Baldassarre Panfili, chiamato familiarmente Sor Saruccio, nacque a Villa Santo Stefano, il 27 settembre del 1901, da Ottavio Panfili e Ausilia Perlini. I due coniugi con la loro unione suggellarono un legame tra le famiglie Panfili e Perlini, pertanto Saruccio fu cugino sia dei figli di sor Amilcare Panfili, fratello del padre che sposò Ida Bonomi, che di quelli di Sor Agenore Perlini, fratello della madre che sposò Berenice Bonomi. C’è da precisare che i fratelli Perlini erano: Agenore, Ausilia, Perlina, Cesare (emigrato in America) e Don Baldassarre, parroco di Villa prima di Don Amasio Bonomi; essi erano figli di sor Cesare, noto farmacista del tempo che esercitava la sua professione in un locale a pianterreno, sito alla Portella. Saruccio fu battezzato nella chiesa di Maria Assunta in cielo dall’arciprete Felici, suoi padrini furono Pietro Angelini della città di Ferentino e Perlina Perlini. I suoi genitori ebbero altri tre figli: Agostino, Maria (detta Lina) e Romeo emigrato in America, di cui si persero completamente le notizie. Egli abitò sempre con la sua famiglia in Via San Pietro 27, in un antico caseggiato ancora oggi esistente, nel quale vivevano anche Amilcare ed i suoi familiari. Le due famiglie, pur usufruendo di appartamenti differenti, condividevano in maniera patriarcale la vita quotidiana e l’educazione dei figli. I ragazzi vivaci ed affiatati si muovevano in piena libertà nella casa a tre piani, rispettando le severe ammonizioni degli adulti, crescendo insieme e godendo di una vita agiata e privilegiata. Particolare ascendente ebbe sull’educazione di Saruccio lo zio don Baldassarre Perlini, che lo seguì nella sua formazione culturale e cristiana e gli inculcò quel rigore morale che caratterizzò il suo carattere e lo accompagnò per tutta la vita. Una volta conclusi gli studi, Baldassarre si arruolò nella Regia Guardia; dal foglio matricolare risultano le seguenti note: caratteristiche fisiche, statura 1,74, occhi castani e un percorso militare che va dal 1920 al 1923. Il 1°febbraio del 1920 è a Caserta come Allievo della Regia Guardia con la ferma di tre anni; il 1°agosto è trasferito nella sezione territoriale di Torino e, qui, il 15/06/1922, viene nominato brigadiere. Il 1° gennaio 1923, non essendo stato ammesso nell’arma dei Reali Carabinieri specializzati, per esuberanza di organico, viene congedato con dichiarazione di buona condotta e di servizio prestato con fedeltà e onore. Ritornato in paese, il 17 ottobre del 1923 sposò la cugina Panfili Geltrude, detta Tutarella, figlia di Amilcare, con la quale condivise un rapporto lungo e solido durato ben sessantadue anni. Il matrimonio nacque molto probabilmente da un accordo familiare: mantenere il cognome Panfili per la famiglia di Amilcare, poiché l’unico figlio maschio Enrico era morto nel 1918 di spagnola; affiancare Geltrude nel suo lavoro alla "Posta" con una persona fidata e sicura; non disperdere il patrimonio di famiglia con altri imparentamenti. I due sposi riuscirono a trasformare il loro matrimonio in un’unione di comprensione, collaborazione, affetto che, pur non essendo allietata dalla presenza dei figli, trovò altri sbocchi affettivi nei nipoti. Tra di essi Ottavio e Luigi Panfili, figli di Agostino, fratello di Saruccio; Enrico, Silvio, Roberto, figli di Maria Panfili, e Adalgisa e Giuseppina, figlie di Panfilina, sorelle di Geltrude. Dopo il matrimonio Saruccio s’impiegò nell’Ufficio Postale in Via San Pietro 29, di cui era direttrice la moglie, effettuando un accurato e solerte servizio al telegrafo Morse e mettendo in luce le sue capacità di precisione e pignoleria nello svolgere le pratiche di ogni tipo. Il locale in questione chiamato semplicemente "Posta" era diviso in due da un divisorio in legno e vetri, al centro del quale c’era un finestrino chiuso da uno sportelletto che s’apriva al pubblico sostante nel corridoio d’attesa. Il lavoro