IL MONDO SOTTERRANEO NELL'IMMAGINARIO DELL'UOMO  |  COME NASCONO LE GROTTE?  |  CARSO E CARSISMO  |  LE CAVERNE DI CASA NOSTRA, LA GROTTA DEL MONTICELLO A VILLA S. STEFANO

 

LA GROTTA DEL MONTICELLO A VILLA SANTO STEFANO

 

IL MONDO SOTTERRANEO NELL'IMMAGINARIO DELL'UOMO

di Giancarlo Pavat

"Pervenni all'entrata di una grande caverna, dinanzi alla quale restando alquanto stupefatto e ignorante di tal cosa, piegatomi ad arco e ferma la stanca mano sopra il ginocchio, colla destra feci tenebra alle abbassate e chiuse ciglia".

"Per vedere dentro vi discernessi alcuna cosa, questo vietatomi per la grande oscurità che là dentro era, e stato alquanto, subito si destarono in me due cose; paura e desiderio. Paura per la minacciosa e buia spelonca, desiderio per vedere se là dentro fussi alcuna misteriosa cosa". (Leonardo da Vinci).

Il filosofo greco Aristotele (IV secolo A.C.) diceva che l'Uomo è un animale sociale, tendente cioè a correlazionarsi con i propri simili nei luoghi che lui stesso ha realizzato per trascorrere la propria esistenza. Villaggi, città, intere comunità.

Non è questo il luogo ed il momento per analizzare i motivi che spinsero i nostri lontanissimi antenati ad abbandonare la vita raminga di cacciatori-raccoglitori per diventare sedentari e dare il via al cosiddetto "urbanesimo". Si ritiene che sia stato proprio questo fenomeno a far sorgere le civiltà umane. Le prime nel Vicino Oriente. Ciò non significa che prima di avere un tetto in legno, paglia o mattoni crudi sopra la testa, l'uomo non avesse un ricovero e vivesse all'aria aperta.

Sebbene l'evoluzione umana abbia avuto il suo corso in aree calde o, quantomeno temperate, è pur vero che i discendenti di "Argil" (l'antichissimo "Uomo di Ceprano" scoperto nel 1994 dal Prof. Italo Biddittu nelle campagne di Campogrande tra Pofi e Ceprano), sia il ramo che portò all'Uomo di Neandertal che quello dal quale discendiamo noi Uomini "Sapiens", ad un certo punto delle loro esistenze, si sono trovati a vivere in zone ai limiti delle Glaciazioni, l'ultima delle quali terminata circa 10.000 anni fa.

Pertanto è comprensibile che i nostri progenitori abbiano cercato qualcosa sotto cui ripararsi quando pioveva e nevicava. Si saranno guardati attorno e non avranno potuto fare a ameno di sfruttare le numerose aperture rocciose che Madre natura ha creato nel corso di milioni di anni sui fianchi di montagne, colline e scogliere.

Un diffuso luogo comune indica gli uomini della preistoria come "cavernicoli". Nulla di più impreciso. L'Uomo Primitivo ha utilizzato le grotte rimanendo quasi sempre nei pressi degli ingressi. Meno umidi e più areati. Raramente si è addentrato nei più profondi recessi. E quando lo ha fatto, è stato per motivi e scopi particolari. Come seppellire i morti o realizzare vere e proprie "opere d'arte", forse finalizzate a forme di culto.

Si sceglievano gli antri più esposti alla luce solare, in genere volti a meridione, vicini a sorgenti e a corsi d'acqua.

E proprio le caverne hanno fatto giungere sino a noi le testimonianze degli uomini preistorici. Ci hanno permesso di aprire spiragli sul Passato per meglio comprendere e conoscere come viveva il più antico genere umano, come le Grotte di San Canziano, ove si inabissa il fiume timavo sul carso, nei pressi di Trieste.

Pertanto, grossomodo, potremmo dire che l'Essere Umano, pur essendo portato a vivere alla luce, all'aria aperta (centri commerciali permettendo), ha nel proprio DNA, nel proprio istinto, qualcosa che lo spinge verso i più oscuri e profondi mondi sotterranei.

