Ritorno in Russia sul fiume Don

(II bollettino russo annunciò: solo il Corpo d'Armata Alpino Italiano non fu sconfitto in terra russa)

di Alfonso Felici

Indice

Breve biografia

Sommario di "The Fighting Paisano"

La presentazione del libro

Cronologia

In English

La foto con Giuseppe Prisco

60° Liberazione di Roma 4 giugno 1944

Non avrei mai immaginato che un giorno sarei tornato in Russia dopo la tragica ritirata del 1942-1943 nella quale noi Alpini, trascinandoci sulla steppa innevata, riuscimmo a tornare in Italia.

Questo raduno, denominato "Operazione Sorriso", è stato voluto dall’Associazione Nazionale Alpini e dalla Associazione Reduci Sovietici di Rossoch per celebrare i dieci anni dalla inaugurazione dell'Asilo nido-scuola materna per centocinquanta bambini russi. Questo edificio è stato costruito completamente a spese degli Alpini con offerte in denaro che, con un contributo straordinario, hanno realizzato in quella terra dove gli Alpini, combatterono e morirono.

Non è stato un puro e semplice incontro tra Alpini e Russi ma una testimonianza di pace e di amicizia.

L'asilo è stato costruito a Rossoch dove, in tempo di Guerra, si trovava il Comando del Corpo d'Armata Alpino comandato dal generale Nasci che diresse tutte le operazioni delle divisioni alpine Julia, Cuneense, Tridentina e Vicenza. La costruzione di questo asilo è stata un' impresa di pace per ricordare i soldati uccisi in Russia durante la battaglia di Nikolajewka, battaglia ricordata anche da un monumento ai caduti, oltre ad essere un eloquente segno di pace e di amicizia nei confronti dei nemici di ieri.

Al compimento di questa impresa hanno lavorato fianco a fianco alti ufficiali in congedo e semplici alpini, professionisti di alto livello come l'avvocato Beppe Prisco e umili capocantieri che per mesi avvicendandosi a turno hanno realizzato questa opera che ora esiste grazie all'apporto degli alpini, oggi capisaldo in terra di Russia della pace tra i popoli italiano e russo.

Con questo spirito oltre duemila reduci alpini sono partiti in aereo per raggiungere Mosca sorvolando le stazioni ferroviarie che il 10 Luglio 1941 li portarono, a bordo di settecento tradotte militari, attraverso Vienna, Budapest, Romania, Bessarabia e da lì a piedi fino al fronte del Don.

L'arrivo a Mosca non mi ha fatto molta impressione in quanto, come scrivo nel mio libro "The fighting Faisano", vi ero già stato per girare un film di Dino De Laurentiis dal titolo "Io amo, tu ami" diretto da Alessandro Blasetti, dove allora governava la rigida dittatura di Breznev: ricordo che tentai clandestinamente di oltrepassare il raggio di cinque chilometri che ci erano permessi nell' area di Mosca. Infatti, avevo deciso di visitare Pawlowsk e i coniugi Lazarov che avevo conosciuto durante la Guerra, purtroppo fui pescato su un treno dalla polizia sovietica e rispedito a Mosca.

Ho ritrovato Mosca quasi come allora ma con tanto traffico sulle strade, poche automobili russe ma tante Mercedes, Renault, Ford, Bmw e qualche Fiat: le nostre guide ci hanno fatto visitare la città con un autobus e siamo stati salutati da numerosi turisti italiani che, notando il nostro cappello alpino, ci hanno riconosciuti come loro connazionali. Essi si sono resi conto che anche noi, come loro, eravamo lì in qualità di turisti ma ignoravano la nostra missione umanitaria e quindi abbiamo spiegato loro il reale motivo della nostra presenza in Russia che ha riscosso la loro approvazione. In seguito siamo stati condotti in un ristorante dove abbiamo consumato il pranzo, certamente non così succulento come un pranzo italiano ma semplicemente a base di riso scotto, patate e cavoli lessi con una piccola bistecca dura ed una mela per finire. Dopo aver visitato tutti i monumenti più importanti e la famosa Piazza Rossa siamo stati condotti alla stazione ferroviaria in un lungo treno della Transiberiana diretti a Rossoch.

II viaggio in comode cuccette è durato quindici ore: io non sono riuscito a chiudere occhio e durante il viaggio, man mano che ci avvicinavamo a Rossoch, non ho fatto altro che ripensare con ansia a tutte le fasi della dura e disastrosa ritirata ed ai luoghi che andavo a rivedere.

