11 PARTIGIANI
Quel 22 gennaio 1944 ne erano accadute di cose. All’alba gli americani
erano sbarcati ad Anzio, nel pomeriggio Werner Mork subiva un collasso
malarico a Frosinone ed infine, in serata, Virgilio Reali, in fuga da
Ferentino, avrebbe raggiunto Pisterzo.
Amici comuni avevano consigliato al fuggitivo di contattare Don Luigi
Falconi che avrebbe trovato quasi sicuramente nella chiesa di S. Michele
Arcangelo. Così, raccolte le ultime forze insieme alle sue speranze,
Virgilio, fermo ai Tre Moschetti, affrontò l'impervia salita che l’avrebbe
condotto in paese.
Giunse mentre il sacerdote, alle ultime luci del giorno, stava chiudendo
il portone della chiesa e con un cenno della mano in lontananza gli fece
capire di aspettarlo o almeno così sperava. Per nulla impressionato
dall’altezza del giovane partigiano l’esile prete iniziò a studiarlo
concentrando su quel giovanottone il suo sguardo furbo celato, solo
apparentemente, dalle minuscole lenti opache.
Fu allora che Virgilio con il fiato in gola, più per l’emozione che per la
faticosa ascesa, iniziò a raccontare le sue vicende : “ … Vede Don Luigi
mi trovo in una situazione difficile, molto difficile e non voglio
nasconderle di essere inseguito ….”. Ma immediatamente e anche in maniera
brusca venne interrotto “ Aspetta un momento figlio mio !! Riprendi fiato
e poi con calma mi racconti tutto …”. Serrato il portone con un enorme
chiavistello Don Luigi lo invitò a seguirlo in Sacrestia e il giovane,
raccolta la piccola valigia, dove in quel momento era racchiusa tutta la
sua esistenza, gli ubbidì fiducioso.
I due sedettero uno di fronte all’altro e con meno impeto di prima
Virgilio riprese a raccontare: “ Don Luigi mi rivolgo a lei confidando
nella sua amicizia con Don Radaele di Torrice mio cugino e suo sincero
compagno di studio presso il Seminario Vescovile di Ferentino ….”.
Don Luigi sentendo il nome dell’amico fraterno non potè non interrompere
di nuovo il giovane ” Don Radaele e come no!! ….. e adesso mi ricordo
anche di te eri nell’Azione Cattolica di Ferentino spesso in compagnia di
Don Alvaro Pietrobono e Don Alberto Misserville …. ma dimmi un po’
Virgilio cosa può fare un povero prete per te in questi tempi così cupi?
Mi parlavi di un inseguimento … ma sei forse in pericolo? “ Virgilio
abbassando lo sguardo mestamente annuì.
“ Vede Don Luigi fino a poco tempo fa mi trovavo a Roma legato alla banda
partigiana Fulvi che a causa dei numerosi arresti, tra cui quello del mio
personale amico Don Giuseppe Morosini, fu costretta a sciogliersi.
Braccato mi rifugiai nel mio paese natale, Ferentino, ma solo per poco
perché la Gestapo, ritrovate le mie tracce, mi obbligò ancora alla fuga.
La mia ultima speranza è trovare rifugio qui da lei dove i tedeschi mi
dissero non vengono quasi mai per la mancanza di strade ”.
Mentre Virgilio parlava il sacerdote sorridendo scuoteva la testa e alla
fine dandogli una pacca sulle ginocchia, gli disse :” Virgì, figlio mio,
non ti abbattere!! Vediamo che possiamo fare per te!!”.
Presto detto Don Luigi accompagnò lo spaventato giovane dal padre Giuseppe
che era in compagnia del figlio Tullio, valente sarto, di sua moglie Adele
Protomanni e dei genitori di questa, Amelia ed Ernesto.
Amorevolmente e senza esitazioni i buoni pisterzani si offrirono di
ospitare il fuggiasco che solo poche ore dopo crollò in un sonno profondo.
Nei giorni a seguire Don Luigi, dopo gli impegni religiosi, sempre più
spesso, si soffermava a dialogare con Virgilio ricordando insieme con
nostalgia i momenti sereni nel seminario a Ferentino, lentamente il
coraggioso prete si stava affezionando al giovane partigiano. Una sera più
umida delle altre Reali fu invitato all’ osteria di Giuseppe Falconi detto
“Pettuscassato” a causa del continuo tossire dovuto a una brutta bronchite
spastica. Il simpatico oste con gentilezza lo fece accomodare su una sedia
e gli offrì un bicchiere del suo buon vino.
In un tavolo vicino alcune persone invece lo stavano scrutando, più per
sospetto che per curiosità.
Poi all'improvviso ad un segnale convenuto dopo aver pagato il conto in
silenzio andarono via.
Il giorno dopo Don Luigi capendo dallo strano mutismo di Virgilio che era
stato colpito da quegli strani avventori e conoscendone il passato
trascorso nella resistenza romana, come un padre ad un figlio gli rivelò
che i misteriosi uomini della sera prima non erano altro che partigiani
come lui, capeggiati oltretutto da un ufficiale inglese, se voleva la sera
seguente avrebbe potuto conoscerli, “ ma Virgi’ mi raccomando fa’
attenzione!!”. La sera convenuta il primo a presentarsi a Virgilio fu
Mario Vani, un giornalista del “Mattino” di Napoli che si era unito al
gruppo per raccontarne le gesta. Il cronista con la naturale simpatia
partenopea informò Reali che oltre a David, segretamente paracadutato sui
monti di Pisterzo non molto tempo prima, nel gruppo c’erano oltre a due
fuoriusciti italiani anche tre prigionieri inglesi evasi da Frosinone, un
pilota americano, un russo e addirittura un disertore tedesco proveniente
da Castro dei Volsci, il Tenente Hans Weber .
