Presentazione del dott. Alfredo Gabriele | Premessa dell’Autore | Il notaio Antonio Filippi | Notizie storiche | Il protocollo | Gli atti | Appendice documentaria | ||
CARLO CRISTOFANILLI IL NOTAIO ANTONIO FILIPPI DI S. STEFANO "MAGISTER DOMUS" DELL’OSPEDALE DI S. MARIA DELLE GRAZIE E DELLA CONSOLAZIONE IN ROMA Lo studioso Carlo Cristofanilli, che da decenni studia i documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Frosinone e di tanti altri archivi, locali e nazionali, avendo rinvenuto presso il Fondo notarile distrettuale di Ceccano, atti riguardanti il grande ospedale romano di S. Maria delle Grazie e della Consolazione, ha ritenuto studiarli e trascriverli. Il contenuto di tali documenti, per essere questi collocati nel periodo compreso tra il 1539 ed il 1617 e per essere pertinenti all’amministrazione del suddetto ospedale romano, illumina vari aspetti dell’organizzazione ospedaliera dell’epoca e può aggiungere altre informazioni su eventi della vita sociale dello stesso periodo. I lasciti dei moribondi a beneficio dello stesso ospedale indicano le disponibilità in beni mobili, come anche le necessità per gli arredi interni del luogo di ricovero. Si apprende in qualche atto la breve informazione sulla causa del ricovero di chi, per esempio, aveva ricevuto una ferita mortale in una lite e dettava le sue ultime volontà concedendo al feritore " pace e sicurtà". Qualcuno, sotto la patria potestà, poteva concedere il perdono a colui che lo aveva mortalmente bastonato dietro consenso del padre; per qualche altro non manca l’indicazione dell’attività artigianale abitualmente svolta e della provenienza extraurbana. I testimoni presenti alla stesura degli atti sono spesso inservienti, chirurghi, barbieri, funzionari ed infermieri dello stesso ospedale e per i moribondi non manca l’indicazione del numero di letto occupato. Nella casistica prevalgono ferite per atti violenti verificatisi per le strade di Roma e, talvolta, anche dentro le mura domestiche, come nel caso della " discreta donna Giovanna di Giovanni Marciante della Valle di Lanze in Piemonte" la quale concedeva pace e sicurtà al marito, parmense e pollaiolo a Campo dei Fiori, il quale l’aveva ferita al capo, percuotendola in casa con un boccale. "… me ricordo che un giorno de questi giorni rietro, Battista mia marito me disse o Joanna vattene in alto in casa a cena et io replicando non ci volere gire pregandolo per amor di Dio de lassarme stare et attaccandomi per il braccio dicendo tuttavia vattene sopra et io così li detti un pugno nel viso et all’hora Battista mio marito pigliò un boccalo e con detto bocale me fece una ferita nella mia testa". Altri episodi di aggressioni vengono narrati da altri, mercanti ed artigiani presenti in Roma ma provenienti chi da Argenta, chi da Mantova, chi da Capua, Tagliacozzo, Carrara. Si trovano ricoverati anche persone provenienti da alcuni centri della Ciociaria, come Priverno, Vico di Campagna, oggi Vico nel Lazio e Affile. Nelle narrazioni emergono: il gergo romano dell’epoca, gli oggetti artigianali, gli archibugi e gli arnesi da lavoro. I quadretti di risse, insulti ed accoltellamenti si ritrovano sinteticamente ed efficacemente narrati dalle persone ricoverate, così come oggi si narrano nelle pagine di cronaca dei quotidiani. Liti coniugali, alterchi tra ubriachi in osteria ed altre vicende vengono tutte narrate dalla viva voce dei feriti e fedelmente registrate dal notaio, il santostefanese Antonio Filippi, nella sua veste di " Magister Domus". Dott. Alfredo Gabriele
Non è cosa di tutti i giorni trovare, un intero protocollo del Cinquecento dedicato ad un ospedale romano, in un archivio di provincia. Il notaio Antonio Filippi di S. Stefano ci ha lasciato atti che vanno dal 1539 al 1617 e che sono conservati presso l’Archivio di Stato di Frosinone, nel Fondo distrettuale notarile di Ceccano. Di questo notaio, nato all’inizio del Cinquecento, conosciamo ben poco della sua vita, ma da quel poco, che lui stesso ci fa sapere, apprendiamo che era un personaggio stimato, in un " polo ospedaliero", quale era quello degli ospedali riuniti della Beata Vergine delle Grazie, del Portico e della Consolazione, fra i più importanti di Roma. Mettere in luce l’opera del notaio Filippi vuole essere una riscoperta, per i Santostefanesi, di quei suoi concittadini che, in ogni tempo, hanno dato lustro alla loro patria, ed insieme un incitamento ai giovani a ben operare. Un ringraziamento va all’ Amministrazione Comunale che ha finanziato la stampa e un grazie sincero all’amico, dott. Alfredo Gabriele, per l’onore che mi ha fatto presentando questa mia modesta fatica. Carlo Cristofanilli
Di lui sappiamo che nacque nel castello di Sancto Stefano de Valle all’inizio del XVI secolo. Compì gli studi in Roma e divenne notaio " per autorità Apostolica" prima del 1539. In Santo Stefano aveva la sua abitazione nel vicolo della Portella. Nel 1551 stipula la promessa di matrimonio con il signor Marco Antonio Bolognese, per prendere in moglie la di lui figlia Altobella, matrimonio che verrà celebrato nel 1552. ( Vedi: Appendice docc. 3-4 ) Dal matrimonio nacque un figlio, del quale non conosciamo il nome. La sua attività di notaio il Filippi la svolse in Roma e in Santo Stefano. Verso la seconda metà del XVI secolo lo troviamo come "magister domus", in Roma, presso l’ospedale della Madonna delle Grazie e della Consolazione. Dopo un periodo nel quale ritorna in Santo Stefano, il 25 febbraio del 1559 ritorna a Roma, richiamato dai guardiani dell’ospedale, dove resterà per circa un decennio. Ritornato a Santo Stefano dovette subire le angherie di alcuni Santostefanesi, in particolar modo di Antonio Croce, nipote dell’arciprete e suo figlioccio che istigarono una donna per accusarlo di aver fatto morire una sua figlia e di aver rubato i beni dell’ospedale della Consolazione. Arrestato e messo in prigione nel carcere di Genazzano, subì, oltre alla consueta inquisizione da parte dell’Uditore della Corte del principe Marcantonio II Colonna, anche il processo promosso dai dirigenti dell’ospedale romano. Difeso da mastro Pietro Gelo, autorevole membro della Compagnia della Consolazione, venne riconosciuto totalmente innocente dalle accuse a lui fatte. ( Vedi: Appendice doc. n.5) Ritiratosi definitivamente in Santo Stefano continuò ivi la sua professione di notaio. Non conosciamo l’anno della morte, avvenuta sicuramente nella primissima metà del XVII secolo. Dei suoi atti ci restano, oltre a quelli rogati in Roma, conservati presso l’Archivio Capitolino e di Stato, quelli conservati nell’Archivio di Stato di Frosinone, Fondo notarile di Ceccano, dei quali ci restano cinque protocolli, che coprono un arco di tempo che va dal 1539 al 1617.
Le notizie sull’origine della chiesa di S. Maria della Consolazione ci vengono narrate dal Bruzio: " Su quella strada corrispondente all’antico Vico Iugario v’erano i granari dei Mattei, patrizi romani. Nel portico di quelli v’era un’immagine della s. Vergine, alla quale raccomandandosi una pia madre, il cui figlio innocente era stato carcerato e condannato a morte per malefizi, la s. Vergine gli disse, consolandola, che il figlio non sarebbe morto, ma miracolosamente salvo dalle forche. Dopo di ciò i fedeli offrivano spesso doni a quest’immagine e ne fu data la cura alla confraternita di S. Maria in Portico. Presso quei granari v’era pure un piccolo ospedale, vicino al quale fu poi fabbricata la chiesa alla Vergine della Consolazione. Questi fatti accaddero poco prima del 1460". L’Armellini, nella sua opera, così prosegue: " La chiesa fu consecrata ai 3 novembre 1470, come riferisce Stefano Infessura nel suo diario. Alessandro VII la unì al vicino ospedale di s. Maria delle Grazie, a cui poi fu congiunto quello di s. Maria in Portico. Il Bruzio lesse nell’orto adiacente all’ospedale, in un’ urna che serve di fontana, la seguente epigrafe pagana: D. M. IVLIVS ITALVS ET IVLIA PHILETE. IVLIO DECIANO LIBERTO BENEM ERENTI. – D. M. CVRTIAE LEVCIPPE MATRI.
Egli è però da osservare che la divota imagine suddetta si venerava in una piccolissima e deforme chiesolina addossata ai ricordati granai dei signori Mattei. L’ospedale della Consolazione, colla chiesa suddetta, fu edificato sotto Callisto III." Sempre dall’Armellini leggiamo: " S. Maria delle Grazie. E’ stata da pochi lustri trasformata in corsia nell’ospedale della Consolazione. Anticamente era detta s. Maria di Cannapara, ed ivi all’epoca di Paolo v’era una chiesolina semiabbandonata, giacente in luogo basso e umilissimo. Ai tempi del suddetto papa, Pier Giovanni Florenzio Patrizi abate perugino, che Paolo V elevò a vescovo di Nocera, migliorò quella chiesa che prese il nome delle Grazie e che fu incorporata all’ospedale. Dinanzi alla medesima, precisamente all’angolo della basilica Giulia, vi era il cimitero dello spedale; ed è per questa ragione che scavandosi in quel luogo alcuni anni fa vi si rinvennero moltissimi avanzi di cadaveri. Nell’archivio vaticano ho trovato un transumptum della bolla di s. Pio V ubi concedit iubilaeum porrigentibus manus adiutrices pro ecclesia s. Maria della gratia in platea Pontis (?) de urbe annexa ospitali Consolationis a. 1586, 14 aug.2". Posto fra i Rioni Monti e Trastevere, l’ospedale della Consolazione con il tempo divenne il più grande " pronto soccorso" di coloro che venivano feriti nelle frequenti risse, considerato anche come " l’ospedale del popolo". In questo ospedale vi trovò rifugio anche Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, allorché venne colpito da febbri malariche.Per chi volesse approfondire la storia della chiesa e dell’ospedale consigliamo di leggere: P. Fernando da Riese Pio X, S. Maria della Consolazione, ed. Roma 1968.