di Saruccio e Geltrude era di piena disponibilità per la popolazione in gran parte analfabeta e di sacrificio per mandare avanti al meglio un’attività a quei tempi privata. Nella strada si sentiva il ticchettio del telegrafo che trasmetteva , la timbratura della posta in arrivo e in partenza e il brusio delle voci delle persone che aspettavano il loro turno parlando di semine, di raccolti, di fiere dove acquistare gli animali e dell’allevamento degli stessi, delle notizie riguardanti i paesani o gli eventi che rappresentavano la quotidianità del paese. Le sue idee liberali e moderate gli crearono seri problemi nel periodo fascista, quando anche a Villa arrivò un’ondata accentratrice e squadrista nella quale non si riconosceva. Il rapporto con il Fascismo ed i suoi esponenti locali fu difficile e contrastato, giustificabile per la particolarità degli eventi storici che si succedevano ed ingigantivano le singole situazioni cadendo nei personalismi ed inasprendo gli animi. Dapprima Saruccio, coerente ai suoi principi, si tenne fuori dal Fascismo; poi, spinto dalle necessità logistiche, quali la tessera Fascista, che concedeva delle prerogative primarie ed indispensabili, si piegò a presentare la fatidica domanda di iscrizione. Tale richiesta fu approvata all’unanimità come da verbale della riunione del Direttorio, formato dal Cavaliere Pompeo Leo, Lucidi Stefano e Zomparelli Antonio, il 13/4/1923. Pochi mesi dopo, il 9/12/1923 una nuova riunione del Direttorio invitava alcuni fascisti, tra cui Baldassarre Panfili, a mettersi in regola con i pagamenti delle quote mensili entro dieci giorni, pena l’espulsione. Sottraendosi a questa richiesta egli venne espulso dal partito e spesso fu oggetto di avvertimenti e intimidazioni, per cui era costretto a rifugiarsi in una cantina, nella quale era difficile entrare. Raccontava che una volta restò lì dentro per alcuni giorni, l’accesso era stato sbarrato con ogni tipo di mobilio ingombrante e la moglie di notte gli portava il cibo, l’acqua, le sigarette e ciò di cui aveva bisogno per non farsi scoprire. Come risulta dal verbale del 28/10/1928, il Direttorio discusse sulla richiesta di riammissione del gregario Baldassarre Panfili che venne accordata con il pagamento di lire quindici, nonostante il ricorso di alcuni fascisti. Il 27/12/1928 in una nuova riunione del Direttorio, in seguito ad una lettera del Segretario Federale, si applicò una sospensiva della sua riammissione "per migliore esame". La posizione di Baldassarre venne discussa nuovamente nella riunione del 20/10/928, nella quale egli apportò le sue giustificazioni inerenti al rinnovo della tessera ed all’accusa di aver boicottato l’iscrizione alla Milizia. La discussione abbastanza articolata su posizioni opposte portò alcuni membri del Direttorio a credere opportuno di riammetterlo "per fare una buona pace" altri invece a respingere la sua riammissione, alla fine prevalse quest’ultimo orientamento. Dopo la Seconda guerra mondiale si diede alla politica, sostenendo dal 1948 al 1952 il cugino Ermelgildo Perlini che in quegli anni ricoprì la carica di sindaco e preparandosi così alle elezioni successive. Dal 1952 al 1956 fu sindaco e la composizione del consiglio comunale dell’epoca si presentava così: Maggioranza: Umberto Rossi vicesindaco (ricopriva anche la carica di giudice conciliatore ed era famoso per la diplomazia con la quale affrontava le dispute tra i cittadini), Dr. Angeletti Ercole, Bonomo Luigi fu Antonio, Leo Emilio, Anticoli Violante, De Filippi Stefano, Iorio Marcantonio, Leo Romano, Zomparelli Armando, Reatini Giuseppe, Cipolla Antonio; Minoranza: Perlini Cesare, Bonomo Luigi fu Matteo, Tranelli Antonio. Il comune di Villa in quegli anni aveva come impiegati Planera Giuseppe (applicato di segreteria), Palombo Antonino detto Giacomino (messo scrivano) e come segretario comunale dapprima un certo Antonetti di Vallecorsa