Il grande scrittore ottocentesco
russo, Turgenev, ci perdonerà di aver utilizzato il titolo del suo più
celebre romanzo, insigne opera della letteratura d’ogni tempo, non
soltanto russa, per introdurre quello che, speriamo sia soltanto il primo
di una serie di racconti, aneddoti, memorie e scritti diaristici relativi
all’Arte sacra alla dea greca Artemide. La Diana dei Romani.
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Maurizio Iorio
racconta ... |
Senza scomodare le pitture
rupestri di Altamira o Lescaux, possiamo con certezza affermare che forme
d’arte e la letteratura relativa alla caccia sono antiche quanto il genere
umano. Ed in molti casi trattasi di capolavori assoluti della cultura
universale. Il grande Imperatore Federico II di Svevia (1194-1250), lo "Stupor
Mundi", scrisse uno famosissimo libro, poi illustrato con splendide e
realistiche miniature naturalistiche, intitolato "De arte venandi cum
avibus". Che trattava della caccia mediante i suoi amati falconi. Lo
stesso famoso romanzo "Moby Dick" (1851) del romanziere americano Hermann
Melville (1819-1891), è un opera certamente sul mare e sull’Uomo ma anche
sulla caccia. In quel caso alla Balena Bianca. Una caccia ed una lotta,
allegoria del titanico scontro tra il Bene ed il Male.
Ivan Sergeevic Turgenev
(1818-1883), scrittore russo del XIX secolo. Divenne conosciuto
in tutta Europa con "Memorie di un cacciatore", del 1852.
Altri romanzi sono "Rudin" del 1856, "Un nido di nobili"
del 1859, "Padri e figli" del 1862, "Fumo" del 1867 e
"Terre Vergini" del 1877. Tra i suoi numerosi racconti sono
da ricordare "Primo amore" (1860), "Acqua di primavera"
(1872) e "Clara Milic" (1882). Nei romanzi prevale
l’interesse e l’impegno per i vari aspetti sociali ed umani
dell’esistenza, nei racconti indulge sull’intreccio narrativo. Abile
nel creare suggestive e straordinarie atmosfere psicologiche. |
Già in altre occasioni avemmo modo
di sottolineare come, al giorno d’oggi, parlare di caccia non è sempre
facile. Questo perché, tutto quello che ha a che fare con l’attività
venatoria, viene ritenuto"politicamente scorretto". "Cacciato dal
salotto buono di certi intellettuali ed ambientalisti alla moda, che
strepitano contro i cacciatori onesti e poi, magari, l’ambiente lo
inquinano di più loro con le proprie costose automobili. Oppure costruendo
ville su spiagge incontaminate o, peggio ancora, obbrobriose centrali
eoliche sventrando montagne, con la scusa che non emettono gas di scarico".
A scanso di equivoci, e per
rimarcare l’assoluta imparzialità, è bene sapere che chi scrive non è un
cacciatore e che non ha mai cacciato in vita sua (a parte le zanzare).
Ritiene di essere un amante della Natura, soprattutto delle Montagne, ma
non un fanatico di certo ambientalismo apocalittico. Per dirla tutta, non
mi piace nessun "ismo".
Più volte abbiamo ribadito di
ritenere che la caccia non sia soltanto "uccisione di animali (quasi tutti
di allevamento e liberati per il ripopolamento dagli stessi cacciatori)".
Ma che consista anche in altro. Ricollegandoci alle "Memorie di un
cacciatore" ed a quanto detto all’inizio, presentiamo un breve scritto di
Maurizio Iorio, già presidente dell'associazione cacciatori nato a
Roma, ma da tempo immemorabile santostefanese, proprio su una sua
esperienza di caccia.
TORDI: IL GIORNO DOPO LA NEVE |
L’INCREDIBILE RIENTRO |
Avevo preso due giorni di ferie in quanto il mese
di gennaio stava per terminare e la chiusura della stagione
venatoria era prossima.
Il martedì sera, dopo cena, mi accinsi a
preparare la cartucciera seguendo ansiosamente le condizioni del
tempo: il meteorologo prevedeva neve anche a basse quote. Infatti
così fu.
La mattina del mercoledì mi svegliai all’alba.
Dopo aver fatto colazione uscii di casa ed osservai il cielo.
Nevicava copiosamente.
Non potendo andare a caccia (sono un tipo che
rispetta le regole) passai la mattinata al bar a discutere del più e
del meno con il mio amico Franco. Appassionato videoamatore. Lo
invitai, dopo pranzo, ad eseguire delle riprese in un luogo dove
pratico la caccia ai tordi ed alle beccacce. Lui accettò senza
batter ciglio perché, mi spiegò, il suo repertorio era orfano di
scene con la neve. Quando giungemmo sul posto erano circa le 15.00.
La sfortuna volle che la batteria di
alimentazione della telecamera fosse scarica. Infatti le riprese
durarono circa quaranta secondi. Doppia sfortuna! Anche la batteria
di riserva si rivelò scarica. Decidemmo, allora, di rimandare il
tutto al pomeriggio del giorno successivo e di fermarci una mezz’ora
per vedere se fosse rientrato qualche tordo.
Fu un continuo zirlare. Due, tre, quattro, cinque
tordi alla volta sfrecciarono veloci nel canalone, tra le macchie e
gli alberi di leccio. Il mio amico Franco si divertì a contarli. In
mezz’ora, almeno un settantina.
Il giorno seguente, in quel luogo, la neve si era
quasi completamente dissolta a causa della pioggia notturna. Nel
pomeriggio mi armai di tutto punto, andai a prendere i miei tre
cani, Ura, Argo e Air (il mio preferito) e con Franco, anche lui
armato, ma di telecamera, ansiosamente raggiungemmo il sito.
Fu un rientro, definito dal sottoscritto, che
pratica la caccia da tantissimi anni, "Incredibile". Fino all’orario
consentito, ad occhio e croce, rientrarono trecento,
trecentocinquanta, tordi. Riuscii ad incarnierarne diciannove. Anche
perché più di venti non se ne potevano abbattere (lo ripeto, sono
uno che le leggi le rispetta scrupolosamente).
Quando il rientro giunse al termine, i miei cani
erano talmente stanchi per il lavoro di riporto svolto, che non
ebbero nemmeno la forza di salire sul fuoristrada.
La telecamera riprese immagini, che per quanto
possa sembrare incredibile, sono reali. Franco si scusò di non
essere riuscito a riprendere alcun uccello in volo, ma per lui era
la prima volta che si cimentava in scene di quel tipo.
In ogni modo, le sequenze immortalate, lasciano
comprendere come la caccia, praticata in maniera leale e corretta,
sia qualcosa di molto suggestivo, tanto da suscitare indescrivibili
emozioni.
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Giancarlo Pavat
(agosto 2007)
Asso-Cacciatori
"G. Leo" |