Il protocollo del notaio Antonio Filippi, di S. Stefano, è conservato nell’Archivio di Stato di Frosinone, nel Fondo notarile di Ceccano, S. Stefano prot. n. 63, un tempo ricoperto con pergamena, poi staccata e conservata nel medesimo archivio ( perg. 259 [47] ). Contiene atti che vanno dal 1559 al 1561 e inizia con la seguente dichiarazione: " Antonio Filippi del castello di S. Stefano, diocesi di Ferentino in Campagna, notaio per autorità Apostolica in vigore delle lettere a lui date dai nobili uomini D. Giovanni Filippi di ser Lupis, Valerio de Cincii, cittadino romano, e d. Ferdinando de Torres, spagnolo, custode e guardiano della Venerabile Società e ospedale Beata Maria delle Grazie in Portico e Consolazione de Urbe da me Antonio emanate nello stesso castello di S. Stefano, sotto la data del 18 febbraio dell’anno 1559 mi sono portato di nuovo nell’Urbe presso il maestro della casa del prefato Venerabile ospedale della Consolazione e sotto il giorno 25 del mese di febbraio sono subentrato nel medesimo ufficio di magistrato, dove prima, per molti anni, ho esercitato tale ufficio, dove assentatomi per i miei affari, l’ho ritrovato in grave disordine ed ho istituito il seguente protocollo, mettendovi il mio segno a perpetua memoria". Il notaio Antonio Filippi si sottoscrive come " magister domus" del suddetto ospedale. Tra gli atti del notaio Marco Tambucci, del medesimo fondo notarile, nel protocollo 59, sono stati trascritti i seguenti documenti, riguardanti il Filippi : " Si fa menzione oggi 21 del mese di febbraio 1559 qualmente io Antonio Filippo notaio ho trasmesso lettere in Roma al magnifico e nobile uomo signor Giovanni Filippo Serlupi, cittadino romano, e a Ferdinando de Torres, spagnolo, e a Valerio de Cincij, cittadino romano, guardiani e custodi della Beata Maria delle Grazie in Portico e della Consolazione di Roma". Precedentemente da Roma era stata indirizzata " Al magnifico notaio Antonio Filippo di Santo Stefano, amico nostro carissimo" la seguente lettera: " Magnifico notaio Antonio. Dovete sapere qualmente Simone, giovane di casa della Consolazione, è morto tanti giorni fa et subito pigliassimo risolutione di haverci a servire di Voi et per via di gaitani pisciaroli et per huomini di Piperno vi habiamo scritte duj nostre lettere del quale siamo restati mirati che nulla vi habiate dato risposta et perché lo loco pate et da molti siamo molestati che vorrebono intrare in detto offitio, ci è parso per servitio di detto loco elegere et deputare Voi per maestro di casa et a tale effetto mandiamo il presente ad posta con nostre lettere ad trovarla. Siate contento subito di venire a fare il servitio di detto pio loco, oltra che ne farrete ad noi grande piacere, ritrovandoci al presente guardiani, expediteci subito perché vi aspettiamo in gran maniera, dall’altra banda farrete anche servitio a ns. Alexandro di Ciriaco Mattei et ad tanti altri gentilhuomini quali vi amano. Non altro. Dall’Ospedale della Consolatione di Roma a di 18 di febraro 1559 Al vostro servitio Francesco Filippo Serlupis guardiano Valerio Cencio guardiano Fernando di Torres guardiano".
Il 22 febbraio il Filippi annota: " Vista la sopradetta lettera sono partito dal castello di S. Stefano per portarmi a Roma, accompagnato con Pietro da Norcia, del medesimo castello ed esibitore delle lettere". Ed ancora il 24 febbraio scrive. " Mi sono presentato davanti ai magnifici guardiani della Beata Maria della Consolazione di Roma, e dopo molti discorsi tenuti fra noi, si è tenuta la congregazione". Il 25 il Filippi annota: " Ho ricevuto l’officio di magistrato dell’ospedale della Beata Maria delle Grazie in Portico e della Consolazione da parte del signor Giuseppe Biasio, mantovano, camerario nel detto ospedale ed ho preso subito l’ufficio". Nel maggio del 1561 il notaio lascia l’ospedale e ritorna a S. Stefano, come lui stesso annota: " Sit mentio qualiter ego Antonius Philippi motu proprio et ex causa Aeris hospitalis Consolationis et presertim de hestate corrupti et infecti et multa contra me laborante. Adeo que tempore hestatis in lecto infirmitate ducti pro maiori parte laborabit. Propterea ab officio magistratum dicti hospitalis Consolationis sponte ac motu proprio et conscientia similibus me absentare voluit et ab Urbe discessi ipso die prima mensi Maij 1561 et ad patriam redij. Derelictis pro custodibus dicti hospitalis Magnificis d. Joanne Augustino Marcellino ci. r. nec non d. Andrea Peluchio de Civitate Castelli et Francisco de Cincij etiam ci.r. et pro camerario d. Berardino de Comitibus ideo ad futuram rei memoriam in praesenti prothocollo manu propria". Occorre a questo punto dire che il protocollo in questione è formato da atti di pace e da testamenti, atti fatti rogare dalle persone ferite o gravemente malate, uomini e donne, presenti nei due ospedali riuniti. Il Filippi, attraverso i suoi atti, ci mostra uno spaccato dei costumi e del modo di vivere nel Cinquecento laziale, descrivendoci, altresì, la situazione circa l’assistenza ospedaliera in questi ospedali romani.
Gli atti, come di consueto, sono scritti in latino, fatta eccezione di alcuni racconti resi dai pazienti in un italiano volgare. Riportiamo di seguito i regesti degli atti rogati dal notaio Filippi:
Lunetta Corsi Il primo atto porta la data del 5 marzo 1559 e concerne il testamento di Lunetta Corsi, moglie di Pietro di Faloni Corsi, ricoverata nell’ospedale della Consolazione. Tra le varie disposizioni vi è quella di essere sepolta nella chiesa della Consolazione e per questo lascia all’ospedale un materasso, una rete, due paia di lenzuola, due cuscini, una vettina, un’arca per fare il pane, un armadio, una sottana con veste di panno verde e due camicie, nominando altresì l’ospedale suo erede universale. L’atto viene rogato nel reparto delle donne del suddetto ospedale, alla presenza dei testimoni: d. Giovanni Micheli del fu Antonio di Monte Varidi, fiorentino, cappellano della chiesa delle Grazie; Giovanni del fu Adriano; sig. Vico Flondo, procuratore nel suddetto ospedale; Filippo Juliani Lati Flondo; Lino fr. Paolo del fu Silvestro, fiorentino; Bastiano del fu Giulio di Andrea Genovese e Matteo, figlio dell’ospedale della Consolazione.
Masio del fu Cola Leo di Priverno Il 20 marzo 1559 Masio, del fu Cola Leo di Priverno, ricoverato nell’ospedale, perché ferito alla coscia destra da Teco Riccio corso, nel procoio di Alessandro di Cirineo Mattei a Vaccarese (Maccarese?), per futili motivi, concede al suo feritore pace e sicurtà. L’atto viene rogato nell’ospedale, presso il letto del ferito, segnato con il numero 12, alla presenza dei testimoni: d. Giovanni Lia, magnifico priore del detto ospedale e Hieronimo o Travaldi, figlio del fu Silvestro Corsi e di Giovanni Saporito di Priverno.
Crescenzio del fu Nicola de Lellis Nel medesimo giorno ed anno, Crescenzio, del fu Nicola de Lellis, fabbro, della terra di Cesare, del comitato di Tagliacozzo, ricoverato nell’ospedale, essendo stato ferito, fa rogare il proprio testamento. Tra le disposizioni impartite ordina di essere sepolto nel cimitero presso l’ospedale, per la qual cosa lascia i diritti di sepoltura e le candele per gli uffici funebri. Dichiara di essere stato al servizio del magnifico signore Antonio dei Massimi, come marescallo o fabbro, per cinque mesi, con salario di trecentocinque giuli al mese, ed asserisce ancora di aver ricevuto solamente scudi tre in moneta. Dispone che la somma residua sia devoluta ai suoi eredi. Dichiara altresì di essere creditore di libre dieci, di giuli dieci, con Giacomo Garganico, per un amichevole mutuo, la qual somma lascia, come legato, all’ospedale. Nomina suoi eredi universali i fratelli Berardino e Isabella, con uguale porzione. L’atto viene rogato nell’ospedale, presso il suo letto segnato con il numero 21, alla presenza dei testimoni: presbitero Alegritto d’Abruzzo, cappellano nel detto ospedale; Giovanni Flamengo ser Teutonico, ospitalario nel detto ospedale; maestro Francesco de Albinis, aromatario nell’aromataria del detto ospedale; Benedetto di Pietro Santi dell’Ornaro; Sano del fu Simeone di Sinolonga, senense, servitori nel detto ospedale e maestro Giovanni Matteo di Giulio di Roscitto, fabbro di Tagliacozzo. Con altro atto, fatto rogare nel medesimo giorno, Crescenzo de Lellis, concede pace e sicurtà ai suoi feritori Buttaro e Michantonio di Corcumello.