Nelle caverne sono state fatte le prime inumazioni (come nelle Grotte dei Balzi Rossi in Liguria, o la sepoltura di "Delia" in Puglia), le prime realizzazioni del genio umano (come le incredibili pitture rupestri di Altamira in Spagna e Lescaux in Francia, ma anche il "Bos Primigenius" di Papasidero in Calabria e, per restare più vicino a noi, la pittura dell'Uomo stilizzato rinvenuto nella grotta "Arnalo dei Bufali" a Sezze in provincia di Latina) ma vi si è anche collocato l'Aldilà. Basti pensare alle le civiltà Mesopotamiche o quella Classica Greco-Romana.

L'ingresso dell'Ade era posto in una caverna nei pressi dell'oscuro Lago Averno, vicino ai Campo Flegrei in Campania. Nelle viscere del sottosuolo vivevano mostri spaventosi, Cerbero il Guardiano del Regno dei Morti, ma in una grotta viveva anche l'orripilante Scilla che, assieme alla sua dirimpettaia Cariddi, minacciava i naviganti che percorrevano lo Stretto di Messina.

Per un'altro grande filosofo dell'Antica Grecia, Platone, maestro di Aristotele, le caverne erano l'allegoria del sapere e della conoscenza umana. In una spelonca nei pressi del Colle Palatino si celava un gigantesco serpente, poi esorcizzato addirittura da un Pontefice, Papa Silvestro I° (IV secolo D.C.), quello al quale è dedicata l'ultima notte dell'anno.

A sx. il quadro "La Vergine delle Rocce" (1486) di Leonardo da Vinci, conservato al Museo del Louvre.

A dx. "San Giorgio e il Drago" di Paolo Uccello conservato alla National Gallery di Londra. Nel capolavoro del pittore rinascimentale toscano, il Drago ucciso dal Santo viveva in una oscura spelonca.

Altri draghi e dragoni vivevano in caverne o in profondi laghi ipogei sulle Alpi e sulle Dolomiti.

Nelle Saghe dei Popoli Nordici, il sottosuolo, in immense gallerie, si dispiegavano i Regni degli gnomi e di nani custodi di favolosi tesori.

Sui Monti Sibillini, tra Umbria e Marche, si apre l'Antro della Sibilla, meta nel Medio Evo di maghi, stregoni e negromanti. Tanto frequentata da costringere le Autorità Ecclesiastiche e civili ad erigere una muraglia e vietarne l'accesso.

Molte antiche divinità o Eroi semidivini sono nati in caverne o vi hanno trovato rifugio. Ogni anno, a Natale, a casa nostra, allestiamo il Presepe e costruiamo, in genere in cartapesta , una grotta ove porre la Mangiatoia, la Sacra famiglia ed il Salvatore. (Per inciso, nei Quattro Vangeli Canonici non compare il particolare della Grotta ma si parla semplicemente di una stalla. Ciò non toglie che la stalla ove trovarono riparo San Giuseppe e la Vergine fosse ricavata in un anfratto naturale, come ancora oggi avviene in molti luoghi).

Lo scrittore francese Giulio Verne, nel suo famoso romanzo "Viaggio al centro della Terra", immagina un nucleo terrestre abitabile e abitato da animali antidiluviani.

Ma antri, spelonche, voragini, abissi rivestono anche significati simbolici, esoterici. Di difficile decifrazione, evocante archetipi riconducibili proprio agli aspetti e tradizioni che abbiamo appena, rapidamente, elencato.

