DON GIUSEPPE IORIO
IL PRIMO SALESIANO DI VILLA

La Congregazione salesiana annovera tra i suoi sacerdoti due Santostefanesi e precisamente: Don Giuseppe Iorio e Don Giuseppe Leo. Il primo, vissuto tra la seconda metà dell’800 e l’inizio del‘900, fu infermiere al Sacro Cuore in Roma; il secondo, che ha celebrato il 25° di ordinazione sacerdotale nel 2004 è, attualmente, missionario in Honduras.

Piazza del Mercato, a sinistra l'ingresso del numero civico 6

Giuseppe Iorio aspirante salesiano

Giuseppe, Torello, Alfredo Iorio, nato a Villa S. Stefano il 27 settembre 1875, da Biagio fu Marcantonio e Domenica Reatini fu Domenico, terzo di otto figli, abitò nella casa che comprende oltre alla cosiddetta Torre dell’Olmo o di Metabo (come è definita comunemente), anche gran parte dell’edificio sovrastante la "Loggia". L’ingresso a tale abitazione è in piazza del Mercato, numero civico odierno 6, la facciata principale in piazza Umberto I. L’immobile, di proprietà della famiglia di Don Giuseppe da più generazioni, continua ad appartenere, seppur parzialmente, ad alcuni pronipoti del sacerdote.

Il giovane Giuseppe venne accolto all’ospizio del Sacro Cuore (oggi Istituto del Sacro Cuore) nel 1893. Era lo stesso anno dell’inaugurazione dell’Ospizio, progettato da Don Bosco ma realizzato, negli anni 1891-1893, dal beato Michele Rua, primo successore di Don Bosco; erano appena trascorsi sei anni dall’inaugurazione della Chiesa del Sacro Cuore, la seconda e ultima grande opera di Don Bosco, dopo quella di Maria Santissima Ausiliatrice, realizzata in Torino. Don Bosco, nell’accettare l’incarico conferitogli da Papa Leone XIII, di erigere il tempio del Sacro Cuore in Roma, voluto da Pio IX e terminato in soli sette anni (1880-1887), aveva posto la condizione che si costruisse accanto ad esso un Ospizio, ovvero un Istituto che accogliesse tanti giovani, non solo per educarli nella vita cristiana e nell’apprendimento dei lavori artigianali, ma anche per avviarli al sacerdozio. L’Ospizio, quindi, fu anche una specie di Seminario.

La Torre dell'Olmo o di Re Metabo

La Chiesa del Sacro Cuore

Il nostro Giuseppe, che fece parte del primo gruppo di giovani che frequentò l’Ospizio, maturò gradualmente la vocazione sacerdotale, nel corso degli studi ginnasiali. Risoluto di entrare nella Società salesiana, ebbe la sorte di far parte anche del primo gruppo di giovani che, nel novembre del 1896, inaugurarono il noviziato di Genzano. Pronunziati i voti perpetui l’anno successivo, era il 1897, e compiuto il corso ordinario degli studi, ricevette gli Ordini maggiori il 30 agosto 1903, a Castellamare di Stabia, dove rimase per circa un anno. Ma la sua casa era l’Ospizio del Sacro Cuore, dove fu richiamato l’anno seguente, per non allontanarsene mai più, fino alla sua morte avvenuta l’11 luglio 1912, per tisi polmonare, contratta assistendo un suo confratello malato.

Erano appena trascorsi nove anni dalla sua ordinazione sacerdotale. Don Giuseppe fu sepolto nel cimitero del Verano a Roma, nella Tomba dei Salesiani, e precisamente nel riquadro 2 n. 89 del Quadriportico della Tomba di Adamo Colonna. I suoi resti esumati nel 1973, sono stati sistemati nell’arcata n. 4 del medesimo Quadriportico.

La tomba dei Salesiani al Verano, Roma

Uno dei lati più caratteristici della vita di Don Giuseppe è stata la condotta da lui tenuta nell’ultimo decennio. Il male che lo aveva colpito, lo stava consumando lentamente, di ciò egli era pienamente consapevole né si faceva la benché minima illusione su una eventuale guarigione, in quanto sapeva benissimo che tutti i rimedi somministratigli, erano per lui semplici palliativi. Nonostante ciò, invece di tirarsi in disparte per badare solo alla sua salute, pur non trascurando di usarsi quei riguardi che la sua prudenza e la carità dei Superiori gli suggerivano, svolse una serie di attività, sia in Istituto che in Parrocchia, affidategli dai Superiori, quali potevano contare "non solo sul suo perfetto buon volere, ma anche sulla sua intelligente e premurosa attenzione".

