SPIGOLATURE BRIGANTESCHE, RUBRICA A CURA DI ERNESTO PETRILLI

VIRGILIO IORIO

RAPPRESENTANTE DELLA LEGGE

Non sempre finivano in carcere solo i briganti, i manutengoli e i ricettatori, a volte, infatti, questa triste sorte toccava anche ai rappresentanti della legge, specie se un po’ troppo zelanti e violenti.

E’ questo il caso di Virgilio Iorio, nato a S. Stefano in Campagna, Diocesi di Ferentino, nel 1795, da Francesco fu Biagio e marito di Teresa fu Francesco Saverio Anticoli da Giuliano.

Nell’agosto 1818, a causa di una malattia che colpisce Francesco Olivieri, esattore in carica della Comunità santostefanese e lo costringe al ritiro, viene eletto Virgilio Iorio, possidente, che eserciterà tale funzione anche negli anni 1819 e 1820.

Improvvisamente, però, prima della conclusione del mandato, Virgilio si dimette dall’incarico arruolandosi nel corpo dei Cacciatori, per offrire il suo personale contributo alla lotta contro il brigantaggio, riesploso con virulenza nello Stato Pontificio dopo l’invasione francese.

Tale decisione risulterà, purtroppo, nefasta all’ex esattore che nel 1822, trovandosi in servizio a Sonnino con il grado di caporale dei Cacciatori, causa la morte di un uomo e per tale delitto, il 27 giugno 1823 a Frosinone, viene condannato "alla galera a vita". La pena sarà poi ridotta in appello (10 gennaio 1824) a 10 anni. Dapprima viene trasferito nel carcere di Porto d’Anzio (30 novembre 1824) e poi, il 4 novembre 1826. nel Forte Sant’Angelo di Roma, da dove sarà dimesso nell’agosto 1828.

Accanto ai guai giudiziari, però, il povero caporale deve affrontarne altri di natura pecuniaria.

Il 19 novembre 1822 la sentenza sindacatoria (controllo contabile) del signor Giuseppe Geminiani sulla sua attività esattoriale mette in evidenza che egli deve alla Comunità la somma di 230 scudi e 87 baiocchi per "esigenze inesatte" (tasse non riscosse).

E’ a questo punto che Virgilio, sempre più disperato, decide di rivolgere una supplica alla Sacra Congregazione del Buon Governo nella speranza di ottenere l’annullamento del debito.

Eccone il testo: 20 dicembre 1823, è a tutti manifesto lo stato d’impotenza in cui ritrovasi Virginio Iorio da S. Stefano in Campagna, oratore (supplice) e suddito dell’E.E. V.V., datosi egli al servizio del Governo nella qualità di "Capo de Cacciatori" per sbandire (eliminare) con impareggiabile zelo la masnada di Briganti che ne tempi più prossimi infestavano ambedue le provincie di Marittima e Campagna, lasciò imperfetta (incompiuta) un’esigenza comunitativa della terra di S. Stefano dal medesimo assunta coll’obbligo di renderne ragione a richiesta del Pubblico Rappresentante di detta terra, compiuto già l’anno della indicata esigenza, chiamato al rendiconto non potè, il detto Iorio, venirvi atteso il divisato lodevole servizio (non potè partecipare al rendiconto della sua attività a causa del lodevole servizio che stava prestando) che però fu condannato in di lui assenza alla somma di 200 scudi circa, comprensivamente alle paghe inesatte (non riscosse).

Dopo un tale servizio ebbe la disgrazia, il Iorio, di essere relegato nelle carceri di Frosinone poiché avendo voluto correggere con i schiaffi l’audacia di un uomo della terra di Sonnino, ove il detto Iorio trovavasi destinato di guardia co’ suoi armati, accorrendo uno di questi (sonninesi) con bastone ed afferrandolo (colpendolo) nella pancia, ove il sonninese aveva una grossa inveterata ostruzione, fu causa che quello restasse privo di vita e ciò fuor d’ogni loro intenzione e con acerbissimo loro dolore. Ed essendo il povero caporale Iorio stato ora condannato alla galera di anni 10, non potrà per tale effetto ultimare già mai la indicata esigenza (debito), avendo egli la moglie, tre figlie femmine (l’ultima, Anna Antonia nata nel 1822, morirà a soli 19 anni nel 1841), i genitori ottuagenari e ritrovandosi costoro in uno stato assai deplorabile, il povero detenuto ora supplica umilmente l’Innata Carità dell’E.E. V.V. a volerlo assolvere dal vistoso suo debito

TANTO IMPLORA"

 

La Sacra Congregazione del Buon Governo invia copia di tale supplica alla Comunità di Santo Stefano richiedendo un voto del Consiglio che si riunisce in data 23 febbraio 1824, sotto la direzione di Domenico Bonomo, facente funzione di Gonfaloniere, e di Domenico Leo, secondo anziano.

Su proposta del Consigliere Giovan Battista Iorio si delibera che Virgilio debba pagare l’intera somma del debito che in realtà ammonta a 230 scudi e 87 baiocchi, anche con la motivazione che "tanto più che la nostra Comunità si trova spuntata (debitrice) di somma maggiore presso la Cassa di strade corriere e provinciali".

Di fronte al rifiuto la famiglia Iorio, che nel frattempo è riuscita a pagare un quarto circa della somma dovuta (64 scudi), presenta una seconda supplica questa volta a nome di Teresa Anticoli, moglie di Virgilio.

Ella scrive che "non possiede altro che la casa e un oliveto, quella per abitarvi e questo per il sustentamento di se medesima non che per tre figlie femmine in età puerile e per il suocero ottuagenario", perciò supplica che le sia data la possibilità di pagare la rimanenza del debito in tre rate annuali per evitare la vendita all’incanto dell’oliveto che il padre di Virgilio, già nell’agosto 1822, aveva offerto alla Comunità come garanzia per il debito del figlio.

Si riunisce nuovamente il Consiglio (15 ottobre 1825) ed il signor Vittorio Rossi, uno dei consiglieri, prende la parola affermando che preso atto che Virgilio Iorio nel 1824 ha provveduto puntualmente ad un primo pagamento, egli si sente di invitare tutti gli altri Consiglieri ad accettare la dilazione triennale del debito, come richiesto da Teresa Anticoli, fermo restando che in caso di mancato pagamento, anche di una sola rata, il debitore dovrà versare l’intera somma e si procederà subito alla vendita all’asta dell’oliveto posto a garanzia.

Si passa, quindi, al voto, dal quale è escluso il consigliere Emanuele Anticoli, in quanto cognato di Virgilio Iorio.

Il risultato però è sfavorevole poiché, con 10 voti contro 8, viene respinta la richiesta di rateizzazione.

Nel 1828, con 5 anni di anticipo sulla data prevista di fine pena, Virgilio viene scarcerato, ormai troppo tardi per salvare l’oliveto, unica possibilità di sostentamento della sua sventurata famiglia.

 


 

up.08.02.13

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