Oggi le grotte sono meta di legioni di studiosi, esploratori e appassionati. Ci sono cavità aperte al pubblico ed attrezzate turisticamente ed altre che vi possono accedere solo gli esperti, a volte calandosi in pozzi vertiginosi mediante particolari attrezzature e tecniche. Ma che cosa spinge tante persone ad addentrarsi nel sottosuolo? Sono attratti dall'amore per la scienza, per la natura e per l'avventura. Da archetipi sepolti nella nostra psiche, da sentimenti tanto egregiamente tratteggiati da Leonardo da Vinci. Il Genio Toscano era attratto dalle grotte non soltanto dalla sua innata curiosità per la Natura ed il Mondo circostante, ma anche dai sottili significati che evocavano nel suo animo e che è riuscito ad eternare nei suoi capolavori. Uno per tutti, la stupenda Pala d'Altare conosciuta come "La Vergine delle Rocce". Sono stati fatti scorrere i proverbiali fiumi d'inchiostro proposito del simbolismo celato nel quadro, di cui esistono ben tre versioni realizzate a distanza di anni. Desideriamo sottolineare soltanto una cosa. Pur variando per alcuni particolari, i tre dipinti sono identici dal punto di vista dell'ambientazione della scena ritratta. L'incontro tra la Vergine e Gesù Bambino da un lato e San Giovannino accompagnato dall'Angelo Uriele dall'altro, si svolge in una caverna. Che può essere interpretata come una metafora della verginità della Madonna e dell'Immacolata Concezione, l'Horto Conclusus. Oppure il manifestarsi del Volto della Vergine, immagine tratta dal Cantico dei Cantici diffusa nell'iconografia Mariana fatta propria dagli Immacolisti ed i committenti di Leonardo erano i membri laici della Confraternita dell'Immacolata Concezione della Chiesa di S. Francesco Grande a Milano.

Se le cavità sul piano teorico e metafisico hanno ispirato il pensiero e la spiritualità dell'Uomo, inserendosi nel substrato culturale di tradizioni e civiltà, anche lontane da noi, dal punto di vista materiale, fisico, che cosa sono in realtà le caverne? E come nascono? Quali sono i lentissimi processi naturali che presiedono alla loro formazione?

Lo abbiamo chiesto allo speleologo Augusto Carè, laureato in scienze geologiche, Direttore del "Servizio Monitoraggio Ambientale" del "Comprensorio delle Grotte di Pastena e Falvaterra" e responsabile del "Censimento Aree Carsiche della Ciociaria e ha partecipato, nell'estate del 2003 al sensazionale ritrovamento dei crani fossili di stambecchi preistorici sul Monte Calvo nella catena degli Ausoni. .

 

 

COME NASCONO LE GROTTE?

di Augusto Carè

Le cause che portano alla formazione delle cavità naturali possono dipendere da fattori molto diversi. Si possono, infatti, avere grotte d’origine tettonica, d’origine magmatica e lavica, grotte provenienti da erosione marina od eolica, grotte causate da frane, grotte glaciali. Nella Ciociaria, costituita da dorsali montuose formate da rocce carbonatiche, come i monti della catena degli Ernici-Simbruini e nella catena dei Lepini-Ausoni-Aurunci, e quindi anche il territorio di Villa Santo Stefano, il tipo più diffuso è costituito dalle grotte che hanno come causa il cosiddetto fenomeno carsico.

CARSO E CARSISMO

di Giancarlo Pavat

Il termine "Carsismo" prende il nome dall'altipiano del Carso, (con quote che vanno dai 600 ai 1000 metri s.l.m., vasta regione rocciosa, caratterizzata da enormi e spettacolari grotte, immensi fiumi sotterranei (come il Timavo, conosciuto sin dall'antichità classica che sfocia nei pressi di Trieste) e profondi abissi (come le tristemente famose "Foibe", in cui alla fine della Seconda Guerra Mondiale furono gettati migliaia di italiani ad opera delle truppe Yugoslave di Tito), situata alle spalle di Trieste, nella regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, che si estende sino alla penisola Istriana. Geograficamente si distinguono il Carso Triestino (quello più famoso con al "Grotta Gigante" nel comune di Trieste), il Carso Goriziano e Monfalconese (che vide le sanguinose battaglie della Prima Guerra Mondiale alla quale parteciparono anche tanti Santostefanesi), il Carso Istriano e il cosiddetto "Alto Carso" (o Carso della Carniola). Questi ultimi due territori, occupati dalla Yugoslavia al termine dell'ultima Guerra Mondiale, oggi fanno parte della Repubblica di Slovenia.

