Nota d'appendice "La Bella Cammilla"
La Camilla virgiliana è personaggio composito che nella sua fanciullezza selvaggia ricalca il mito della tracia Arpalice, mentre nella parte epica ricorda Pentesilea, regina delle Amazzoni, che accorsa all'aiuto di Priamo venne uccisa da Achille. Non è affatto improbabile però che Virgilio abbia integrato questi due caratteri classici con la figura di una eroina autoctona del Basso Lazio, "Volscorum egregia de gente," della quale aveva potuto sentir raccontare in qualche taberna del privernate durante i frequenti viaggi che egli faceva tra Roma e la sua villa partenopea. Non è nemmeno da scartare l’ipotesi che, per meglio ritrarre l'ambiente di questo episodio, il poeta mantovano in qualcuno di questi viaggi abbia deciso di lasciare la via Appia e risalendo il corso dell'Amaseno nella valle omonima abbia quindi proseguito per il valico di Vallefratta a monte dell'odierna Amaseno in direzione di Fregellae, la via Latina e Napoli. Sembra sentirne l'eco in vari tratti del racconto di Camilla, ed in particolare ai versi 522-525 del libro XI dell'Eneide:
Est curvo anfractu valles, adcommoda fraudi
armorunque dolis, quam densis frondibus atrum
urguet utrimque lalus, tenuis quo semita ducit
angustaeque ferunt fauces aditusque maligni.
A parte la scomparsa densità del bosco, pare trovarsi a risalire per lo "stretto sentiero della gola angusta" di Vallefratta.
Nella narrativa virgiliana manca un nesso che colleghi la aspra fanciullezza di Cammilla quando portava sulle spalle ancor piccine l'arco e le frecce quasi fossero giocattoli con l'adulta e faretrata Bellatrix, scatenata guerriera che si lanciava nella mischia con un seno nudo come le amazzoni scagliando grandine di frecce ed, esaurite queste, dava di mano alla poderosa ascia bipenne. Manca altresì qualsiasi riferimento agli eventi che riportarono questa "aspera virgo" al trono quale regina dei volsci dopo la cacciata del padre da Priverno, e se sia tornata in patria con il genitore o, morto lui esule, abbia ella stessa riconquistato il trono. La storia della Bella Cammilla, della Vergine Cammilla, come veniva alternativamente chiamata l'eroina volsca nella tradizione popolare santostefanese, potrebbe forse colmare la lacuna nella narrativa dell'Eneide e completarla. Il carattere fiero, altero, inflessibile della Cammilla popolare coincide con quello della Camilla epica tanto da farne un personaggio unico, psicologicamente "aspera horrenda", fisiologicamente baldanzosa vergine intemerata, ed idealmente come simbolo delle libertà autoctone, decus Italiae, come echeggia anche nei versi di Dante: "Di quell'umile Italia... per cui morì la vergine Cammilla. La ragazza della tradizione santostefanese che con un atto d'inaudito coraggio e crudeltà si riconquista il trono paterno, proviene dallo stesso getto ed è fusa del medesimo metallo della regina la quale porta a compimento il suo destino, anch'esso crudele, sotto gli occhi sbalorditi "di tutti i volsci" quando l'asta lanciata dall'etrusco Arrunte sibila nell'aria e si conficca nel suo petto sotto la nuda mammella, bevendone il sangue virgineo. Che il racconto virgiliano e quello della rapsodia santostefanese traggano origine da una fonte comune pare più che probabile. Lo studio dei palinesti della cultura popolare tramandata oralmente attraverso i secoli può essere di aiuto al ricercatore appassionato nel rivelare angoli ombrosi e panorami spesso appena intravisti in quella che è poi diventata, attraverso un processo di raffinatura, la cultura letteraria di un paese e di un popolo.
Prima di chiudere, è forse opportuno fare una breve osservazione sullo sfondo storico della leggenda di Camilla, senz'altro fondata su eventi politici. Precedentemente alla supposta invasione troiana del Lazio, quando nell'Agro Pontino continuava la preponderanza politico-sociale etrusca, Priverno si era affermata come capitale di quelle tribù volsche provenienti dalla valle del Liri-Sacco insediatesi lungo il corso del fiume Amaseno ed oltre nelle terre ufentine fino ad Anxur, al margine della zona pontina controllata dagli etruschi. E probabile che il re di Sezze del racconto santostefanese non fosse altro che un lucumone od altro capo etrusco della zona che riuscì ad impadronirsi con un colpo di mano di Priverno scacciandone il re volsco stabilendovi la supremazia tirrena. Questa presenza degli etruschi, detti anche tyrrheni, è implicita nel racconto virgiliano le cui vicende finali si svolgono al di qua, e non al di là del Tevere; e verosimilmente il poeta si riferisce ai villagi etruschi nel territorio pontino quando scrive "come molte madri etrusche avevano desiderato, ma invano, averla Camilla per nuora." Tragica ironia del fato che armò la mano dell'etrusco Arrunte, verosimilmente del parentato del re di Sezze e perciò assetato di vendetta, e lo aizzò a dar caccia accanita alla "fin troppo vergine" regina dei volsci, e finalmente coltola, a colpirla a morte. E quasi con un atto di suprema sfida, la travagliata eroina si provò invano di tirar fuori l'asta dal suo petto, forse per rilanciarla contro il suo nemico, ma "la forza guerriera la abbandona, mentre la vita con un gemito le fuggiva sdegnosa nelle ombre."