Nicola del fu Berardino Francesco di Petreto Il 2 maggio 1559 Nicola del fu Berardino Francesco de lo Petreto, corso, ricoverato all’ospedale perché ferito al capo, alla gola, al braccio sinistro, alla mano e alla coscia destra, concede pace e sicurtà ai suoi feritori, fratelli Giovanni Antonio e Marcello, de Podico S. Maria, del comitato dell’Aquila e a Giovanni Angelo, del medesimo luogo, e a Romano de Pizolo, del comitato dell’Aquila, per le percosse e ferite a lui inferte nella tenuta del signor Flanino dei Lanzi in Roma, dal volgo chiamata la tenuta Mala Festa, durante una grande rissa. Atto rogato nell’ospedale, presso il letto del ferito segnato con il numero 25, posto nella cameretta dove solitamente si tengono i feriti, alla presenza dei testimoni: signor Giuseppe Bosio, mercante nell’Urbe; di Pellegrino del Regno della Fonte, al presente camerario nel detto ospedale e del signor Francesco de Straballatis, notaio, cittadino romano del Rione S. Angelo. Nel medesimo giorno, Nicola del fu Berardino Francesco de lo Petreto, concede pace e sicurtà ai suoi feritori, fratelli Giovanni Antonio e Marello de Podio S. Maria, comitato dell’Aquila e a Giovanni Angelo, del medesimo luogo, nonché a Romano de Grizolo, del medesimo comitato dell’Aquila.
Angelo di Bartolomeo di Giacomo da Rieti Il 2 giugno 1559 il discreto giovane Angelo di Bartolomeo di Giacomo da Rieti, ricoverato nell’ospedale perché ferito al volto con un bastone, con il consenso di Bartolomeo di Giacomo, suo padre, concede pace e sicurtà al suo feritore Salvatore di Colle, del comitato di Norcia, ospitato nell’Urbe, nel luogo chiamato Porta Leone. Atto rogato nell’ospedale, presso il letto del ferito segnato con il numero 19, alla presenza dei testimoni: maestro Evangelista Stazio, cittadino romano, del Rione Campitelli, medico chirurgo nel suddetto ospedale e del signor Cesare de Vellis, cittadino romano, del Rione S. Angelo e di Rosato del fu Giovanni Santi de lo Piano de Amerino, comitato di Norcia. Nel medesimo giorno ed anno il padre di Angelo concede la pace e sicurtà al feritore del figlio. Atto rogato in Roma, nella casa degli eredi del fu Giovanni Santi, norcino, posta nel luogo detto la Bufala, nel Rione Ripa, alla presenza dei medesimi testimoni. Segue ancora un atto di pace del medesimo Angelo.
Margarita de Curtio di Villa S. Liberio Il 10 giugno 1559 la discreta donna Margarita de Curtio di Villa S. Liberio, moglie di Antonio Bevilacqua di Sora, ricoverata nel detto ospedale, non volendo morire intestata, fa rogare dal notaio, il proprio testamento nuncupativo. Vuole essere sepolta nella sua parrocchia, nella chiesa di S. Chirico. Lascia a donna Angela, sua figlia, i mobili, le suppellettili e la casa posta in contrada Prati, disabitata, e una casa posta nella contrada detta, appresso la casa della chiesa, e una possessione posta nel territorio di Villa S. Liberio, nella contrada detta al Balivo. Lascia a Guglielmo, suo figlio, tutto quello che con testamento lasciò il signor Cesare Giudici, cittadino romano del Rione Monti. Atto rogato in Roma, in contrada Monti, vicino Torre dei Conti, alla presenza dei testimoni: signor Paolo Barberini da Pistoia, taverniere nella regione Monti; di Francesco di Baldo de Sterpaiolo, perugino, ciambellaro; di Geronimo del fu Andrea Carretta, veronese, macellaro in Urbe, al Popolo; di Simone Giovanni da Montopoli, macellaro alla seropho; del signor Giovanni Giacomo de Lattantiis di Monte Assunta, sabino, fattore del reverendissimo signore Cristoforo de Curzio; di Leonardo del fu Silvio Guerini, gallo, acquarolo in Urbe; di Normandia, e di Giovan Francesco, senense, vignarolo nell’Urbe.
Laura di Motta di Cremona Il 21 giugno 1559 l’onesta donna Laura di Motta di Cremona, inferma nell’ospedale, fa rogare il proprio testamento. ( testo illeggibile) Atto rogato in Roma, nell’ospedale delle donne, alla presenza dei testimoni: Sebastaino Genovese, dispensiere nel detto ospedale; di Fabiano di Monte Fano, barbiere nel detto ospedale; di Giovanni Antonio de Lellis, orvietano, onzionario nel detto ospedale; di Francesco del fu Giovanni di Paolo, veneto, dimorante nell’Urbe, e del presbitero Battista, cremonese, cappellano nel detto ospedale.
Mastro Paolo de Zucharis di Mercatello Il 25 giugno 1559 mastro Paolo de Zucharis di Mercatello, fabbro ossia marescallus di Statofini, comitato di Urbino, ricoverato all’ospedale, perché ferito al braccio sinistro, da pace e sicurtà al suo feritore, signor Giuseppe de Ysac, mantovano. Atto rogato nell’ospedale, presso il letto del ferito segnato col numero 24, alla presenza dei testimoni: signor Bartolomeo Galiano, cittadino romano, del Rione Trastevere; del signor Anibale de Sorbis, cittadino romano, del Rione Arenula e del presbitero Battista, cremonese, cappellano nel detto ospedale. Seguono due altre copie sincrone.
Pietro del fu Pietro de Latra di Bisantone Il 28 giugno 1559 Pietro del fu Pietro de Latra di Bisantone, borgognone, domestico del signor Fabio de Crescenzi., ferito al capo ed alla schiena ed in altre parti del corpo, perché non aveva portato rispetto al signor Curzio " facendo lo Amor con una fantesca di detto signor Curzio", da pace e sicurtà al suo feritore, signor Curzio de Toscanellis, cittadino romano, del Rione S. Eustachio. Atto rogato in Roma, presso il letto del ferito segnato col numero 23, alla presenza dei testimoni: don Gentile Tamburrino, chierico di Senigallia; di don Dionisio Seropa di Pontremolo e del chierico Luneri, sarzanese.
Domenico del fu Barsi de Valeris di Firenze Il 4 luglio 1559 Domenico del fu Barsi de Valeris di Firenze, ricoverato nell’ospedale perché ferito alla testa il 19 giugno, mentre dimorava nella casa della signora Lorenza al Borgo Vecchio, con l’asta di una picca, da pace e sicurtà al suo feritore Roberto Funario. Atto rogato in Roma, presso il letto del ferito segnato col numero 17, alla presenza dei testimoni: maestro Evangelista de Statiis, cittadino romano, del Rione Campitelli, medico chirurgo nel detto ospedale; del signor Sebastiano Silvestri dell’Ornaro, ospedaliere e di don Battista cremonese, cappellano nel suddetto ospedale.
Santo del fu Profilio del castello di Cesano Il 12 luglio 1559 Santo del fu Profilio, del castello di Cesano, suddito dell’illustrissimo signore Paolo Giordani, infermo presso l’ospedale, fa rogare il proprio testamento. Tra le varie disposizioni ordina di essere sepolto nel cimitero dell’ospedale. Atto in Roma, nell’ospedale, presso il letto numero 28, alla presenza dei testimoni: Pietro o Pietrino de Cambellis; di Domenico del fu Giordano d’Orvieto; di Matteo del fu Ludovico Palmisani; di Nicola del fu Giovanni Francesco di Città di Castello, servitore nell’aromataria del detto ospedale e di Benedetto Colechino dell’Ornaro.
Antonio del fu Antonio Picardi, gallus Il 27 luglio 1559 Antonio del fu Antonio Piccardi, gallus, ricoverato nell’ospedale perché ferito da una coltellata al ventre, da un certo giovane, concede pace e sicurtà al suo feritore. Atto rogato in Roma, presso il letto dell’ospedale con il numero 25, nella cameretta dove abitualmente vengono messi i feriti, alla presenza dei testimoni: presbitero Battista cremonese, cappellano; Giovanni de Lellis de Corgneto, ospitalario nel detto ospedale e mastro Fabiano di Monte Santo della Marca, barbiere nel detto ospedale.
Domenico del fu Fioravanti, detto Ciavaglitto, del castello di Vico in Campagna. Il 2 agosto 1559 Domenico del fu Fioravanti, detto Civaglitto, del castello di Vico in Campagna, diocesi di Alatri, ricoverato nell’ospedale, dichiara di aver ricevuto in contanti scudi 75, in ragione di carlini 10 a scudo, dal signor Alessandro del fu Onofrio, del medesimo luogo, come per apoca scritta dal signor Flavio di Veroli e promette di restituirli a richiesta. Atto in Roma, nel Rione Ripa, nell’ ospedale della Beata Vergine delle Grazie in Portico e della Consolazione, alla presenza dei testimoni: mastro Simeone del fu Geronimo Cicerone di Torre in Sabina, aromatario nell’ospedale della Consolazione; del signor Ludovico Turrino, senese, dimorante nell’Urbe sopra Marforio e Agostino del fu Lorenzo di Sorano, dimorante nell’Urbe, nel Rione Trastevere.