Etimologicamente Carso deriva dal sostantivo di origine celtica-indoeuropea "kar" che significa "pietra". Per inciso, tale prefisso compare anche nei nomi di regioni confinanti con il Carso (che in tedesco si dice Karst), come la Carinzia (Karnten in tedesco), la Carnia (la zona montuosa del Friuli) e la Carniola (o Krain) nome con cui dal Medio Evo sino al XIX veniva indicata quella regione del Sacro Romano Impero corrispondente all'attuale Slovenia).

Con la parola "Carsismo" si indica sin dal XIX secolo appunto quell'insieme di fenomeni epigei ed ipogei, tipici del Carso, prodotti dalle acque meteoriche che incidono le rocce composte in prevalenza da carbonato di calcio, creando "campi carreggiati" (o carreggiati carsici), abissi, grotte e misteriosi fiumi e sorgenti sotterranee. In Ciociaria sono presenti importanti sorgenti carsiche, come quelle dei fiumi Gari e Fibreno, con portate di ben 18 e 10 metri cubi al secondo, seconde in Europa solo al famoso fiume carsico Timavo che sfocia nell’Adriatico nei pressi di Trieste.

È poco noto, ma l'astronauta americano Neil Amstrong, il primo uomo a scendere sulla Luna nel luglio del 1969, durante le sue comunicazioni con la Base di Cape Kennedy in Florida, nel descrivere il panorama cosparso di crateri e avallamenti del nostro satellite, lo paragonò al Carso.

Il fenomeno carsico è dovuto principalmente all'azione che esercita l'acqua su un tipo particolare di rocce, le rocce carbonatiche le quali sono composte in prevalenza da carbonato di calcio.

Le nostre rocce carbonatiche si sono formate principalmente a seguito di sedimentazione in ambienti marini grazie all’accumulo lento, ma continuo, di gusci calcarei d’organismi, i resti di molluschi, di crinoidi, di alghe calcaree, viventi allora in prevalenza a non grandi profondità, cioè solitamente nell'ambito della cosiddetta piattaforma continentale, diede luogo alla formazione di quello che viene chiamato biostroma. Altri gusci, quelli cioè degli organismi che formano il plancton, viventi in mare aperto, più profondo, depositandosi, diedero invece luogo ai cosiddetti calcari pelagici.

Per un insieme di fenomeni chimico-fisici, noti come diagenesi o litificazione, questi fondi marini, risalenti all'Era Mesozoica e in parte Cenozoica, subirono una lentissima azione di cementazione e consolidamento, divenendo infine solida roccia.

A sx. gigantesca stalagmite nella Grotta Gigante a Trieste

A dx. (di G. Pavat) Ingresso della Grotta degli Ausi.

 

(di G. Pavat) Il cranio fossile di stambecco preistorico rinvenuto nel luglio del 2003, nella Grotta del Cacciatore sul Monte Calvo a Vallecorsa, da Giancarlo Pavat. La ricerca era stata coordinata dal prof. Italo Biddittu, direttore del Museo Preistorico di Pofi, in collaborazione con il Comune di Vallecorsa e sotto gli auspici della Sovrintendenza. Vi avevano partecipato anche Patrizio Ricciotti e Augusto Carè. Quest'ultimo, durante le delicate operazioni di recupero del primo cranio, ne ha rinvenuto un secondo.

La crosta terrestre, secondo la teoria della tettonica a placche, è suddivisa in zone rigide in movimento l'una rispetto all'altra fin dalle epoche più lontane. I fondi marini si espandono giungendo a trascinare i continenti o a scontrarsi con essi, dando luogo a corrugamenti che formano le montagne. Data la rigidità di queste masse calcaree, tali sollevamenti e corrugamenti produssero numerosissime fratturazioni che ridussero quei complessi, che in origine avevano una struttura abbastanza compatta, in formazioni, a tratti, intensamente fessurate e fratturate.

Le rocce sono composte di carbonato di calcio, un sale quasi insolubile nell'acqua pura. L'acqua, arricchita di anidride carbonica, derivante dall’atmosfera e soprattutto dal suolo, riesce a portare in soluzione il sale, sotto forma di bicarbonato di calcio, in virtù della formazione dell’acido carbonico.