Siamo arrivati a Rossoch alle due del pomeriggio e ad attenderci abbiamo trovato una folla immensa con donne in costumi tipici tradizionali, bambini vestiti a festa, reduci russi decorati di tante medaglie ed un picchetto armato dell'esercito russo. Siamo stati accolti dalla famosa canzone italiana "Volare" e da altre famose canzoni russe: devo ammettere che siamo rimasti storditi da una tale accoglienza e allora abbiamo intonato il nostro amato inno nazionale "Fratelli d’Italia", eseguito da una nostra fanfara degli Alpini, a cui ha fatto seguito 1'inno nazionale russo. Il sindaco di Rossoch ci ha accolti stringendo la mano al nostro presidente nazionale, Giuseppe Parazzini e subito dopo sono seguiti discorsi in italiano e in russo da parte delle autorità presenti. Infine siamo stati portati ai nostri alberghi (definirli alberghi mi sembra esagerato...) dove siamo stati costretti, a causa del loro carattere piuttosto spartano, a metterci in fila nei lunghi corridoi davanti all’unico bagno esistente.

L'indomani c'è stata la grande festa con gli inni nazionali dei due paesi ed un imponente spettacolo dei bambini dell'asilo con canti e balletti, davanti alla scuola, applauditi da un'immensa folla.

Frattanto, oltre a noi reduci erano arrivate altre centinaia di alpini in congedo e con loro abbiamo marciato in sfilata per le vie della città completamente imbandierata di vessilli italiani e russi: è stato tutto uno scambiarsi di baci e abbracci con la folla che sembrava impazzita. Pareva di essere in una delle nostre grandi adunate in Italia, ma qui ci trovavamo in Russia ed eravamo acclamati da gente che ci aveva visto soggiornare là in tempo di Guerra... evidentemente in quei lunghi giorni oramai così lontani ci eravamo comportati bene con loro e questa ne era certamente la riprova. In serata ci siamo ritrovati tutti insieme in un teatro dove ballerine e ballerini si sono esibiti in un grande spettacolo di balli cosacchi e originali russi... alla fine abbiamo avuto una grande sorpresa: il coro russo ha cantato "La montanara" imparata in italiano alla perfezione che ha meritato da parte nostra un lungo e scrosciante applauso. A seguire c'è stato rincontro, sotto le due bandiere italiana e russa, tra me, l'alpino italiano più decorato, e il russo Alexei Dimitrov, il soldato russo più' decorato... ci siamo abbracciati in segno di pace e di amicizia accompagnati da lunghi e calorosi applausi. L’indomani, con venti autobus a nostra disposizione, siamo stati finalmente condotti sulle sponde del fiume Don, scortati dalla polizia locale: man mano che gli autobus si avvicinavano al fiume ritrovavamo la stessa pianura lasciata sessanta anni prima: le betulle erano ancora là attorno alle casette, le oche bianche starnazzavano allegre, i cavalli pascolavano tranquillamente sui verdissimi prati lussureggianti mentre i carretti con le ruote di automobili arrancavano carichi di adulti e di bambini trainati da trattori. Le strade sono ancora le stesse, in terra battuta, che in inverno diventavano fangose e inaccessibili... inadatte al trasporto.

Arrivati a Popowka dopo ore di autobus ci siamo fermati e siamo stati subito attorniati da donne e da bambini, il mio russo imparato alla meglio in tempo di Guerra funzionava alla grande e mi permetteva di dialogare con tutti senza particolare affanno... riconobbi le strade una ad una e mi resi conto che nell’itinerario stabilito figurava il passaggio a Pawlowsk dove io conoscevo la famiglia Nazarov, la stessa che lavava i panni sporchi a noi alpini quando ci recavamo là per riposarci durante i momenti di pausa che talvolta casualmente il conflitto ci concedeva.

Allora ho pensato di convincere con venti euro il capo guida russo pregandolo di fermare a Pawlowsk per verifìcare se la famiglia Nazarov ancora vi risiedeva, fortunatamente il capo guida ha approvato la fermata non prevista intascando la somma senza battere ciglio. Una volta arrivati a Pawlowsk la colonna di autobus si è fermata come stabilito ed io, ricordando ancora perfettamente a memoria dove si trovava la casa di Iliena Nazarov, mi diressi precipitosamente e col cuore in gola verso 1'abitazione, la porta era aperta… entrai con la mente e le membra affannate senza sapere se avrei ritrovato Iliena, se era ancora viva ed ancora là. Si, Iliena c’era... una donna anziana che mi guardava con evidente sorpresa, ben diversa dalla giovane ragazza che avevo conosciuto in tempo di Guerra, con le stesse fattezze ma inevitabilmente segnata dallo scorrere inesorabile del tempo... aggrottò le ciglia, si diresse verso di me e finalmente mi riconobbe... ci abbracciammo. Erano trascorsi sessanta anni ma i ricordi tornarono a galla come se fosse allora, mi disse che suo padre, la madre ed il marito erano deceduti anni addietro come pure era morto il vecchio Bepi, quel soldato austriaco altoatesino originario dell'Italia irredenta che aveva combattuto contro i russi, era caduto prigioniero ed era diventato russo per aver sposato una donna russa e del quale ho parlato nel mio libro. Iliena mi parlò dei suoi figli e di Ljuba, 1'unica figlia rimasta con lei con tre nipotini: la casa era rimasta quasi uguale con qualche mobile in più mentre il "samovar" era ancora lì, spento. Mi offrì un tè ed una pastarella fatta da lei. Iliena viveva lì con la figlia Ljuba senza nessuna pensione con nove galline, una capretta e due mucche. Le regalai venti euro, mi baciò le mani... conversammo a lungo, facemmo una foto insieme e tristemente ci salutammo con un abbraccio e un bacio. Iliena aveva diciassette anni mentre io ne avevo venti durante il secondo conflitto mondiale... ricordo che era proprio lei a lavarmi i panni sporchi in cambio di una scatoletta di carne ed una galletta, …certamente non era molto per una persona che aveva tanta fame. La colonna di autobus quindi è ripartita verso il Don, rivedevo quelle strade dove avevo lasciato tanti alpini morti sulla neve. Di notte, lontano, dove steppa e cielo si univano, vedevamo i bagliori della grande battaglia che si accaniva contro di noi per tagliarci la strada ed impedirci di tornare a casa. Finalmente siamo arrivati sul Don che si è presentato a noi maestoso e ci ha subito fatto ricordare i giorni e le notti di guardia in cui attendevamo 1'attacco che non arrivava mai. Ho guardato gli uccelli acquatici che ancora pescano i pesci nel fiume con i loro lunghi becchi, oramai senza alcun timore in quanto dalle due sponde non si sentono più fischiare le pallottole da una riva all’altra.