Valeriano del fu Sebastiano Marinelli di Affile Il 4 settembre 1559, sede vacante per la morte del papa Paolo IV, Valeriano del fu Sebastiano Marinelli, del castello di Affile dell’abbazia di Subiaco, dona a Giovanni del fu Morgante di Giovanni Micheli della terra di Subiaco, suo fratellastro, i suoi beni mobili ed immobili situati in Affile. Atto rogato in Roma, nell’ospedale della Beata Vergine delle Grazie in Portico e Consolazione, nel rione Ripa, presso il letto numero 22, alla presenza dei testimoni: signor Achille Rocco, notaio della regione Trevi; di maestro Simeone Cicerone, aromatario di Torre in Sabina; del signor Sebastiano Silvestri di Ornaro in Sabina, ospedaliere; del signor Giovanni della terra di Subiaco e di maestro Gerolamo di S. Angelo di Subiaco. ( Altra copia sincrona)
Andrea del fu Cesare Brunetti della Pergola Il 2 ottobre 1559, Andrea del fu Cesare Brunetti della Pergola, diocesi di Gubbio, ricoverato presso l’ospedale, nel letto numero 17, perché malato, fa rogare il proprio testamento. Atto rogato in Roma, nell’ospedale, alla presenza dei testimoni: don Antonio de Petuzzi della Pergola; di Manno del fu Giovanni Negri da Pisa; di Sebastiano del fu Cristoforo da Trivignano: di Francesco, detto Montefalco, del fu Michele di Bertozzo di Montefalco; di Ascanio di Loreto, romano; di Sebastiano de Melis, genovese, tutti famigli presso l’ospedale e di Simone Cicerone di Torre in Sabina, aromatario. ( Altra copia sincrona).
Domenico del fu Giovanni Francesco fiorentino. Il 7 ottobre 1559, Domenico del fu Giovanni di Francesco fiorentino, di professione macellaio in Roma, nel luogo detto " Sotto il Paradiso", ferito alla natica sinistra, con un pugione, da Antonio del fu Stefano de Catandis da Castrofonte milanese, da pace e sicurtà al suo feritore Tullio Senese, e " vulgariter loquendo" : "Sono stato ferito e poi pestato per caso fortunato stando a burlare insieme in una casa di Tulio Senese, alla piazza delli fornari, alla chiavica de cafarelli". Atto rogato in Roma nell’ospedale, nel letto segnato n° 29, alla presenza dei testimoni: signor Lorenzo del Samo, della città di Campello; del signor Antonio di Domenico Floreni e del signor Giovan Battista, di Castellone di Firenze.
Andrea del fu Giovanni Andrea de Calvis Il 2 novembre del 1559, il discreto uomo Andrea del fu Giovanni Andrea de Calvis, carrettiere di Villa S. Benedetto, diocesi di Fano, dal letto dell’ospedale, dove giace infermo, fa redigere il suo ultimo testamento. Ordina di essere seppellito nella chiesa di S. Maria della Consolazione, davanti al SS. mo Crocifisso, dove è il suo sepolcro, lasciando in suffragio scudi 4 a favore della suddetta chiesa. Lascia giuli 24 da dare a Santo di Berardino di Tremonti d’Abruzzo, marsicano, ospite in Roma presso il Ponte di S. Maria " ad signum Angeli". Presente e accettante. Lascia giuli sei da dare al suo compare, calabrese, carrettiere abitante in Trastevere, per un mutuo a lui concesso. Lascia giuli dieci da consegnare a favore della chiesa della Consolazione a Gaspare, carrettiere romagnolo, per un mutuo da lui contratto. Lascia scudi due al sacerdote Matteo Musto capuano, cappellano nella chiesa di S. Maria delle Grazie e confessore degli infermi nell’ospedale della Consolazione, per la celebrazione delle messe di S. Gregorio. Asserisce di essere creditore di giuli due bolognini per un mutuo contratto, da dare al suo esecutore testamentario. Dichiara di aver un credito di giuli tre con Francesco carrario. Dichiara di essere creditore di scudi undici, in moneta di giuli dieci, con Santo di Berardino di Tremonti. Lascia una cassa ed un’accetta a Paolo del fu Giovanni da Foligno, suo nipote, presente ed accettante. Lascia a Santo di Berardino una coperta bianca, che è presso di lui. Infine lascia tutti i suoi beni mobili ed immobili a Bartolo, suo fratello, nominando Santo suo esecutore testamentario. Atto in Roma, nell’ospedale, nel letto segnato col n° 24, alla presenza dei testimoni: don Paolo de Sanctis di Castro Podio, medico fisico nel detto ospedale; di Manno del fu Giovanni Negro di Pisa, unzionario e infermiere nel detto ospedale; di Biagio del fu Antonio di Picinisco, untore nel detto ospedale; di mastro Fabiano del fu Gerolamo di Montesanto (Ferrara), barbiere nel detto ospedale e di Giovanni De Lellis di Orvieto, ospitalario nell’ospedale suddetto. Il 2 novembre, il medesimo Andrea concede la pace e il perdono ai suoi feritori Antonio di Narduccio di Alveto, diocesi di Sora, e ad Angelo del fu Stefano di Larcidiacono, cittadino romano del Rione Campitelli, che l’avevano ferito al capo, al braccio sinistro e al fianco destro, dandogli la stretta di mano e il bacio sulla bocca. Atto in Roma , presso l’ospedale, alla presenza dei testimoni: signor Emilio de Rubeis, detto de Nirco, notaio capitolino: di Giovanni de Lolli, da Corgneto, ospedaliere nel suddetto ospedale e di Bastiano del fu Giovanni de Melis, dispensiere nell’ospedale medesimo. Ancora il 12 novembre del 1559, sede vacante per la morte di papa Paolo IV, il medesimo Andrea concede nuovamente pace e sicurtà ai suoi feritori. Nell’atto viene detto che la causa della rissa fu la valutazione di uno scudo d’oro, che i due ritenevano essere falso, Andrea, andato in casa aveva preso una spada, ma nel tafferuglio ebbe la peggio. Il documento viene stilato alla presenza dei signori descritti nell’atto precedente.
Giovanna di Giovanni Marciante della Valle di Lanze Piedimonte Il 22 novembre del 1559, sede vacante, la discreta donna, Giovanna di Giovanni Marciante, della Valle di Lanza Piedimonte, moglie di Battista del fu Pietro de Vicinis, parmense, pollaiolo in Roma, a Campo di Fiori, a letto presso l’ospedale delle donne, ferita alla testa, concede pace e sicurtà al marito, che l’aveva ferita dandogli in testa un urceo o boccale, con effusione di sangue, come dal seguente racconto fatto dalla stessa donna al notaio" vulgariter loquendo": "Ve noto che causa si fu de questa me ricordo che un giorno de questi giorni rietro, Battista mio marito me disse o Joanna vattene in alto in casa a cena et io replicando non ci volere gire pregandolo per amor di Dio de lassarme stare et attaccandomi per il braccio dicendo tuttavia vattene sopra et io così li detti un pugno nel viso et all’hora Battista mio marito pigliò un boccalo et con detto bocale me fece una ferita nella mia testa". Atto rogato nell’ospedale, alla presenza dei testimoni: Lorenzo del fu Giovanni Caprini, parmense, pollaiolo in campo di Fiori; di mastro Bastiano Giustiniani di Vado d’Orta, diocesi della Città di Castello e del signor Giorgio Porrino, del castello di Vico in Campagna, diocesi di Alatri.
Bartolomeo di Giovanni de Cavaltarii del castello di Argentia (Mantova) Il 29 novembre del 1559, sede vacante, Bartolomeo di Giovanni de Cavaltarii, bufalaro del castello di Argentia, sotto il ducato di Mantova, a letto presso l’ospedale della Consolazione, con ferita alla testa, procurata da una bastonata per mezzo della canna usata per misurare la legna, a Ripetta, per opera di Giulio del fu Giovanni de Notariis di S. Giovanni in Croce, cremonense, da pace e sicurtà al suo feritore. La causa della lite ci viene raccontata dal medesimo Bartolomeo " dicendo vulgariter" " Come esso Bartolomeo hebe parole infami col prefato Julio a Ripetta sopra lo fatto delli bufali e del borchio (marchio) per li quali ragionava ipso Bartolo dicendo che detto aveva mentito allo prefato Julio et subito quel stante tirò la volta di una casa presa la sua spada andare a dosso al detto Julio con l’animo di volerlo offendere". Atto fatto nell’ospedale presso il letto segnato col n° 24, nella cameretta dove solitamente sono messi simili feriti, alla presenza dei testimoni: signor Giovanni Pietro Orbo da Pavia, mercante di legna a Ripetta; di Pietro del fu Pietro de Marchettis, bergamasco, " caltonario in Urbe", e di mastro Bastiano Giustiniani di Vado d’Orta, aromatario nell’aromatarium del medesimo ospedale.
Salviato del fu mastro Agostino di Carrara Il 13 gennaio del 1560, sotto il pontificato di Pio IV, Salviato del fu mastro Agostino di Carrara, ferito alla spalla e al braccio destro e al petto, con colpi d’archibugio, da pace e sicurtà al suo feritore, Peregrino d’Arezzo de Lombardi, abitante in Fiano. Atto fatto nell’ospedale presso il letto segnato col n° venti, alla presenza di dodici uomini e di Matteo Musto, capuano, cappellano nel detto ospedale; di Michele de Marzochius, cittadino romano del Rione Campitelli e di Antonio del fu Apollonio di Adera, abitante nel Rione Trevi.
