Una giornata tipica

 

Fino ai primi decenni del 1900 una giornata tipica, nel paese, si apriva e si chiudeva al rintocco di campana. Prima ancora dell'albeggiare, contadini, artigiani e donne di casa, svegliati dal canto del gallo, si preparavano per i lavori della giornata al lume di candela o lampada ad olio, e poco a poco le strade si animavano con gente ed animali. Nelle case dei signori, ancora al letto, la servitù si dava da fare nelle cucine e nelle cantine preparandosi per le varie faccende del giorno.

Dal presepe vivente di Villa S. Stefano

Presepe vivente del 1997

Le donne che avevano passata la notte a preparare il pane, si dirigevano ieraticamente, le spianatoie con le pagnotte cresciute in capo, verso i forni per la cottura, mentre nei frantoi durante la stagione invernale gli addetti ai lavori raschiavano fondelli e macine, ammucchiavano fìscoli, accendevano i fuochi per l'acqua bollente e raccoglievano i grassi affioranti nel purgatorio, dando il via ad un'altra giornata lavorativa.

Frattanto, alla Porta e alla Portella, la gente aspettava che all'ora stabilita le guardie spalancassero i battenti per uscire con i loro animali ed attrezzi verso i campi. Suonava intanto la campana della messa, i ragazzi scendevano in strada a fare i giochi di stagione o, se c'era il maestro, avviarsi alla sua casa per l'istruzione; le donne davano mano ai lavori domestici soffermandosi di tanto in tanto a chiacchierare con comari dalle finestre; ed i signori, fatta colazione, andavano, doppietta in spalla, a dare una occhiata ai loro fondi o a caccia, o passeggiavano per la piazza a chiacchierare con i funzionari della curia e, nei giorni d'udienza, con querelanti o querelati; per i vicoli si alternavano le grida del pescivendolo, del cardalana, del cenciaio e delle venditrici di arance ed altra frutta venute montagna-montagna da Fondi.

Forse l'evento più elettrizzante si aveva quando due donne, una da capo e l'altra al fondo di una strada o da finestra a finestra, baccagliavano con voce stentorea rinfacciandosi le magagne e le sozzure delle rispettive famiglie, mentre il vicinato ascoltava, fino a quando quelle si calmavano spossale, come il temporale che si allontana brontolando.

La giornata si svolgeva a ritmo pacato col suonare del mezzogiorno, lo sforchettare del pranzo nelle case dei benestanti ed il riposo pomeridiano, e solo a sera il paese si rianimava col ritorno dei lavoratori dai campi, lo sghignazzare di chi giocava ad passerellam nelle cantine, il rullo del tamburo e la voce del banditore pubblico, e finalmente il coprifuoco che ordinava tutti a casa; salvo nelle sere di Natale, del Venerdì Santo e dell'Assunta. Chi aveva buona ragione poteva trovarsi per strada dopo il coprifuoco, ma era tenuto a portare un lume; e non potevano esserci  più di tre persone per lume. Girare dopo il coprifuoco si rischiava anche imbattersi in qualche persona malintenzionata, cani famelici e, peggio ancora, in un lupo mannaro, e ci si azzardava solo chi, strisciando contro i muri, si recava ad un appuntamento amoroso. Le notti erano quiete; e mentre nelle loro case i signori rimanevano a tavola fino a tarda ora a chiacchierare, in quelle contadine, allo spegnersi delle ultime braci, erano già tutti al letto, e chi non dormiva si aggirava nel mondo dei fantasmi e poteva udire il sommesso mormorare delle anime sante del purgatorio; per gli amanti, cantava l'usignolo e l'assiolo scandiva il passare del tempo.

Pellegrinaggi e feste offrivano periodicamente un sollievo da questo vivere spesso monotono e, attraverso l'esperienza religiosa, si aveva una vera catarsi sociale. Si andava in pellegrinaggio a chiedere speciali favori ai santi titolari del posto o a sciogliere voti; si partiva ammucchiati sopra barrocci tirati da buoi finché le strade lo permettevano e quindi a piedi per i santuari vicini come quello di S. Cataldo a Supino, e poi per quelli più lontani della SS.ma Trinità, di S. Domenico a Cocullo, della Civita, della Montagna spaccata presso Gaeta, e anche Montevergine e Loreto; partivano cantando inni e litanie e ritornavano stanchi, ma sempre inneggianti, e questo cantare in coro era il veicolo essenziale che innalzava gli spiriti verso il divino e li purificava.

Ritorno dalla campagna

Ieri come oggi - Giubileo2000

A S. Domenico di Cocullo non si andava solo per la festa del santo e la processione caratteristica con i serpari, ma più espressamente ci andava, accompagnato dai suoi, chi era stato morso da serpe velenosa o da cane idrofobo; secondo testimonianze di chi si era trovato in queste condizioni, varcato il confine di Cocullo, il malato veniva scosso da fortissima convulsione epilettica, segno evidente che per opera del santo il sangue aveva rigettato il veleno.

Ma l'esperienza sociale più esilarante era quella delle processioni, che fino ad alcuni anni addietro coinvolgevano tutta la popolazione che presa da fervore religioso seguiva il santo inneggiando per le vie del paese. Durante gli ultimi cento anni, le feste più importanti sono state quelle di mezzo agosto dell'Assunta e di S. Rocco; come una volta per gli emigrati oltre Atlantico, queste feste continuano ad essere il punto di riferimento dell'anima santostefanese, il momento dell'anno quando tutti, presenti, oriundi ritornati e quelli rimasti lontano nelle Americhe ed altri in paesi fino all'Australia sentono forte il richiamo del paese; è forse il momento più drammatico nel quale rivive tutta l'anima popolare nella sua esperienza storico-sociale.

Arturo Iorio

www.villasantostefano.com

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