Don Giuseppe ebbe una vita pressoché normale, seppur breve. Mostrò sempre di non voler distogliere gli occhi dalla morte, ma di guardarla in faccia, senza timore, accettandola, rimettendosi alla volontà di Dio. Con gli amici, parlava spesso della sua morte con semplicità, con tanta serenità abituale, talvolta con arguzia "infiorando delle più amabili piacevolezze il discorso". Don Giuseppe visse il suo ministero sacerdotale principalmente nell’assistenza agli infermi dell’Ospizio, ma aiutava anche in Parrocchia. In particolare, nei tempi di grande affluenza di gente al Sacro Cuore, si prestava, con zelo, ad ascoltare le confessioni. Dall’Archivio storico salesiano emerge la figura di un Sacerdote, costantemente impegnato nelle attività assistenziali e di supporto alla Parrocchia "di carattere giovialissimo e di ottimo spirito". Così viene descritto dai suoi Confratelli.

A sx la foto del Beato Zeffirino e a dx la statua di Don Bosco in Vaticano, con il Beato Zeffirino e San Domenico Savio

Don Giuseppe, in qualità di infermiere del Sacro Cuore, ha incontrato un personaggio singolare, davvero speciale, allora noto solo nella Società salesiana ed oggi in tutto il mondo, soprattutto in Argentina. Si tratta dell’aspirante salesiano Zeffirino Namuncurà, un giovane indios Mapuche, figlio del Gran Cacico (capo tribù) della Patagonia, morto, in concetto di santità, all’ospedale Fatebenefratelli di Roma, presso l’isola Tiberina, l’11 maggio 1905. Era nato il 26 agosto1886. E’ stato beatificato a Chimpay (Argentina-Rio Negro), suo paese natale l’11 novembre 2007. Zeffirino, il figlio della Pampa, il Principe delle Ande, come è stato definito, è "un frutto del sistema preventivo di Don Bosco". Mentre frequentava il collegio salesiano Pio IX ad Almagro,nella sua terra natale, maturò nel suo cuore un grande sogno: studiare, diventare sacerdote e tornare tra la sua gente, per contribuire alla crescita culturale e spirituale del suo popolo, come aveva visto fare dai primi missionari salesiani. Nel 1901 si ammalò di tubercolosi. Per curarlo meglio. Monsignor Giovanni Cagliero, l’apostolo della Patagonia, lo portò in Italia nel 1904. Queste le tappe principali della sua permanenza in Italia: Frascati, Collegio Salesiano; Roma: Collegio Sacro Cuore e Ospedale Fatebenefratelli, dove meravigliò tutti per la sua preghiera continua, la disponibilità alla volontà di Dio, la fortezza nella sofferenza. Durante i quarantaquattro giorni di degenza in ospedale, ricevette spesso la visita di Don Iorio, che così testimoniava sul comportamento tenuto da Zeffirino. "Mai fece sentire una lamentela, anche se il solo vederlo suscitava compassione e strappava le lacrime, così magro e sofferente com’era. Non soltanto non si lamentava delle sue sofferenze, ma le dimenticava tutte per pensare a quelle degli altri...". A Don Giuseppe tre giorni prima di morire Zeffirino disse: "Padre, io fra poco me ne andrò, ma le raccomando questo povero giovane che è accanto a me (era un allievo salesiano); torni spesso a visitarlo... Soffre tanto. Di notte quasi non dorme, tossisce tanto...". Questa testimonianza è stata riportata dal Bollettino Salesiano Luglio-Agosto 2009, nell’articolo intitolato "L’ultimo volo". Oggi possiamo ammirare la statua del beato Zeffirino nella Basilica Vaticana. Infatti nell’ultima nicchia, a destra della navata centrale, c’è una statua di San Giovanni Bosco che indica l’altare e la tomba di San Pietro. Accanto a lui due giovani santi: l’uno dalle fattezze europee: S. Domenico Savio; l’altro, dai tratti somatici delle tribù del Sudamerica: Zeffirino Namuncurà.

Che cosa ci rimane oggi di Don Giuseppe Iorio?

A tutti il suo esempio: è stata una persona, piacevolmente allegra e spiritosa, che non si è lasciata abbattere dalla malattia, che lo aveva colpito, sopportata pazientemente. Ha vissuto secondo i suoi ideali religiosi e civili, ai quali è stato sempre fedele ed ha lavorato fino al termine della sua vita, tranne che negli ultimi due mesi. Ai suoi nipoti e pronipoti rimane il suo ricordo, tramandato dagli anziani della famiglia, alcuni dei quali lo hanno conosciuto personalmente. Al paese la cappella "La Cunicella" di via Napoli, costruita dal padre di Don Giuseppe, affinché il figlio potesse celebrare la Santa Messa, ogni volta che veniva a Villa da Roma.

La piccola cappella della "Cunicella" con l'altare

La Cappella è stata restaurata più volte dai fratelli di Don Giuseppe, l’ultima volta da suo nipote, il sacerdote Don Augusto Lombardi, figlio di sua sorella Virginia. Nella Cappella si venera l’Immacolata Concezione, il quadro che la raffigura è stato donato dal nostro Don Giuseppe.

 

di Marina Ceccarelli e Maria Teresa Iorio

 

27 sett. 2010

www.villasantostefano.com

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