Marco Antonio de Argenta Il 16 gennaio del 1560 il signor Marco Antonio de Argenta, nel Veneto, ricoverato nell’ospedale con due ferite, al braccio e al fianco sinistro e con un’altra ferita al braccio destro, procurategli dal signor Giovanni Domenico di Raiano, suddito dell’illustrissimo signor duca di Popoli, per mezzo di un pugnale, da pace e sicurtà al suo feritore e, "in vulgari sermone loquendo", " Dicendo qualmente la questione essere venuta per causa che Marco Antonio deve dare scudi dodici al sopradetto Giovanni Domenico del gioco che Giovanni Domenico haveva preso al detto Marco Antonio, non volendo detto Giovanni Domenico perdere li detti dodici scudi e detto Marco Antonio facendo resistenza da oggi in dimane di dare e farsi dare li detti 12 scudi, per questo lo detto Giovanni Domenico mi ha ferito con uno pugnalo. Per il Signore liberamente io lo perdono perché questo mi è dovuto per causa delli miei peccati". Atto fatto nell’ospedale, presso il letto segnato col n° 21, alla presenza dei testimoni: signor Giovanni Battista Angelino, canonico nella casa dell’illustrissimo signore Cristoforo Savelli; del signor Bernardino Tadei di Sora, impastaro e servitore del detto signor Cristoforo; del sacerdote Matteo Musto, capuano, cappellano nel suddetto ospedale e di Fabiano de Monte S. della Marca, barbiere nel suddetto ospedale.
Eugenio del fu Cristoforo della Serra ( Senigallia) Il 18 gennaio 1560 Eugenio del fu Cristoforo della Serra, diocesi di Sinigallia, ricoverato nell’ospedale con ferite alla testa e alla mano sinistra, da pace e sicurtà al suo feritore Biagio del fu Mariotti del castello di Riversano, diocesi di Cesena, dichiarando al notaio : " La questione è successa in questo modo che alli giorni passati da vinti giorni in circa a rietro, ritrovandomi io Eugenio con uno canestro de ciambelle al collo nell’insula di Bartolomeo et havendo da pasar avanti per la volta del ponte quattro capi per andare in Campo de Fiori a vendere le ciambelle così vidi il predetto Blasio quale mi offeso perché voleva farmi attraversare per dritto verso di me per la medesima strada dove io stava con il caniestro de ciambelle al collo, li dissi al detto Blasio di gratia passate di sotto acciò non mi facci sconcio al passare e perché non mi facci cascare le ciambelle et in quello io li misi la mano su la spalla dicendi di nuovo che dovesse passare all’altra banda et all’hora detto Blasio vedendosi tocco da me con la mano nella spalla si tirò in dreto et misse mano alla sua storta et me desse due ferite una in testa et l’altra nella mano medesima". Atto fatto nell’ospedale, nella cameretta dove si mettono i feriti, nel letto n° 24, alla presenza dei testimoni: signor Giovani Francesco del fu Cristoforo Mattei di Cori, sacrestano nella chiesa della Beata Maria della Consolazione; del signor Matteo Musto, capuano, cappellano nel suddetto ospedale; del signor Camillo de Bandinellis, cittadino romano, del Rione S. Angelo, aromatario in Pescaria e di mastro Sebastiano Giustiniani de Vadis de Urbis, aromatario nell’aromataria del medesimo ospedale.
Margherita del fu Veni Avezini de Venis Avezinis Il 15 marzo 1560 la discreta donna Margarita del fu Veni Avezini de Venis Avezinis, borgognone per natali, come afferma, ricoverata nel letto dell’ospedale delle donne, perché inferma, non volendo morire intestata, fa redigere il suo ultimo nuncupativo testamento. Vuole essere sepolta nel cimitero dell’ospedale lasciando come legato la metà di otto libre di filato, depositate presso mastro Giovanni Barberio, detto Gallo, dimorante in S. Tommaso, e lasciando l’altra metà al detto Giovanni. Lascia come legato all’ospedale, per mezzo del medesimo Giovanni, la sua mobilia buona che ha in Roma, divisa in parti uguali con il medesimo Giovanni. Nomina eredi universali Nicola ed Antonio, suoi fratelli. Da al signor Simone Guglietta gallo, notaio, vicario papale, la piena potestà nel disporre le sue cose. Atto fatto nell’ospedale delle donne, nella carriola segnata col n° 6, alla presenza dei testimoni: signor Francesco Prospero Caetano, cappellano nel medesimo ospedale; di Luca Antonio, senese, del fu Giovanni Magagnia, ospedaliere nel suddetto ospedale; di Antonio del fu Giuseppe da Vicenza; di Damasio del fu Nicola da Pistoia; di mastro Ludovico de Marsiliis, cuoco nel detto ospedale; di Vincenzo de Leterii della Basilicata e di Ferrante del fu Giovanni Schioppante, tutti inservienti nel medesimo ospedale.
Maddalena da Vicenza Il 26 marzo 1560 la "discreta et onesta mulier Madalena da Vicenza venetis", ricoverata nell’ospedale della Consolazione perché inferma, non volendo morire intestata, fa rogare il suo ultimo testamento nuncupativo. Ordina di essere sepolta nel cimitero dell’ospedale. Afferma di essere creditrice di scudi venticinque, in moneta, col signor Regolante, scalco segreto del Rev.mo Signor cardinale Farnese, per il suo salario, dei quali scudi cinque lascia alla discreta donna Giacomina, al presente ospedaliera nell’ospedale delle donne e uno scudo a Giovanna, serva nel detto ospedale. Lascia gli altri diciannove scudi al medesimo ospedale, in suffragio della sua anima e per la remissione dei suoi peccati, nominando altresì l’ospedale medesimo erede universale di tutti i suoi beni mobili ed immobili, ovunque esistenti. Atto fatto nell’ospedale delle donne, nel letto segnato col numero cinque, alla presenza dei testimoni: Lucantonio senense, ospedaliere nell’ospedale degli uomini; di Manno da Pisa, onzionario nel detto ospedale; di Giovanni Ferrante, romano, servitore del notaio rogante; di Francesco di Sittone di Novara; di Vincenzo del fu Martuccio della Basilicata; di Giovanni Antonio del fu Giuseppe da Vicenza, tutti servitori dell’ospedale e di Fabio del fu Andrea Caiani, del castello di Santo Stefano in Campagna, diocesi di Ferentino.
Giovanna del fu Giovanni della Valle dei Lanzi presso Torino Il 13 aprile 1560 Giovanna del fu Giovanni, mercante della Valle dei Lanzi, presso Torino, ricoverata nell’ospedale delle donne, con ferite alla testa, concede pace e sicurtà a suo marito Battista del fu Pietro de Vicinis, parmense, pollaiolo in Roma a Campo di Fiori "dicendo vulgariter": " signor notaio io me lo compra con dinari contanti queste ferite, et me havria meritato peggio di tutto questo da Battista mio marito che mi era andata a stare con una donna Francesca, vicino San Giovanni Decollato dodici dì sono alora che il detto mio marito mi venne a trovare et a stare una notte con me et la matina voleva che io ritornasse a casa con lui et io non ci volsi andare, et così lui dette di mano ad uno pezzo di legno et mi fece due ferite in testa nel letto proprio dove eravamo dormiti insieme la notte in casa di detta donna Francesca". Atto fatto nell’ospedale delle donne, nel letto segnato con il numero 5, alla presenza dei testimoni: Lucantonio senense, ospedaliere nell’ospedale degli uomini; di Manno da Pisa, onzionario nel suddetto ospedale; di Lorenzo del fu Giacomo Caprini, parmense, pollaiolo in Roma e di Giovanni Lazzaro del fu Giacomo Nicolai, parmense, pollaiolo in Roma.
Fabrizio del fu Pasquale dell’Aquila. Il 27 aprile 1560 Fabrizio del fu Pasquale della città dell’Aquila, cuoco nell’ospizio di Domenico taverniere al Segno di fiori, in piazza Monti, giacente nell’ospedale della Consolazione con ferita alla testa, concede pace e sicurtà al suo feritore Antonio da Trevi, calzolaio, abitante presso S. Maria del Sole e "vulgariter loquendo": " signor notaio certamente quando Antonio da Trevi mi dette in testa la ferita giovedì passato lui era imbriaco perché formato grande rumore nella hostaria del tenor che lui havesse fatto così io li dissi che se levasse da lli et lui oscendo fuori dell’hostaria mozicandosi il dito, da poi venne dentro dell’hostaria et mi dette in testa con una spada et mi fece la ferita". Atto fatto nell’ospedale, nel letto segnato col n° 24, nella cameretta dei feriti, alla presenza dei testimoni: Magno Evangelista de Slatii, cittadino romano del Rione Campitelli, medico chirurgo nel detto ospedale; di Lucantonio senese, ospedaliere; del signor Jeronimo di Giovanni Francesco Bottini e di Santolini, agente per diverse cause nel detto ospedale. (Altra copia sincrona).
Nobiluomo Giovanni di Filippo Serlupi Il 30 aprile 1560 il nobiluomo, signor Giovanni di Filippo Serlupi, cittadino romano, del Rione di S. Angelo, vende ad Amico de Menico Bove di Pereto, cento venticinque capre di diverso colore, per il prezzo di scudi 120 e un cavallo, dal pelo loardo, per la somma di scudi 15. Atto in Roma, nel Rione di S. Angelo, nella casa del signor Giovanni di Filippo, alla presenza del signor Angelo del fu Giovanni Maria de Papis, mandatario della Curia Capitolina e di Vincenzo del fu Giovanni Battista , aquilano, servitore del predetto signor Giovanni di Filippo. Il 4 maggio, del medesimo anno, Amico di Menico di Pereto, stipula con il medesimo Giovanni di Filippo Serlupi, le modalità di pagamento. Atto fatto in Roma con i medesimi testimoni.
