di nuovo a piangere, è come se avessi perso un familiare. Il dottore, visto il mio stato, mi manda via dicendomi di tornare alle 16,30 per ritirare la documentazione di rito. Durante il ritorno, tra le lacrime, non ho fatto che pensare a quello sguardo, a quell’ultima carezza, all’ultimo riporto… Ciao… Addio…. Mio fedelissimo! Non potrò mai dimenticarti! Maurizio Iorio, 19 febbraio 2012
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up. 27.2.2012
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