Investigando tra le antiche e polverose carte dell’Archivio Colonna, attualmente conservate nella Biblioteca del Monumento Nazionale di Santa Scolastica in Subiaco,spesso mi sono imbattuto in documenti concernenti la distribuzione della copèta, data in occasione del Santo Natale. Ad onor del vero, il mio caro amico, prof. Tommaso Cecilia di Anagni, ne aveva già parlato in un convegno tenutosi in Morolo, ma il suo intervento si limitava a Morolo stesso e all’area sgurgolana ed anagnina. Questo mio articolo vuol mettere in evidenza l’importanza che la copèta ebbe in S. Stefano. Dobbiamo subito dire che la copèta altro non era che un dolce. Nel Dizionario etimologico italiano di Carlo Battisti e Giovanni Alessio, alla voce copèta (coppèta f.) troviamo scritto: " Dolce fatto di mandorle e pistacchi o noci e miele cotto, detto anche copata o cupata, in arabo "qubbàita", sorta di pasta con zucchero, mandorle e pistacchi". In Abruzzo tale dolce veniva chiamato cupéte, mentre nel tarantino, in Calabria e in Sicilia era chiamato cupèta. Indubbia la derivazione araba di tale dolce. Marcantonio I Colonna, il vincitore di Lepanto, ne fece un’usanza da distribuire "per fòco", cioè ad ogni capofamiglia, in occasione del Natale. La popolazione santostefanese non era numerosa, nel 1590, per fare un esempio, il paese contava 136 fochi con 559 anime. In una nota di conti, concernente S. Stefano, dell’anno 1541, troviamo scritto: " La corte è solita dar la colatione de natale et la matina de capo d’anno le zeppe et crespelle". Ma sono i registri dell’erariato di Pofi a menzionare la distribuzione della copèta fin dal 1625, anno d’impianto di tali registri, sebbene, come abbiamo già visto, l’usanza sia ancora più antica. In pratica i Colonna non mandavano direttamente tali dolci ai loro vassalli, ma assegnavano ad ogni comunità una certa somma atta a pagare il fornaio del forno comunitativo. La somma veniva data dall’erario di Pofi, cioè dall’amministratore dei Colonna per lo Stato di Pofi, ai luogotenenti dei vari luoghi baronali, cioè a coloro che amministravano il paese, che ne rilasciavano ricevuta. A questo punto dobbiamo dire che i feudi di S. Stefano e Morolo, vennero venduti da Ildebrandino Conti, per mezzo di procura fatta al figlio Alto, nel 1425, e acquistati da Prospero ed Odoardo Colonna. Da questa data dunque i Colonna divennero signori di S. Stefano, con alterne e note vicende, fino al 1816. Ora, dai documenti visionati risulta che S. Stefano riceveva annualmente per la copèta scudi nove e mezzo. Un privilegio rispetto agli altri paesi anche più popolati che ricevevano, generalmente, dai quattro ai cinque scudi e mezzo. Ma anche i Santostefanesi non erano meno generosi verso il loro signore, tanto che nelle loro regalìe date figura anche una vitella, mentre gli altri paesi feudali si limitavano a pollastri, capponi, prugnoli e cacciagione minuta. Va anche rilevato che la copèta, sebbene distribuita alla vigilia del Natale, veniva consumata il giorno dopo, come " colazione di Natale", in quanto nella vigilia di tale festività vigeva il divieto di mangiare dolci, divieto che finiva dopo la messa di mezzanotte. Talvolta alla copèta i Santostefanesi aggiungevano pure le frittelle. L’usanza di dare la copèta, continuò nei paesi soggetti alla giurisdizione dei Colonna, fino alla rinuncia dei feudi (1816). Una dolce tradizione natalizia che potrebbe essere ripristinata, magari riservandola ai solo bambini, da coloro che si prodigano per le varie manifestazioni culturali e culinarie, trovando posto tra le numerose e belle sagre contemporanee.
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up. 12.8.2009
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