Antonio del fu Antonio de Veratis d’Abrusco di Brescia. Il 16 maggio 1560 Antonio del fu Antonio de Veratis d’Abrusco di Brescia, barilario di Ripa, ferito in tre parti con un cultro, da pace e sicurtà al suo feritore Tommaso del fu Angelo, detto La Vecchia, del castello di Durante, nello Stato di Urbino, barilario di Ripa.Atto fatto nell’ospedale, alla presenza dei testimoni: Lucantonio del fu Antonio Magagna, senese, ospedaliere nel suddetto ospedale; di Pietro del fu Giovanni Girardi di Buchafoli, diocesi di Norcia, fattore del signor Giovanni di Filippo Serlupi e di Antonino del fu Bertini de Pellizonis di Palestro milanese, barilario in Ripa.
Giacomo del fu Matteo da Orvieto Il 18 maggio 1560 Giacomo del fu Matteo da Orvieto ricoverato nell’ospedale della Consolazione, per percosse, da pace e sicurtà ai suoi percussori, Antonio di Angelo Flortasino e a Cecco di Antonio Moretti di Florentino. Atto fatto nell’ospedale, nel letto segnato col n° 22, alla presenza dei testimoni: signor Pietro del fu Tommaso de Savellinis, cittadino romano del Rione Monti; di Marco Antonio Muscarolo, chimico Toracense Flandrense; di Francesco di Donato, aretino e del signor La Pirna, tutti signori romani.
Mastro Domenico del fu Nicola Pietro di Zagarolo Il 20 maggio 1560 mastro Domenico del fu Nicola Pietro di Zagarolo, "faber ferrarius" in Roma, nella piazza di Monte Mario, dichiara di aver ricevuto dal signor Giulio, medico fisico nell’ospedale della Consolazione, un mutuo di trecento scudi, da restituire entro sei mesi.Atto rogato nel viridario (giardino) dell’ospedale della Consolazione, alla presenza dei testimoni: signor Giulio del fu Speranza di Ciocio, del castello di Poggio Picenza, diocesi dell’Aquila; del signor Stefano paduano Regazanti, di Vallecorsa, diocesi di Fondi; e di Marchionne di Mariano Salvati, del castello di Supino, diocesi di Ferentino, studenti in Roma.
Agostino del fu Cristoforo di Agostino di Castel Vetere. Il 20 maggio 1560 Agostino del fu Cristoforo di Agostino del castello di Vetere, sotto il vicariato di Pescia (Pistoia), giacendo nel letto dell’ospedale della Consolazione, non volendo morire intestato, fa rogare il suo ultimo testamento nuncupativo. Ordina di essere sepolto nel cimitero dell’ ospedale lasciando a questo scopo un legato di scudi quattro. ( rivedere) Atto fatto nell’ospedale, alla presenza dei testimoni: Lucantonio del fu Antonio Magagna, senese, ospedaliere; di Manno del fu Giovanni de Nigris da Pisa, unzionario nel detto ospedale; di Pietro Paolo del fu Giovanni Antonio Florentino; di Mariano del fu Nicola da Pontito Luarense; di Pietro Ventura da Fermo;di Francesco del fu Nicodemo Florentino e di Adriano del fu Gerolamo da Perugia.
Antonio del fu Marco di Perdosino di Ascona Il 4 luglio 1560 Antonio del fu Marco di Perdosino di Ascona, fruttarolo, ricoverato nell’ospedale della Consolazione, non volendo morire intestato, fa rogare dal notaio il suo ultimo testamento nuncupativo. Ordina di essere sepolto nel cimitero dell’ospedale. Afferma di avere un credito di scudi sette e giuli quattro con Giacomo del fu Giovanni di Pietro de Albiarico, fruttarolo, quale credito lascia parte all’ospedale e parte ai suoi eredi. Lascia a Caterina Panecaldo, sua madre, parte dei suoi beni, come per legge. Atto rogato presso il letto n° 18, alla presenza dei testimoni: signor Domiziano Verdisalis da Rieti, notaio in Roma; di Antonio Donati mantovano; di Giovanni Andrea del fu Giovanni di Pietro di Ascona, fruttarolo in Roma; del signor Michele de Marzochis, cittadino romano del Rione Campitelli; di Luca del fu Giuseppe Magagna, senese; di Manno del fu Giovanni Negri da Pisa, unzionario; del presbitero Giovanni Francesco del fu Cristoforo Mattei da Cori, sacrestano nella chiesa della Consolazione. Il medesimo Antonio, il 14 luglio dichiara di aver ricevuto scudi sette e giuli quattro dal suddetto Giacomo e ne lascia quietanza alla presenza dei testimoni: mastro Giovanni del fu Pietro di Cramagnola (Carmagnola), diocesi di Como, muratore in Roma, e di Antonio Donati, mantovano.
Sollino del fu Giovanni Cola del Vicario di Zagarolo Il 10 luglio 1560 Sollino del fu Giovanni Cola del Vicario di Zagarolo, diocesi di Palestrina, ricoverato nell’ospedale della Consolazione, non volendo morire intestato, fa redigere dal notaio il suo ultimo testamento nuncupativo. Ordina di essere sepolto nel cimitero dell’ospedale e a tal fine lascia al medesimo un legato di scudi tre in suffragio della sua anima e per la remissione dei suoi peccati. Lascia altri scudi tre al cappellano della chiesa di S. Maria delle Grazie, per la celebrazione delle messe di S. Gregorio. Dichiara di avere i seguenti creditori: con Giacobuccio Sordi di Zagarolo per scudi cinque in moneta, da ricevere il giorno della festa di S. Maria di Agosto, per avergli dato un rubbio di grano che il Sordi ha venduto. Con Tommaso, suo compatre, di Zagarolo di scudi sette e mezzo, per sette quarte di grano che il medesimo ha venduto. Con il signor Orazio di Zagarolo per un’apoca di scudi 15 fatta con stretta di mano. Con Sebastiano della rocca di Zagarolo, di giuli cinquantotto e mezzo, per aver venduto del grano. Con Cecco di Sano, di giuli venticinque, per la vendita di mezzo rubbio di grano. Con Magnano, romagnolo, di giuli venticinque, per la vendita di mezzo rubbio di grano. Con Angelo di Mariano, per giuli venticinque, per la vendita di mezzo rubbio di grano. Con Cicchino, per giuli quarantacinque, per la vendita di un rubbio di grano. Con Desiderio della Torre di Napoli e con Orazio Amati di Zagarolo, per giuli venticinque, per la vendita di mezzo rubbio di grano. Lascia a Lorenza, sua moglie, un prato, posto nel territorio di Zagarolo, nella contrada detta volgarmente Fossa Ricciuta e un pastino, posto nel medesimo territorio, nella contrada detta volgarmente il Colle Pendente. Lascia i suoi beni mobili ed immobili, ovunque esistenti, ai suoi nipoti, figli dei suoi fratelli Virgilio e Cola, in parti uguali, posti in Acerra, nel Regno di Napoli. Lascia i suoi beni mobili ed immobili in esecuzione dei legati predetti, al suo esecutore testamentario Giovanni Cipriani di Gianciocho di Zagarolo, dandogli piena licenza e potestà di vendere ed alienare. Atto in Roma, nel Rione Ripa, nell’ospedale di S. Maria delle Grazie in Portico e della Consolazione, nel letto segnato col numero 39, alla presenza dei testimoni: signor Giovanni Rodriguez, spagnolo, ospedaliere nel suddetto ospedale; di Francesco del fu Nicodemo, fiorentino; di Antonio Donati, mantovano; di Battista del fu mastro Roberto Fabri, padovano; di Ludovico Santucci di Lanciano; di Lucantonio del fu Giovanni Magagna, servitore e di Maurizio del fu Gabriele Gilomi, tutti servitori nel detto ospedale. Il 14 luglio il notaio Filippi scrive un’altra copia sincrona alla prima.
Adriana del fu Giovanni Domenico da Todi Il 16 luglio 1560 Adriana del fu Giovanni Domenico da Todi, ricoverata nell’ospedale della Consolazione, non volendo morire intestata, fa rogare dal notaio il suo ultimo testamento nuncupativo. Spontaneamente e con il consenso del marito, Scipione Perrozi di Benevento, dona all’ospedale e al guardiano Giovanni, assente ma rappresentato dal notaio, scudi quattro in moneta, che ha in consegna il figlio del fu Mariotti di Firenze, dimorante in Roma, nel Rione Borgo, dichiarando di farlo per l’amore di Dio, al di fuori di qualunque pagamento che ha con il suddetto ospedale. Atto in Roma, nell’ospedale, alla presenza dei testimoni: signor Giovanni Rodriguez, spagnolo; del signor Francesco di Prospero Caetano, cappellano, e di Ludovico Santucci di Lanciano.