Ho voluto bagnarmi le mani e il viso in quell’acqua dove ci lavavamo e riempivamo le nostre borracce per dissetarci cercando di evitare i cecchini che ci sparavano dagli alberi della sponda opposta.

Dopo la visita al Don gli autobus sono ripartiti per Nokolajewka dove ebbe luogo l'epica battaglia sostenuta dagli alpini per guadagnarsi la via di casa, la prima cosa che ho fatto è stata quella di andare a ritrovare il sottopassaggio della ferrovia dove feci saltare in aria un carro armato nemico, il temibile T 34, attaccandogli una mina magnetica: il sottopassaggio era ancora lì e rivissi la scena col pensiero. Per quell’azione mi fu concessa la terza medaglia d' argento al valor militare... ho ritrovato i miei posti di trincea con qualche traccia di buca ancora rimasta quasi intatta. I vecchi che abbiamo incontrato ci hanno detto che dopo la battaglia su quelle trincee trovarono borracce, gavette, gavettini ed altri oggetti appartenuti agli alpini e da questi abbandonati durante la ritirata.

Abbiamo ricordato insieme i giorni del dolore, dell'abnegazione, dell'eroismo... non c'è' stato un ripiegamento, ma una prova estrema di sopravvivenza: uomini fiaccati, nessun rifornimento aereo, scarsissimi viveri e poi tantissimo freddo, tanta neve, tanta fame, tanti nemici, tanta rabbia eppure riuscimmo a tornare a casa… In questo mio viaggio del ricordo ho rammentato tutto, ho rivisto tutto quello che allora ha rappresentato la mia giovinezza: ho ricordato quando cominciò la tragica ritirata e quando nel cammino rimanemmo in pochi lasciando sulla neve migliaia degli alpini che non tornarono più a casa restando senza alcuna sepoltura. Eppure quei pochi rimasti affrontarono ancora con coraggio la sorte avversa e mai si tirarono indietro quando si trattò ancora di combattere, accerchiati per ben tre volte nelle sacche essi si gettarono avanti rompendo le linee delle preponderanti forze russe nel tentativo di aprirsi un varco verso l'Italia e ci riuscirono rabbiosamente e disperatamente. Si fecero onore e 1'esempio che essi diedero ha ancora un peso perchè arricchisce per sempre la storia di un intero popolo: rendo onore a Giuseppe Prisco che conobbi in una isba dove ci incontrammo infreddoliti ed affamati... rimanemmo amici fino alla sua morte e partecipando ai suoi funerali a Milano, ricordai in quella triste circostanza le nostre adunate alpine e le sue visite a Roma dove ci prendevamo in giro tifando lui per l'Inter ed io per la Lazio, simpatici sfottò che terminavano sempre con un abbraccio. Rendo onore alla memoria del mio tenente Severini, comandante del mio plotone e dei miei cari amici Morassutti, Venier, Colautti e Bordon che con me vissero quei disperati giorni rimanendo lì senza poter rivedere le proprie case, mentre io al ritorno fui costretto a ricordarli sepolti nella neve. Credo di aver dato il mio contributo alla Patria guadagnandomi tre medaglie d' argento al valor militare sul campo e come invalido di Guerra versando il mio sangue per essa.

Il mio ritorno sul fiume Don è terminato e tornando in Italia in aereo, poco prima dell’atterraggio all’aeroporto di Fiumicino, guardando giù mi sono detto: "Alfonso, sei tornato a casa nella tua bella Italia che tanto ami e per la quale hai orgogliosamente combattuto."

sett.2003

www.villasantostefano.com

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