CaCO3 + H2O + CO2  -------->  Ca(HCO3)2

Ciò consente all'acqua stessa di penetrare in quelle fessure della roccia calcarea allargandole sempre più e scendendo quindi in profondità

Tramite questa azione chimica, di corrosione, e l'altra azione meccanica o fisica, di erosione, l’acqua svolge, in effetti, sia in superficie sia in profondità, una continua azione di modellamento che porta alla formazione delle forme del carsismo epigeo, quali doline e polje, ed ipogeo quali le grotte carsiche tramite un fenomeno strettamente connesso.

All’interno delle grotte, abbandonate dalle acque della falda e dei fiumi sotterranei, l’acqua determina un fenomeno di deposizione del carbonato tramite i continui stillicidi o gocciolamenti.

L’acqua, infatti, a livello di minute gocce, perde l’anidride carbonica determinando la deposizione del carbonato di calcio, precedentemente disciolto sotto forma di bicarbonato di calcio. In effetti, la reazione risulta l’inverso della reazione di solubizzazione precedente del carbonato di calcio:

Ca(HCO3)2 -------> CO2 + CaCO3 + H2O

Dalla parete di roccia si forma un piccolo anello di carbonato, formato da minuscoli cristalli di calcite, a cui segue una serie di altri anellini sovrapposti verso il basso fino a formare un lungo tubicino semitrasparente detto cannuccia o capello d’angelo. La concrezione che si sta formando dà vita a quella che chiameremo stalagmite, da una parola greca che significa gocciolante, la quale potrà continuare a crescere verso il basso. La calcite è il minerale che più facilmente si forma dal carbonato di calcio; in condizioni particolari, è possibile però ottenere la formazione dell’aragonite, più instabile, ma dai concrezionamenti più stravaganti.

Le gocce quando arrivano al suolo contengono ancora del carbonato di calcio, sempre sotto forma di bicarbonato, ciò permette loro di deporne dell’altro nel punto di caduta, determinando la formazione di una concrezione che salirà verso l’alto, che chiameremo stalagmite, sempre da una parola greca che significa semplicemente goccia. A differenza della stalattite, la stalagmite non ha il tubicino interno, presente nelle prime fasi di crescita e per questa ragione non risuona come una canna d’organo.

Con il tempo la stalagmite potrà unirsi con la stalattite formando una colonna, come nella Grotta del Monticello a Villa S. Stefano.

Le caratteristiche dell’acqua, con presenza di elementi cromatici quali ferro, manganese, rame, cromo, le condizioni del clima della grotta e le caratteristiche delle rocce determineranno un’ampia gamma di tipi di concrezioni, sia per conformazione sia per colorazioni, con meccanismi chimico-fisici a volte complessi

Dopo aver raggiunto il massimo splendore, con la formazione degli ambienti più vari, ricchi di concrezioni, per la grotta inizia una fase di declino dovuta all’azione sempre dell’acqua che continua ad asportare roccia determinando il franamento e l’allargamento delle sale, a danno della sua stabilità, con conseguenti crolli sempre più devastanti.

Come insegna proprio la vicenda della frana di una parte del centro storico di Villa Santo Stefano il 28 marzo 1932.

 

LE CAVERNE DI CASA NOSTRA, LA GROTTA DEL MONTICELLO A VILLA S. STEFANO

di Giancarlo Pavat

Il territorio del comune di Villa S. Stefano, nella valle dell'Amaseno, in mezzo ai Monti Lepini ed Ausoni, è fortemente caratterizzato da fenomeni carsici, soprattutto epigei, però, incredibilmente, non aveva alcuna cavità censita nel Catasto Regionale delle Grotte. A colmare la lacuna sono stati proprio Augusto Carè e Patrizio Ricciotti, speleologi del G.S.C. (Gruppo Speleologico Ciociaro) che, assieme a chi scrive e a Luigi Fiocco (che la conosceva sin da ragazzino), sono entrati nella Grotta che, dal rilievo su cui si apre, è stata denominata del Monticello.