Vincenzo del fu Giovanni Battista d’Antonello detto Petronso, della città dell’Aquila. Il 20 luglio 1560 Vincenzo del fu Giovanni Battista d’Antonello, detto Petronso, della città dell’Aquila, familiare del signor Giovanni di Filippo Serlupi, ricoverato nell’ospedale, non volendo morire intestato, fa rogare dal notaio il suo ultimo testamento nuncupativo. Vuole essere sepolto nella chiesa della Consolazione e lascia per la sepoltura scudi quattro. Lascia tutti i suoi beni, mobili ed immobili, al fratello Giovanni, nominandolo suo universale erede. Atto in Roma, nell’ospedale, nel letto segnato col numero dieci, alla presenza dei testimoni: Francesco di Prospero Caetano, cappellano nella chiesa delle Grazie; di Girolamo Bottino, figlio di Giovanni Francesco Bottini di Alessandria; del notaio Nicola di mastro Giovanni Antonio, del castello di S. Stefano, diocesi di Ferentino; di Battista del fu mastro Roberto padovano; di Manno del fu Giovanni de Nigris da Pisa, unzionario nel detto ospedale; di Ferrante, del fu Giovanni Schioppa, di Montebano, servitore del notaio.
Benedetta del fu Nicodemo di Roberto di Camugnano Il 30 luglio 1560 Benedetta del fu Nicodemo di Roberto di Camugnano, diocesi di Bologna, ricoverata nell’ospedale, non volendo morire intestata, fa rogare dal notaio il suo ultimo testamento nuncupativo. Vuole essere sepolta nel luogo solito situato presso l’ ospedale. Nomina sua figlia Ortensia sua universale erede. Nomina suo esecutore testamentario Berardino del fu Gualderotti da Pistoia. Atto in Roma, nell’ospedale, nella carriola segnata col numero sei, alla presenza dei testimoni: signor Giovanni Rodriguez Peccia, spagnolo, diocesi di Tolosa; di Ferrante, servitore del notaio; di Francesco del fu Nicodemo di Firenze; di Ludovico del fu Pietro Santucci di Lanciano, aromatario; di Pasqualino del fu Nicola Caligani di Verona, servitore nel detto ospedale; di Francesco di Montefalco, acquarolo nel detto ospedale e del signor Berardino de Quarterijs, cittadino romano del Rione Pigna.
Viridiana del fu Antonio Cupatelli di Montefortino Il 4 agosto 1560 Viridiana del fu Antonio Cupatelli di Montefortino in Campagna, ricoverata nell’ospedale, non volendo morire intestata, fa rogare dal notaio il suo ultimo testamento nuncupativo. Vuole essere sepolta nel luogo solito presso l’ospedale. Dichiara di avere duecento pietre "puzine" nell’arario segreto del tinello e gl’infrascritti beni esistenti nella casa del rev.mo cardinale de Stroilo: " quattro lenzola, un matarazzo, capezzale, pagliariccio, tavole da letto, una veste di ciambellotto lionato da donna, dodici salviette " fra bene e trista", del filato bianco crudo da sei a sette libra incirca, fazzoletti sei da testa, una coppola bianca usata, una calarozza di rame, un copello, una patella, una paletta, uno piatto de stagno, 12 d’altri piatti de terra, due fodrette con suoi coscini, tre tinoze di legname da fare bucato". Quali beni lascia, come legato, all’ospedale. Lascia a Paolozza, sua sorella, abitante in Velletri, una casa posta dentro Montefortino, vicino i beni della chiesa di S. Maria e un podere posto nel territorio medesimo, alli Puzaroli. Nomina erede universale il figlio Giovanni Pietro. Nomina suo esecutore testamentario il signor Marchionne, detto Avenziano, della terra d’ Otranto ma dimorante in Montefortino. Atto in Roma, nell’ospedale, nel letto segnato col numero sei, alla presenza dei testimoni: signor Gerolamo Buttino, figlio di Giovanni Francesco Bottini, della diocesi dell’Aquila; di Ferrante, servitore del notaio; di Francesco del signor Nicodemo fiorentino; del signor Giovanni Rodriguez; di Pietro del fu Antonino fiorentino; di mastro Bastiano, aromatario; di Adriano del fu Rosati da Orlo, nel Regno; di Ludovico Santucci da Lanciano.
Gervasio del fu Bartolomeo di S. Porcino di Valle di Orta Pedimonte. Il 1° settembre 1560 Gervasio del fu Bartolomeo di S. Porcino di Valle d’Orta Pedimonte, diocesi di Vercelli, già cocchiere del rev.mo cardinale Vitellozio, ricoverato nell’ospedale, temendo di morire intestato, fa rogare dal notaio il suo ultimo testamento nuncupativo. Vuole essere sepolto nella chiesa della Consolazione. Dichiara di essere creditore con il signor Vincenzo di Arignano, mercante " artis blanchie", con banco nella dogana di Roma, per la somma di scudi cinquanta in moneta, che diede in custodia al detto Vincenzo, come pure di altri otto scudi. Lascia all’ospedale della Consolazione scudi quindici " pro anima sua et remissionem suorum peccatorum". Lascia scudi cinque a Bartolomeo Carrerio di Castiglia, familiare nella stalla del cardinale Vitellozio e una cassa con tutti i suoi panni buoni ed altre cose ivi esistenti. Lascia inoltre all’ospedale la somma residua del suo salario dovutogli dal cardinale. Lascia cinque scudi alla signora Antonia, moglie di Martino di Castiglione ed altri cinque scudi alla signora Caterina, moglie del cocchiere del cardinale Vitellozio. Lascia scudi cinque alla signora Antonia, moglie del fu Francesco, acquarolo del signor cardinale. Lascia scudi tre agli orfanelli ed altri scudi tre all’ospedale della SS. ma Trinità. Lascia scudi due all’ospedale dei forestieri. Lascia giuli cinque e mezzo per la Libera Società di Cristo, per tante messe da celebrarsi in suffragio della sua anima. Lascia per suffragio della sua anima le messe di S. Gregorio e dello Spirito Santo e per una messa cantata da morto, per la sua anima, nella chiesa di S. Lorenzo fuori le mura, scudi dieci. Lascia scudi cinque per il sott’oratorio e sacerdoti che parteciperanno al suo funerale, e per la cera. Nomina suoi eredi universali il fratello Pansiglione e le sorelle Caterina e Gilia, in parti uguali. Nomina suoi esecutori testamentari il signor Vincenzo da Rignano, mercante, e Bartolomeo Carrerio di Castiglione. Atto in Roma, nell’ospedale, nel letto segnato col numero quattro, alla presenza dei testimoni: Francesco del fu Nicodemo fiorentino, familiare nel detto ospedale; di Francesco del fu Leonzio di Novara, dispensiere; di Pietro del fu Ventura di Monte alto, unzionario; di Luciano del fu Peregrino della Cisterna, servitore nel detto ospedale; di Pietro del fu Antonio, di Pogio bonzi fiorentino, servitore; di Francesco del fu Giorgio di Carpo, elemosinario per l’Urbe con la bussola della Consolazione e di Giacomo del fu mastro Antonio senese, macellaio. Nel medesimo giorno il notaio redige un’altra copia sincrona.
Angelica del fu Luigi Vicchio di Villa S. Cipriano Il ventuno settembre del 1560 Angelica del fu Luigi Vicchio di Villa S. Cipriano di Amatrice, diocesi di Ascoli, inferma presso l’ospedale della Consolazione, non volendo morire intestata, fa redigere dal notaio il suo ultimo testamento nuncupativo. Vuole essere sepolta nel luogo solito presso l’ospedale. Nomina suoi eredi universali i figli Giglio e Dolcevita. Nomina suoi esecutori testamentari suo marito Polito ed Antonio suo fratello, dandogli ogni potestà. Atto in Roma, nell’ospedale delle donne, nel letto carriola segnata col numero quattro, alla presenza dei testimoni: signor Gerolamo del fu Giovanni Battista di Quintilio, cittadino romano, del Rione di S. Ustacchio, cappellano delle Grazie; di Prospero Vannatti di Lorenzello; di Francesco del fu Nicola Amati, fiorentino; di Tommaso del fu Pietro Piccinini, bolognese, vignarolo in Roma; di Berardino del fu Giovanni di Giacomo, aquilano; di Berardino del fu Papiroli del Vecchio, diocesi dell’Aquila; di Ferrante del fu Giovanni Schioppa, servitore del notaio.
Caterina del fu Serangelo Moroschini di Montalcino Il 17 marzo 1561 Caterina del fu Serangelo Moroschini di Montalcino, inferma nell’ospedale delle donne, non volendo morire intestata, fa rogare dal notaio il suo ultimo testamento nuncupativo. Vuole essere sepolta nel luogo solito presso l’ospedale. Dichiara di avere i seguenti beni mobili presso il signor Cecco fiorentino, suo compare, vignarolo del signor Roberto Strozzi, abitante nella Regione Monti: " Un materazzo, una coperta di lana turchina, sei lenzuola, dei quali uno tiene in pegno Cecco suo compare, per giuli quattro. Un capezzale lungo da letto. Due cuscini dei quali in uno sta la foderetta di seta negra. Duj camise da homo. Da sette in octo libre de filato. Tre scabelli. Duj sedie di paglia. Una concolina di rame. Duj casse. Una arca da fare il pane. Una vettina mezana. Duj decine de carne salata. Tre galline. Uno panno de raso vecchio. Duj capilicchi. Una paletta. Uno roncio da putare quale era di suo marito. Uno pagliariccio. Duj banchi de letto et tavole. Uno panno listato de cortina. Una ciamarra lionata quale costò cinque scuti et altre bagaglie massaritie delle quali precise dice non si ricordare, che lascia all’ospedale della Consolazione per la sua anima e per la remissione dei suoi peccati" Dichiara di essere debitrice di due scudi con il compare Cecco, per la sepoltura del marito. Dichiara di aver lavorato un pezzo di vigna del signor Giovanni Pietro Cardelli ad Acquacetosa per qualche giorno, per quindici scudi, che potò suo marito. Ora mancano tre giornate da potare e dice di aver seminato piselli, scafi e ceci e che gli deve essere pagata la vangatura di dieci giorni fatta dal marito. Nomina l’ospedale della Consolazione erede di tutti i suoi beni mobili e di tutte le azioni e ragioni che ha con il signor Giovanni di Pietro Cardelli, per i lavori fatti nella predetta vigna. Nomina suoi esecutori testamentari i signori custodi camerari del suddetto ospedale, dandogli piena potestà dopo la sua morte. Atto in Roma, nell’ospedale delle donne, nel letto segnato col numero cinque, alla presenza dei testimoni: Gerolamo Quintilio, cittadino romano, camerario nel detto ospedale; di Pietro Paolo del fu Antonio di Pogio bonsi, fiorentino, ospedaliere nell’ospedale degli uomini; di Pietro Martire da Cremona, dispensiere; di Francesco Riccardi da Verona; di Giovanni Domenico del fu Leporini, da Siena; di Giuliandrea milanese, servitori nell’ospedale degli uomini e di mastro Giovanni di Pietro di Lambrasco di Cramignola, muratore in Roma. Con questo atto il notaio Filippi termina il suo protocollo. Come abbiamo già detto, nel maggio del 1561, malato e stanco anche per alcune maldicenze avute, ritornerà in S. Stefano, dove continuerà a lavorare. L’ultimo suo atto conservato porta la data del 23 gennaio 1617 ed è rogato a Prossedi.
