Uno degli avvenimenti di cronaca minori, ma che serviranno a dare una sua fisionomia al congedo del 1960, è stato la cattura di Benito Lucidi. La notizia ci ha colto un pò di sorpresa, perchè oramai la pubblica opinione si stava abituando, o rassegnando, all’idea che l’evaso l’avesse fatta franca. Anzi, molti addirittura non ci pensavano più perchè gli episodi di questo genere s’incalzano e c’incalzano a un tale ritmo che l’uno, nella nostra memoria, scaccia l’altro e nessuno di essi riesce a occupare la nostra mente più di qualche giorno o, al massimo, di qualche settimana. Ricordate la condanna a morte di Chessman? Sembrò, lì per lì, che avesse sollevato un ciclone destinato a mettere il mondo a soqquadro e a non calmarsi mai più. Ma quel "mai piu" durò soltanto fino alla luna nuova. Viviamo in una epoca frettolosa. Ma la inafferrabilità di Lucidi sembrava garantita anche dalle prove di astuzia e di coraggio ch’egli aveva fornito. La prima evasione, va bene, poteva essere stata soltanto un colpo fortunato, anche se era apparso in tutta evidenza che non era affatto dovuta a scarsità di vigilanza. Comunque, questa vigilanza era stata certamente rafforzata e perfezionata intorno all’ergastolano di Santo Stefano. Eppure, costui n’era venuto a capo ugualmente, e con mezzi del tutto artigiani e rudimentali: la solita lima per segare le sbarre di ferro, la solita corda di stracci arrotolati per calarsi lungo i muraglioni. Era chiaro che l’uomo aveva i riflessi pronti, una fantasia ricca di trovate e le decisioni risolutive. Conservare la libertà gli sarebbe stato più facile, o meno difficile, che riacquistarla. Poi il suo compagno di fuga Piermartini, fu riacciuffato. Ma anche questo ci convinse che Lucidi la sapeva molto più lunga. I giornali avevano annunziato in quella occasione che oramai anche per lui, dato per ferito, era solo questione di ore. Ma le ore trascorsero, trascorsero i giorni, e l’evaso rimase uccel di bosco. In quel bosco la nostra memoria lo dimenticò, per ritrovarlo solo l’altro giorno, all’annunzio della sua seconda cattura in una casa del quartiere Prati in Roma. In questa casa abita una zia di Benito Lucidi, e il particolare ha la sua importanza per farci meglio comprendere il carattere e la personalità. Di questo bandito italiano, cui avevamo accreditato un’accortezza e una freddezza tali da tenere in scacco i suoi inseguitori. Egli le possiede infatti, e lo ha dimostrato. Stando alle cronache, non perse la calma nemmeno quando vide puntate contro il petto le pistole della polizia "abbassate pure –disse quietamente– sono disarmato" poi aggiunse, più con rimpianto che con stizza: "accidenti, ancora poche ore ed ero salvo!". Sembra accertato infatti ch’era pronto ad attenderlo un motoscafo per condurlo in Corsica e di lì chissà dove. Purtroppo (per lui) questo stratega dell’evasione, questo puntiglioso maneggiatore di lime, questo audace rocciatore di penitenziari aveva, da buon italiano, famiglia, ed è sulla famiglia che il suo piede ha scivolato. L’altra volta fu per tornare a salutare sua madre che fornì una traccia agli inseguitori; stavolta, per scaldarsi al focolare della zia. Intelligente com’è doveva ben immaginare che i segugi tenevano d’occhio tutti i possibili recapiti. È proprio nel caseggiato in cui l’hanno sorpreso il caso ha voluto che abitassero oltre a sua zia, anche due funzionari della pubblica sicurezza, sia pure in pensione, e che non hanno avuto alcuna parte nella cattura, ma di cui la prudenza avrebbe dovuto consigliarlo a evitare lo sguardo scaltrito dal mestiere. Ma il richiamo della famiglia, la tentazione di quella zia bonaria e materna, il miraggio di quattro mura riscaldate dell’affetto, più che dal termosifone, furono più forti di ogni calcolo. E, come l’altra volta, hanno condotto Lucidi alla rovina. Ora, io non so chi sia quest’uomo, e nemmeno, con esattezza che delitti abbia commesso. Penso che debbano essere stati gravi, e scrupolosamente accertati, per avergli valso una condanna come quella dell’ergastolo. Ma, essendo egli un italiano, questi delitti non li trovo affatto incomparabili con l’attaccamento alla famiglia, con l’affetto per la madre e per la zia, insomma con quella vocazione tribale e casalinga di cui quest’uomo dà prova, pagandola così a caro prezzo. Perchè questa è proprio la caratteristica del criminale nostrano, che non lo è mai del tutto e interamente. Anche quando per la società è un assassino, rimane, per sua madre, un buon figliolo; anche quando scassina una banca, rispetta i risparmi della zia; e se la mattina è pronto ad ammazzare un carabiniere, nel pomeriggio è disposto a farsi ammazzare per un cugino. Lucidi deve avere, dei suoi doveri, un’idea molto sommaria; ma in compenso ne ha una altrettanto precisa dei suoi affetti. In fondo alla sua coscienza maculata di crimini, rimane una zona pura e intatta d’innocente cocco di mamma. Rallegriamocene, per tutto ciò che questa caratteristica nazionale comporta di buono. Ma non chiudiamo gli occhi su tutto ciò che implica di cattivo, o almeno d’inquietante; e cioè per le difficoltà che accresce di discernere con un taglio netto il bene dal male. In tutti i paesi de mondo l’onesto è l’onesto, e il criminale è il criminale: distinguere l’uno dall’altro e isolare il secondo dal primo è un’impresa, di solito, abbastanza facile. In Italia non lo è mai. Una gradazione infinita di compromessi e di "combinazioni", una organica ripugnanza a essere inversamente un galantuomo o un delinquente, ci lasciano sempre in forse, e col dubbio di avere sbagliato giudizio anche di fronte agli ergastolani. È --conveniamone-- una grossa scomodità.Indro Montanelli |
<<< Benito Lucidi, "32 anni, 11 mesi e 20 giorni di onorata galera"
up. 9 dicembre 2008
PrimaPagina | ArchivioFoto | DizionarioDialettale | VillaNews