La tradizione popolare ci ha tramandato la figura di Domenico Orlandini, detto Gioia, come quella di un ragazzo dalla testa calda, caduto vittima di compagni più astuti e sanguinari che, dopo averlo coinvolto nei loro delitti, lo hanno tradito cercando di farne il capro espiatorio degli orrori commessi. Ricerche di archivio hanno dimostrato la falsità di tale tradizione consegnandoci la figura storica di un giovane malvivente privo di scrupoli e di pietà. Il suo soprannome "Gioia" è tristemente noto a tutti coloro che, come me, hanno frequentato l’asilo infantile negli anni in cui era gestito dalle suore che ci terrorizzavano minacciando di "mandarci in soffitta" dove, nel buio più profondo, il fantasma di Gioia ci avrebbe, come minimo, fatto a pezzi.

L'ex asilo infantile, donato dal Cardinale Domenico Iorio ai suoi concittadini

Domenico Orlandini detto "Gioia" o "Scacciadiavolo" nasce a Santo Stefano il 30 agosto 1849 da Antonio, contadino.

Nel dicembre 1866 Domenico diventa brigante e, dopo aver trascorso cinque mesi e mezzo alla macchia, alla fine di maggio 1867 si consegna nelle carceri di Frosinone insieme con i compagni Luigi Toppetta, detto Fiaccarelle, Giovanni Paggiossi, Salvatore Iorio e Luigi Fiocco. Nel periodo della malvivenza si è reso responsabile di vari crimini e in particolare del rapimento dei signori Vincenzo Lucidi, Ferdinando Leo, Arcangelo e Ludovico Iorio.

 

Santo Stefano in Campagna, 11 maggio 1867. E’ una bella mattina, l’aria è tiepida e profuma di fieno appena tagliato. Come da accordi presi nel pomeriggio precedente Vincenzo Lucidi sta zappando il terreno di Ferdinando Leo in contrada Gorga (Uőreca). Ferdinando taglia l’erba quando all’improvviso gli si para davanti un uomo armato di doppietta e coltello che egli, terrorizzato, riconosce come il brigante Luigi Toppetta. I due contadini sono costretti a seguirlo nella macchia di Selva Piana dove trovano ad aspettarli i briganti Giovanni Paggiossi e Salvatore Iorio che hanno appena sequestrato, in contrada Vitello, Arcangelo Iorio. Poco dopo giungono Luigi Fiocco e Domenico Orlandini che hanno con sé Ludovico Iorio (di Angelo) di dieci anni, rapito in contrada la Selva. Dalla macchia di Santo Stefano il gruppo si sposta in quella di San Lorenzo e, prima di sera, viene rilasciato Vincenzo Lucidi con il compito di recarsi dalla madre di Ferdinando Leo e dalla moglie di Arcangelo Iorio ha richiedere la somma di 700 scudi alla prima e di 1000 alla seconda per riavere i loro cari.

Pochi giorni dopo aver ricevuto circa 200 scudi per il rilascio degli ostaggi, i malviventi si consegnano alle autorità e nell’udienza del 1 giugno (1867) Domenico Orlandini viene condannato solamente ad un anno di reclusione.

Il 31 maggio 1868 Gioia viene dimesso dal carcere di Frosinone con l’impegno di non allontanarsi dal territorio di S. Stefano, di non associarsi con individui sospetti di brigantaggio né con quelli che vi avessero fatto parte in precedenza.

 

Per tre mesi Gioia si tiene lontano dai guai, ma il 1 settembre lo troviamo nella cantina di Giacomo Bonomo che siede con gli ex briganti Luigi Fiocco e Vincenzo Masi. Dopo numerosi bicchieri di pessimo vino i tre compari escono e decidono di andarsi a fare il bagno nel fiume Amaseno, vicino alla Mola di Giuliano. Prima, però, ciascuno di loro si reca a casa propria armandosi con una accetta. Giunti a Vallefredda entrano nella vigna di Giovanni Cherubini dove i suoi figli, Rosa ed Antonio, stanno trattando le viti con la calce. I tre chiedono di poter mangiare un po’ d’uva ed Antonio, un po’ arrabbiato risponde: "Proprio mo che ci stiamo noi? Già ve la venite a mangia' quando non ci sta nessuno, eppure mo?". Ma poi li autorizza pregandogli, però, di non danneggiargli le viti. Ha appena finito di dire così che Vincenzo Masi con una accettata ne taglia una e, subito dopo, in preda ad attacco di pazzia, comincia a colpire la giovane Rosa uccidendola. Antonio ha appena il tempo di urlare: "Oddio, Madonna mia!" prima di essere raggiunto da colpi di accetta e di mazzetta dai tre malfattori. Subito dopo gli assassini si danno alla fuga, rifugiandosi sulla montagna di Pisterzo.

 

In seguito Gioia torna nel territorio di S. Stefano e alla Voloca, dopo essere entrato nella capanna di Carlo Palombo, detto Cacapiombo, si impadronisce del suo schioppo. Così armato, il 13 settembre, di buon mattino si reca nella contrada Rivo da Matteo Palombo, detto Ciarlottino, al quale consegna una lettera ricattatoria, scritta da Giovanni Paggiossi, nei confronti di Crisostomo Lucarini, detto Stallanzi, con la quale pretende la consegna di una cappa e di 100 scudi, minacciando grossi guai in caso di rifiuto. Il giorno successivo, in contrada detta la Casetta, sempre armato di schioppo e con la complicità di Gaspare Venditti ruba sette galline a Ferdinando Leo, ma il 15 settembre viene sorpreso, in località Vallespiga, dai gendarmi ed arrestato.

Il luogo della fucilazione di Domenico Orlandini detto "Gioia"

Il 18 ottobre dello stesso anno, nel territorio di Pastena, nel corso di un conflitto a fuoco con le truppe regie, vengono uccisi Luigi Fiocco e Vincenzo Masi. Dopo un breve processo il giorno 16 dicembre 1868, alle ore 7 antimeridiane, all’angolo del frantoio Colonna, proprio all’imbocco della via di Sant’Antonio, Gioia viene fucilato e la sua testa mozzata esposta davanti alla torre dell’Olmo (attuale "Torre di Metano").

 


8 giugno 2010

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