Doc. n. 1 S. Stefano 1551, giugno 23 La discreta donna Angelica, del fu Berardino Battista di Piperno, moglie legittima di Gerolamo Vielle del castello di Santo Stefano, con il consenso del marito, vende al notaio Antonio Filippi una sua possessione aratoria, con alberi di querce, indivisa con gli eredi del fu maestro Biagio Tambucci, posta nel territorio di Santo Stefano, nella contrada detta volgarmente " Lo porcino", per carlini trecento. Atto in Santo Stefano, nella casa del signor Antonio Filippi, posta nel vicolo della portella, alla presenza dei testimoni Andrea e Antonio Cajani e Biagio Poti, entrambi di Santo Stefano.
Doc. n. 2 S. Stefano 1551, giugno 23 La discreta donna Caterina, del castello di Santo Stefano, vende a suo nome e dei suoi, al signor Antonio Filippi, una sua possessione aratoria posta in Santo Stefano, nella contrada detta volgarmente " Valle freda", per dieci carlini papali. Atto in Santo Stefano, alla presenza dei testimoni come nell’atto precedente.
Doc. n. 3 S. Stefano 1551, ottobre 25 Si sono costituiti davanti al notaio il signor Pietro Palombi, del castello di Santo Stefano, a nome del notaio Antonio Filippi, da una parte, e Marco Antonio Bolognese, a nome della figlia Altobella, i quali dopo la formula di voglio e vuoi, come stabilito dal Concilio di Trento, accettano di contrarre il matrimonio e stabiliscono la seguente dote: la metà di un casaleno, posto presso la porta Cimina, vicino la casa di Giacomo di Nicola, divisa dalla trasenda e vicino i beni dotali di Antonio Leo e la via pubblica da due lati; mezza vigna alla Selvotta; un prato ed una fisca di terra al Campo; una terra all’Isola, vicino la formella della mola di Giuliano; una terra " allo Cerrito"; una terra alle Porte strette; un orto " allo Vitello", una terra " allo Maastret"; un oliveto Sopra Santi. Tra le cose mobili: una giovenca vaccina di due anni e un valore di libre cento. Atto in S. Stefano, nella casa di Marco Antonio, alla presenza dei testimoni notaio Bernardino de Palumbis e notaio Pietro Poti, entrambi di Santo Stefano.
Doc. n. 4 Santo Stefano, 1552, febbraio 27 Si sono costituiti davanti al notaio Marco Antonio Bolognese, a nome della figlia Altobella e il signor Antonio Filippi il quale riceve la dote, previa la stima della signora Baronessa, moglie di Giacomo Gentile e di Angelica, moglie di Fermo Vielle, consistente in: Due letti nuovi con cinque lenzuola con copriletto nuovo e capezzale, stimato libre 40; Sei mantricelle listate di nero…………………….libre 6 Due mantili a ramma, di bambace nera…….... " 10 Un facciolo dorato………………………………………… " 10 Tre faccida…………………………………………………… " 3 Due mantricelle grandi…………………………………. " 5 Quattro mantricelle bianche ……………………… " 4 Una mantricella bianca dipinta …………………… " 1 Sei mantricelle…………………………………………….. " 3 Due interule o camicie nuove………………….…… " 2 Un capitalicchio, e un sacco per i panni……… " 3 Una cinta di seta verde e un cuscino……….... " 2 Una cinta di filicillo buono…………………………… " 6 Una manticella a trama……………………………….. " 1 42 bottoni d’argento…………………………………… " 3 Un paio di maniche di velluto nero………………. 15 Una vesta pavonazza, sei mappole nuove, 3 camicie nuove da donna, 6 mantricelle listate di nero, 3 mantricelle listate di bianco, un paio di arche….libre 7 Un paio di pettini e una grassida………………………… " 1 Una catena…………………………………………………………. " 2 I suddetti beni vengono consegnati da Marco Antonio al genero, il quale promette di conservarli dietro la fideiussione di sette ducati da parte di Sebastiano. Atto rogato in Santo Stefano, nella casa di Marco Antonio, posta dietro la Curia, alla presenza dei testimoni signor Giorgio Porrini, del castello di Vico e di Ambroscio di Sarravalle, cittadino romano.
Doc. n. 5 Roma 10 settembre 1567 Lettera del notaio Antonio Filippi a Marcantonio II il Grande: " Ill.mo et ex.mo signore e padrone mio colendissimo Per altre mie lettere delli mesi passati detti havviso a V.E. di tante iniurie et mali portamenti usatomi sempre di notte d’intorno a casa mia da Antonio Croce nepote dell’Arciprete di Santo Stefano et penso più presto lui mosso implicato che da se stesso Atteso che come mio Affigliano di baptesmo non si sarria da se mosso ad usarmi tanti mali portamenti, et poi preso in fragrante crimine et dato in potere della sua Corte quelli homini di Santo Stefano che lo guardavano in pregione li dettero la strada della fuga, et poi non contenti sulle cose predette imbarcorno una donna a far querela a V. E. con dire che io li havesse fatto morire una sua figlia, con agiuntioni che io sia stato publico sacrilegio o ladrone della Madonna della Consolatione a darveli le medesime querele contra di me. Per il che piacque a V. E. che io dessi sicurtà di scuti 500, per un mese di poi la mia liberazione di Genazano dovessi comparire da detti guardiani ad giustificarmi et di stare ad Ragione et pagare di qualunque di ragione fossi venuto condannato si come già per complire alla debita obbedienza di V.S. son comparso al debito tempo da detti guardiani Alli quali subito velli piacque eligere giudice della causa delle querele contra di me il magnifico mastro Pietro Gelo homo della compagnia et amorevole della Consolatione, Ante del quale se ventilata la causa mia sulli fatti del passato sino li 7 di questo che fu pronuntiato in essa causa et in favore mio, et ritrovandomi al presente io impedito in altri negotij in questa città et non troppo ben disposto della vita per haver havuto da travagliare di questi tempi fastidiosi resto impedito di non esser venuto personalmente a basare le mani di V.E. mi è parso a fine che io complisca il debito personalmente di mandarli transumato publico sulle mie declaratorie et absolutorie sapendo io certo che quella come Amatore delle cose pie et Amorevoli de vassallj non potrà restare se non con sodisfactione ritrovandomi innocente delle cose imputate da quei miei odiosi malevoli e inimici di persone virtuose, queli tuttavia cercano di offendere in persona mia et di un mio unico figliolo che se quelle mediante il giusto non mi provede et rimedia di corso mi faranno male accapitare et poi che io sono in desgratia loro piaccia almeno a V. E. tenermi sotto la sua bona gratia et sia contenta di compiacermi di qualsiai officio ad ciò possa vivere onoratamente si come sempre è stato mio solito et desiderio. De più il magnifico ms. Pietro Gelo desiderava oltre una sua lettera ad me concessa a V. E. che io fusse venuto personalmente a basarli le mani in parte sua et dettoli che questa domenica proxima ad octo che verrà si farrà dimostrazione alla Minerva de molti obstinati contra la fede come a dire Mons. Carne Sicha et tanti altri bolognesi et da Furlì, et che oltre le sue raccomandazioni della sua lettera io particolarmente le dovesse far da parte sua et li dico certo che mai ho saputo che io sia suo subdito sino alla fine della causa. Hora supplico a V. E. che come a piaciuto ala nostra donna benedetta et a questi guardiani stante l’innocentia mia di Abbraciarmi così piacha a quella honorarmi per riccomandato et degnisi ordinare al Auditore di Genazano che cassi la sicurtà per me data delli 500 scuti ad instantia di detti guardiani si come fa mentione alle mie declaratorie che loro anche la vogliono avere per cassa et in tutto et per tutto mi butto alla bona gratia del E. V. alla quale sempre mi ricordo et li baso le mani. Da Roma il di X di 7mbre 1567 Humilissimo servitore et vassallo Antonio Filippo di S. Stefano" (A.C. Corrispondenza M.Antonio II, 1567, lettera n. 5908)
Emblema dell’Arciospedale della Consolazione Presentazione del dott. Alfredo Gabriele | Premessa dell’Autore | Il notaio Antonio Filippi | Notizie storiche | Il protocollo | Gli atti | Appendice documentaria
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up. 27.3.2012
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