e poi un Battista di Patrica; prestavano servizio come guardie Iorio Angelo Maria, custode anche del cimitero e Zomparelli Antonio che quando andò in pensione, nel 1954 fu sostituito da Iorio Biagio Vincenzo. Dipendevano anche dal Comune gli "scopini " Antonia Spaziani aiutata dal figlio Vincenzo Rossi, l’ostetrica Loreta Belli e il medico condotto Ercole Angeletti. Il 2 Giugno 1955 gli fu conferita con Decreto del Presidente Gronchi l’onorificenza di Cavaliere con la seguente motivazione: "In considerazione di particolari benemerenze, sentita la Giunta dell’ordine al Merito della Repubblica Italiana, sulla proposta del Consiglio dei Ministri". Durante la sua amministrazione si attuò il cantiere per il primo lotto della strada Porcino – Amaseno, fu sistemato il salone comunale e ripristinato l’uso dell’orologio. Negli anni in cui fu sindaco esercitò il suo mandato con profonda onestà intellettuale e giustizia, sempre attento al bilancio e alla gestione delle spese, esercitando una pressante azione di controllo sui dipendenti e impiegati comunali che spesso fu causa di critiche e malcontenti nei suoi confronti. Vigilava su tutto e tutti, nessuno era lasciato solo, niente era dimenticato; da questo modo di comportarsi traspariva il suo carattere che con gli anni era diventato più rigoroso e severo, sfociando nell’intransigenza. Terminato questo mandato politico ripresentò di nuovo la sua candidatura avendo come avversario Luigi Bonomo fu Matteo, la campagna elettorale si concluse con la vittoria di quest’ultimo che esercitò la carica di sindaco a lungo fino al 1980 contribuendo alla crescita economica e sociale del paese. Nei suoi racconti ed in alcune missive scritte ai nipoti, Saruccio parlava di una campagna elettorale molto accesa, alla quale venne a mancare il sostegno di qualche sostenitore e parente che appoggiarono lo schieramento avverso. Egli subì una sconfitta, ma lasciò il bilancio comunale in attivo e la sua carriera politica si concluse all’opposizione insieme ai consiglieri Anticoli Violante, Leo Celestino, Leo Romano. In due lettere al nipote Peppino Planera, Saruccio così scriveva: "Chiudo così il mio ciclo sindacale con somma soddisfazione di aver fatto qualche cosa per il mio paese; "La vita torna al normale e le chiacchiere vanno finendo. Io mi sento benone nonostante tutto e dormo tranquillo". Dopo l’esperienza politica tornò alla vita di sempre: il lavoro zelante e puntuale alla posta, la lettura di libri, riviste e giornali, la gestione delle sue proprietà, la fitta collaborazione con la moglie alle attività familiari e alla crescita dei vari nipoti, la costante beneficenza ai passionisti della Badia. Spesso Saruccio si recava al Convento della Badia non solo per confessarsi e comunicarsi, ma anche per sostenere con le sue offerte gli studi di qualche missionario che adottava a distanza o l’attuazione di qualche progetto in terra missionaria. Quando i Passionisti venivano a Villa per le missioni spirituali o per le questue li ospitava nella sua casa offrendo loro tutto ciò di cui avevano bisogno. Questo aspetto del suo essere era poco conosciuto, perché lo esercitava con discrezione e silenzio; "la carità sincera non va mai pubblicizzata"era il commento che faceva con i suoi. Sapeva concentrare su di sè le responsabilità della famiglia, per cui fu sempre sostenitore materiale e morale dei bisogni dei nipoti e parenti, visse nella casa dei Panfili non trascurando mai la moglie, la suocera Ida Bonomi, la cognata Panfilina, le nipoti Adalgisa e Giuseppina, e rimanendo come l’unica presenza maschile che nei momenti di difficoltà era sempre pronto ad offrire il proprio aiuto. Negli anni sessanta fu trasferito alle Poste di Frosinone in seguito alla riorganizzazione fatta dall’ente divenuta ormai statale, Saruccio accettò senza recriminare, come era suo costume. Comprò una Fiat 850 bianca, prese la Patente e