Villa Santo Stefano ricorda …
di Giovanni Bonomo e Pino Leo Vogliamo ricordare ai più anziani e narrare ai più giovani il Natale che si viveva in paese ai tempi della nostra adolescenza C'era una volta Natale, il Natale della nostra infanzia, dei nostri ricordi. Ci sembrava che allora, il Natale fosse più freddo. Forse perché non c'erano tanti cappotti, piumini, soprabiti, impermeabili e ... pellicce, indumenti oggi molto usati non solo per difendersi dal freddo, ma anche per sfoggiare i vari modelli proposti dalle maisons e griffes, in quest'epoca di scellerato consumismo. Non era la televisione, come avviene oggi, ad l'annunciarla con gli spots commerciali, fin dal mese di ottobre. L'aria di festa si cominciava ad avvertire da quando Za' 'Ssunta glì' spacc' esponeva le sue cartoline di auguri. Le ricordiamo con particolare nostalgia: erano di povera carta, colorate ad acquerello e quasi sempre con lo stesso disegno raffigurante una casetta o un piccolo paese, immersi nella neve di una valle circondata da montagne bianche e fitte di abeti. Le più ricercate, erano quelle che raffiguravano Maria e Giuseppe con il bambinello nella culla con le braccia aperte, con i vestiti contornati di polverina d'oro. Non c'erano le luminarie di oggi; le botteghe di gnòra Ida, Za' Marietta Talèm'q', Armando B'calila, Elsa, Cèncio Mantèlla e Maria di Bianca non erano così ricche di dolci, regali e giocattoli come lo sono oggi i moderni supermercati; a malapena veniva illuminata una piccola porta-finestra che fungeva da vetrina e sui vetri di questa veniva incollata un po' di ovatta per fare l'effetto neve e qualche "Incètta" colorata. Esponevano poche cose: qualche torroncino, personaggi del presepe fatti di zucchero colorato e palline variopinte, mercé che poteva essere acquistata se si riusciva a racimolare (cosa molto difficile) almeno ... cinque lire. Le poche curiosità esposte, provocavano, comunque, un continuo andirivieni di ragazzi che, pur non potendo acquistare alcunché, scorazzavano da una bottega all'altra, per ammirare i piccoli presepi, allestiti tra gli scaffali. Il "Tota Pulchra es, Maria" che si cantava in chiesa il giorno dell'Immacolata, era per noi l'annuncio "ufficiale" del Natale, anche se le vacanze della scuola erano ancora lontane. Ogni domenica alla fine della messa si cantava "Tu scendi dalle stelle" o qualche altra pastorale e ciò procurava sempre un'intensa calda ed intima sensazione di contentezza e di festa; una festa pacata, tranquilla, gioiosa, vissuta con meno luci e rumore di oggi e quindi più silenziosa e per questo più sentita dentro. L'ora magica era la mezzanotte del ventiquattro quando, durante la messa, all'attacco solenne del "Gloria in Excelsis Deo", si illuminava la grossa capanna posta sull’altare, cadeva il drappo bianco e finalmente si scorgevano il Bambinèllo tra Maria, Giuseppe.
Noi ragazzi assistevamo con ansia e curiosità a questo momento dopo aver faticato, per conquistare le migliori posizioni "ncima agl'argon' ". Negli anni precedenti era tradizione, alla fine della messa, ascoltare " i sonetti " recitati da bambini preparati dall'indimenticabile Don Amasio. Non sapevamo cosa fosse l'albero di natale e non avevamo ancora fatto la conoscenza con...... Babbo Natale, (chi era costui !!). Il nostro unico referente era Gesù Bambino. A lui ci si rivolgeva per le raccomandazioni, le promesse e le richieste più desiderate. A lui si spediva la letterina che la sera, durante il cenone, si faceva trovare sotto il piatto di papa che, facendo finta di sorprendersi, la leggeva con commozione a tutti i presenti -pensate quante letterine avrebbe dovuto leggere il padre di una famiglia numerosa-.