(di G. Pavat) Da sx. Augusto Carè, Luigi Fiocco e Giancarlo Pavat nei pressi della Grotta del Monticello
(di G. Pavat) Da sx. Augusto Carè, Luigi Fiocco e Patrizio Ricciotti.
(di G. Pavat) Luigi Fiocco nella boscaglia che cela l'ingresso della Grotta del Monticello.
(di G. Pavat) L'ingresso della Grotta del Monticello
(di A. Carè) Speleologo all'interno della Grotta del Monticello

 

(di G. Pavat) Interno della Grotta del Monticello.

 

 

"La caverna mappata" ci spiegano Carè e Ricciotti "si apre sul versante sud-occidentale della dorsale Monte Siserno – Monte Lupino, è lunga circa 20 metri con andamento quasi orizzontale e con un dislivello di circa 2 metri. Immersa in una folta ed intricata macchia mediterranea, segue una linea di faglia, tagliata a sua volta da altri sistemi tettonici, con substrato costituito da terre rosse e rocce mesozoiche carbonatiche con campi carreggiati e altri fenomeni carsici epigei".

La volta presenta una sezione ad arco a sesto acuto, non ospita particolari concrezioni, tranne una possente colonna al centro della galleria, che termina con uno strettissimo pozzo. "Dove conduca è un mistero" racconta Patrizio Ricciotti, alpinista, speleologo e medico del C.N.S.A.S. (Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologo) "in quanto è ancora inesplorato a causa delle oggettive difficoltà e rischi che comporta entrarvici".

Ma la Grotta del Monticello, oltre ad essere al prima caverna santostefanese censita, è importante perché si è scoperto che è abitata da una fauna ipogea. Soprattutto insetti ma anche, ed è questa la scoperta più importante, pipistrelli e chirotteri. Finora nella Valle del fiume Amaseno, questi piccoli mammiferi volanti, tanto vituperati e perseguitati ma in realtà innocui e utilissimi in quanto si cibano di insetti nocivi, erano stati individuati soltanto nel celebre complesso ipogeo della Grotta degli Ausi e degli Inghiottitoi di Colle Fornale.

"I pipistrelli sono gli unici mammiferi in grado di volare" spiega Augusto Carè "A permettere il volo è la membrana alare chiamata "patagio". L'apertura alare varia da specie a specie Più delle metà delle specie di questi animaletti usano l'ecolocalizzazione per volare di notte e per cacciare le loro prede. Il loro areale comprende tutte le latitudini tropicali e temperate anche se, purtroppo, sono in sensibile diminuzione soprattutto per colpa degli esseri umani".

Ecco perchè è molto importante trovare nuove colonie anche se composte da pochi individui. "Gli studiosi muniscono i pipistrelli di collare con ricetrasmittenti per poter monitorare i loro movimenti e conoscere le loro abitudini, sotto certi punti di vista,ancora poco conosciute" prosegue Carè "Inoltre la presenza di questi mammiferi nella Grotta del Monticello indica come questa sia ancora biologicamente intatta".

Le Grotte e tutti i fenomeni carsici, tutelati dalla Legge Regionale n. 20/99 "Tutela del patrimonio carsico e valorizzazione della speleologia", sono un patrimonio di tutti e tutti devono concorrere alla loro tutela. Considerazione che vuol unirsi ad un invito a tutti gli abitanti della vallata a segnalare la presenza di nuove cavità ed inghiottitoi.

Non dimentichiamoci che le grotte possono essere anche un polo di attrazione turistica e portare, pertanto, benessere e ricchezza alle amministrazioni ed alle popolazioni locali.

(di S. Di Bono) Fossili di rudiste sul Monticello-Siserno

Tra l'altro la Grotta del Monticello potrebbe essere l'occasione per un "gemellaggio" con una località della Toscana che vanta un'altra cavità con il medesimo nome. Si tratta della Grotta di Monticello sita ad Agnano, una piccola frazione del comune di San Giuliano Terme in provincia di Pisa. Arrampicata sul Monte Pisano tra ulivi e macchia mediterranea. Un panorama molto simile a quello di Villa Santo Stefano.

marzo 2006

www.villasantostefano.com

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