iniziò questa nuova esperienza di lavoro facendosi apprezzare per le sue capacità e per l’impegno e serietà. Quando dopo cinquant’anni di lavoro andò in pensione le sue giornate le passava sulla loggetta chiusa a vetri che s’affacciava su Via San Pietro, qui leggeva, meditava, curava la corrispondenza, conversava con i familiari ed i frequentatori della sua casa davanti a una buona tazza di caffè preparata dalla consorte. Quando usciva si fermava sempre allo "spaccio" a salutare la titolare Lombardi Alfonsina con la quale si intratteneva a parlare ed effettuava lo scambio delle riviste settimanali "Oggi" e "Gente" di cui erano dei fedeli lettori. Saruccio curava molto la sua immagine, era sempre ben pettinato e dal portamento composto e signorile, indossava abiti di taglio elegante adatti all’ora e alle occasioni. La domenica era una giornata speciale che Saruccio riservava a sé e alla moglie, partiva la mattina con la corriera delle sette e raggiungeva Ceccano per partecipare alla santa Messa alla Badia, poi si recava in qualche trattoria del luogo per il pranzo. Nel pomeriggio andava al cinema di Madonna della Pace per visionare i film dell’epoca che tanto piacevano alla moglie e completava l’uscita con l’immancabile sosta nel bar che si trovava lì per acquistare i deliziosi bignè alla crema che portava ai familiari rimasti in paese. Dopo lo spostamento dell’Ufficio Postale in Piazza Umberto 1°, fornì il locale rimasto vacante al Dottor Vincenzo Pezza per adibirlo ad ambulatorio e rendendolo di nuovo importante per la comunità. Poche le persone che frequentavano la sua casa: il fratello Agostino con la moglie ed i figli Luigi ed Ottavio, il cugino Giggetto con la sua famiglia, le sorelle della moglie con relativi mariti e prole, l’amico Leopoldo Chiappini con la moglie Lisetta Buonacquisti ed i numerosi ragazzi che aveva tenuto a battesimo con la moglie o aveva cresimato. I pranzi e le cene nella sua casa erano sempre all’insegna dell’abbondanza e della cordialità conviviale, si parlava animatamente degli eventi del tempo, di ciò che risultava più significativo riferito a fatti o persone senza mai cadere nel pettegolezzo o la maldicenza. Si concludevano con un ottimo caffè comprato personalmente alla Brasilera di Ceccano e con l’immancabile bicchierino di Strega o di Mistral e la "famosa Zuppa inglese" della consorte che mai ebbe rivali. Tra le mura domestiche Saruccio esternava una sensibilità inaspettata per chi lo conosceva all’esterno ed era capace di slanci affettuosi o premure che attenuavano il suo rigore e nobilitavano le sue azioni e le sue parole. L’essere di Saruccio era multiforme ed imprevedibile dietro una facciata forte ed intransigente si nascondeva un uomo tenero ed affettuoso sempre pronto ad affiancare la moglie nei tanti lutti familiari che la colpirono e a farsi carico negli ultimi anni della sua vita dell’assistenza di una nipote inferma. Il 25 /04/1985 morì la moglie, Saruccio rimasto solo si chiuse sempre di più in se stesso, il suo carattere severo ed austero, diventò più introverso ed irascibile. Si isolò completamente da tutto e da tutti nella sua casa che diventò il centro del suo mondo fatto di ricordi, di nostalgie, di pensieri strani e persecutori che lo rendevano instabile e sofferente. Rifiutò ogni aiuto che gli venisse da un parente o da un estraneo, scelse di morire solo in un’apatica giornata di aprile (2 aprile 1990) abbandonando questa terra in punta di piedi senza disturbare nessuno. Si ringraziano il Professor Ernesto Petrilli per i documenti storici forniti; la Responsabile Comunale dell’Ufficio Ragioneria Bonomo Marina per la ricerca degli atti amministrativi; il Signor Iorio Biagio Vincenzo per le testimonianze orali; la Signora Rita Politi per il materiale fotografico.
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up. 08.02.13
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