Importante era la preparazione della "b'rzetta"; piccolo sacchetto di stoffa di risulta, chiuso con dei lacci, che le mamme o le nonne ci cucivano qualche giorno prima e che mettevamo appesa al collo a mo' di catenina. In essa si riponeva " 'a 'ffèr-ta" consistente in regalia di pochi spiccioli di denaro, fatta dai genitori, dai nonni e dai parenti più stretti. Il profumo del sugo al tonno e l'odore del fritto, annunciavano già dal pomeriggio quello che sarebbe stato il cenone. Questa iniziava con i tradizionali spaghetti o linguine al tonno e terminava con i dolci fatti in casa. Non mancavano i primi tradizionali panettoni e torroni di ogni tipo. Caratteristiche erano le "p'zzell' " semplici, o impastate con la cima o il baccalà. -Le " p'zzell' " vanno distinte dai "cravi'i " che si friggono a Capodanno e sono fatti di pasta lievitata e fecola di patate.- Alla fine della cena a volte c'era la recita: il più piccolo della brigata era incaricato di ripetere la poesia a Gesù Bambino che le suore della scuola materna avevano avuto cura di insegnargli. Il giorno di Santo Stefano, era importante non solo perché ricorreva la festa del nostro patrono la cui statua veniva esposta, ornata con paramenti sacri ma anche perché, durante la messa cantata, venivano mostrate tutte le più strane reliquie gelosamente conservate in sacrestia. Anche i giorni feriali sembravano festivi, perché, oltre a non andare a scuola, si trascorrevano spensieratamente giocando a carte. Erano all'epoca, molto diffusi, tra i ragazzi, piccoli mazzi di carte con le quali si giocava a "m'cchiett' " sfidando il freddo sui sedili della piazza o su quelli sotto la loggia. I più grandi, si cimentavano invece con " i' cauagliucci' ", una specie di poker casereccio con carte napoletane, così chiamato perché il punto massimo era dato dalla coppia di cavalli: le partite si svolgevano al caldo delle cucine messe a disposizione a turno dei giocatori e proseguivano per ore, anche di notte mangiucchiano qualche "p'zzella" avanzata e dividendosi il fumo di qualche "Esportazione" rimediate con i soldi della " 'a 'ffèrta". Il trentuno dicembre, era un'altra vigilia importante. La sera in chiesa si cantava il " Tè Deum" e durante la funzione, il sacerdote comunicava i dati numerici relativi, ai matrimoni, alle nascite ed alle morti, -purtroppo, con il passare degli anni, le prime sono sempre inferiori alle seconde -. II primo gennaio, veniva indicato dal calendario come il giorno della Circoncisione di Gesù Bambino, parola questa che ci lasciava perplessi allora e che ancora oggi non è chiara a molti. Il tempo passava inesorabilmente; i compiti rinviati di giorno in giorno, producevano una preoccupazione che aumentava con l'avvicinarsi della fine delle vacanze. L'ultima festa, era il 6 gennaio, occasione per la "spedizione" di un'altra letterina allo stesso indirizzo, ma ... diverso destinatario: la Befana, "vecchia e simpatica megera" dispensatrice, a seconda delle sue simpatie, di regali o di cenere e carbone. Noi tentavamo di arruffianarciela con promesse di ogni tipo e lo facevamo " app'nnènn' l’ gazzètt " alla cappa dei camini di casa e dei parenti più stretti. -A tal proposito, ancora oggi ci rimane misterioso il motivo per il quale, la befana, si spostava cavalcando un scopa -. Eravamo comunque sicuri che con la "raccomandazione" dei nostri genitori, la signora Befana, ci avrebbe trattato bene. Ci svegliavamo con uh misto di ansia e di curiosità per ciò che avremmo trovato dentro "l’ gazzètt' ". Alla felicità iniziava ad accompagnarsi, una sottile, mal definita, vena di tristezza che andava man mano aumentando con il passare delle ore . Nel pomeriggio, si baciava il Bambinello durante la funzione della "Santa Infanzia", che era la cerimonia conclusiva delle feste. Alla sera, ogni sensazione di euforia e contentezza dei giorni precedenti erano scomparse, sopraffate dalla malinconia e dalla tristezza, al pensiero dei compiti ancora....... da finire !! Qualcuno di noi ripartiva per un viaggio, che durava allora tre ore, si andava a Roma, si tornava a scuola.
da: "La Voce di Villa" - Notiziario a cura dell'Amministrazione Comunale di Villa Santo Stefano dic. 2005 |