di
Carlo Cristofanilli
Girolamo
Colonna nacque ad Orsogna (Chieti) da Filippo, Principe di Paliano e Gran
Contestabile del Regno di Napoli, e dalla nobildonna napoletana Lucrezia
Tomacelli.
Dopo aver
compiuto gli studi giuridici in Spagna, presso l’università di Alcalá,
laureandosi in utroque iure, rimase presso la corte di Filippo IV.
Il 7 febbraio
del 1628, papa Urbano VIII lo creò cardinale con il titolo di S. Agnese in
Agone.
Il 28 febbraio,
del medesimo anno, Girolamo tornò a Roma, dove fu eletto arciprete della
basilica di S. Giovanni in Laterano e membro del S. Uffizio.
Alla morte del
cardinal Federico Borromeo, arcivescovo di Milano, molti pensarono a
Girolamo come successore alla cattedra di S. Ambrogio, ma non fu così,
infatti, il 24 novembre del 1632 fu nominato arcivescovo di Bologna.
Ritornato a
Roma nel 1639, cambiò il titolo cardinalizio con quello di S. Maria in
Cosmedin.
Con la morte
del padre, avvenuta l’11 aprile del 1639, Girolamo, a causa del diritto di
primogenitura sui beni per discendenza maschile, stabilita dal padre,
ereditò tutti i feudi di famiglia esistenti nello stato pontificio,
aggiungendo al titolo cardinalizio quelli di conte di Ceccano, marchese di
Cave, duca di Marino, principe di Paliano e Sonnino e del Sacro Romano
Impero.
Girolamo morì
il 4 settembre del 1666 a Finale Ligure, mentre accompagnava l’infanta di
Spagna, promessa sposa dell’imperatore Leopoldo I, in Germania.
Il suo corpo,
trasportato in Roma, fu sepolto nella cappella Colonna di S. Giovanni in
Laterano.
Come suo padre
Filippo, Girolamo aveva ereditato, oltre i beni, una grande passione per
la caccia che esercitava ogni volta che i suoi impegni istituzionali
glielo permettevano.
Da Roma,
accompagnato da numeroso seguito di gentiluomini e serventi, si portava al
palazzo avito della Tomacella (Patrica) e quindi per i territori di caccia
di Ceccano, Giuliano e S. Stefano.
Occorre dire
che i Colonna avevano stabilito una vasta zona di caccia riservata che
dalla Tomacella, attraverso la selva delle Celleta, si estendeva a
sinistra, lungo le falde del Siserno, nel versante di Ceccano e passando
quindi per il Passo della Palombara e Giuliano, costeggiando le macchie
del medesimo Siserno si dirigeva verso il bosco di S. Stefano e S. Lorenzo
fino ad arrivare a Vallefratta.
Appositi
guardiacaccia controllavano i cacciatori di frodo, comminando sanzioni
severissime.
Le battute di
caccia avvenivano durante i mesi invernali.
I cacciatori
portavano con sè, oltre ai cavalli, cani segugi, bretoni e bracchi.
Gli animali
presenti sul territorio erano cinghiali, daini, cervi, caprioli, lepri,
fagiani, starne, allodole ed altra cacciagione minuta.
La caccia
durava da due giorni ad una settimana ed i signori, dopo aver cacciato, si
riunivano "a tinello" per abbondanti pranzi.
Ci è rimasto il
resoconto amministrativo delle spese fatta durante la caccia del cardinale
Girolamo in S. Stefano nel 1632, mentre era ancora arcivescovo di Bologna.
L’erario di
Pofi così annota le spese fatte:
" A di 11 di
febraio 1632 in S. Stefano
Dati ad otto
contadini per ordine di S.E. che hanno servito per la sedia……….b.80
E più dato ad
un coriere ch’è venuto con lionese di S. E. un giulio e de elemosina a doi
filioli b.12
A
Federico decano, Giovan Francesco Mantuano, Pietro da Paliano, Camillo
modenese, Giovan Battista da Paliano, Francesco da Urbino, Meo da
Tagliacozzo, Scropolone s. 1,88
A di 13 di
febrai 1632 a la Tore [ Tomacella]
Dati a li doi
guardiani de la cacia di S. E. scudi doi
Dati a S.
Giovane al romito per ordine di S. E. b. 30 e più dato ad un stropiato di
S. Stefano b. 10
A doi altre
persone b. 2
Dato di
elemosina s. 2,45
A Federico
decano, Camillo modenese, Giovan Francesco mantuano, Pietro da Paliano,
Giovan Battista da Paliano, Francesco di Urbino, Meo da Tagliacozzo,
Scropolone b36 ciascuno, per un totale di scudi 5,33".
Talvolta
succedevano incidenti ai cavalli o ai cani, questi venivano portati al
palazzo della Tomacella, per essere curati, mentre i signori, al termine
delle cacce, sostavano ivi per qualche tempo.
Occorre far
notare che, oltre alle cucine interne al palazzo, sul lato sud del
medesimo vi era una moderna e bella osteria dove l’oste preparava ogni
specie di carne e di pesci di fiume e di mare, accompagnati da verdure
provenienti da Priverno e Sezze, e varie frutta, tra le quali spiccava il
melangolo, il tutto innaffiato da vino comprato a Frosinone.