Il loro incarico principale, continuò il Vani, consisteva nel riferire al
Comando Alleato il dislocamento delle truppe tedesche e il loro movimento
durante la ritirata.La loro attività di spionaggio si svolgeva soprattutto
di notte quando maggiore era la presenza di colonne nemiche che in
silenzio percorrevano la provinciale lungo l’ Amaseno. Grazie alle sue
credenziali Virgilio fu accettato dagli altri e attraverso le tenebre
condotto al loro quartier generale in montagna, “Il Calvario”, dove
indisturbati si poteva osservare quasi tutta la vallata.
Dai primi di febbraio fino alla fine di maggio Virgilio seguì il gruppo in
tutte le sue azioni alcune delle quali determinanti per la successiva
liberazione di quel territorio. Le informazioni fornite da David al
proprio Comando sulle truppe che da Amaseno procedevano verso Cassino
permisero l'azione del 6 aprile quando alcuni convogli tedeschi carichi di
munizioni vennero attaccati verso le 16.00 dai caccia alleati. Nonostante
la reazione delle posizioni Flak lungo il fiume Amaseno, rapida ed
efficace, l’incursione aerea riuscì perfettamente facendo disperdere i
resti della colonna lungo i lati della strada.
Dopo questo successo la radio di David tornò di nuovo a trasmettere il
giorno dopo quando segnalò il passaggio notturno di camion e mezzi
corazzati identificati dai simboli sui parafanghi come appartenenti alla
Ventiseiesima Divisione Corazzata che da Priverno si dirigevano verso
Amaseno.
La stessa notte fu riferito anche l’abbattimento al bivio dei Tre
Moschetti dei tralicci della linea elettrica. I fili di rame raccolti e
accatastati lungo la strada saranno trasportati dai tedeschi il giorno
dopo a Frosinone.
Nei pochi momenti liberi tra una missione e l’altra Virgilio scendeva
volentieri in paese per andare a trovare Don Luigi ma soprattutto i suoi
genitori che avevano dovuto seguirlo pochi giorni dopo il suo arrivo a
Pisterzo perché ricercati anche loro dalla polizia tedesca. Nell’ultimo
tratto dell’improvvisa fuga i due anziani, prima di essere accolti
fraternamente dai Falconi, erano stati aiutati da Peppino Pantoli di Villa
Santo Stefano che con il suo calesse li aveva accompagnati dal bivio di
Patrica fino ai Tre Moschetti.
Un giorno di marzo Virgilio fu costretto a scendere a valle,verso le Mole,
per verificare l’ esattezza di alcune informazioni richieste dal Comando
Alleato. Cautamente il patriota riuscì a portarsi fino al greto del fiume
e quasi sotto il ponte inosservato iniziò a spiare i movimenti delle
truppe tedesche accampate sotto una tenda bianca attraversata da una
enorme croce rossa.
Gli bastò una rapida occhiata per capire che l'ospedale da campo era in
realtà un deposito di munizioni e che gli infermieri non altro che
agguerriti panzergrenadier. Ma mentre li contava mentalmente, immerso
nell’acqua fino al ginocchio, in compagnia delle sole rane venne sorpreso,
senza accorgersene, da un baffuto vecchietto. Alla vista improvvisa di
quello che si rileverà un innocuo pescatore Virgilio fu colto dal panico
anche se l’arzillo santostefanese, sorridendo, cercava di rassicurarlo
spiegandogli, sottovoce, che si recava in quel tratto di fiume ogni
giorno. I pesci più grandi, prigionieri delle sue nasse, avrebbero
arricchito la mensa degli ufficiali tedeschi mentre tutti gli altri
sarebbero stati venduti di fronte l’osteria della moglie Maria. Ma quel
giorno eccezionalmente tre delle trote più belle sarebbero state per il
giovane partigiano.
Continuando a parlare sommessamente il simpatico vecchietto confermò che
alle Mole c’erano solo soldati e postazioni antiaeree mentre il vero
ospedale si trovava in paese. Giunto l’ imbrunire Virgilio ringraziò
Cencio “Ranfacane”, questo era il nome dell' ometto, e così come era
venuto sparendo tra i cespugli affrontò di nuovo l’ arrampicata
soddisfatto in cuor suo per le importanti informazioni ottenute e se
vogliamo anche dell’inattesa succulenta cena.
Insieme al gruppo di Reali, nell’area di Villa Santo Stefano, aveva
iniziato ad operare già dai primi di settembre, oltre al Capitano Antonio
Gagliardi denominato T13 che aveva predisposto per gli alleati ben undici
gruppi radio, anche e soprattutto dal 4 ottobre 1943 l’Avvocato ceccanese
Giuseppe Ambrosi che costituirà, guidandolo, un agguerrito gruppo
partigiano.
La banda fu composta inizialmente da Mario Reali, Nicola Moscardelli,
Romolo Battista, Renato Pennino e Giorgio Gervasoni, il loro rifugio sarà
invece la sommità del monte Siserno da dove verranno pianificate tutte le
azioni di sabotaggio contro i tedeschi presenti nei paesi sottostanti. Il
18 ottobre la banda guidata dall’ex Tenente di Complemento del Nono Centro
Automobilistico di Bari assalterà, devastandola, la Casa del Fascio di
Giuliano di Roma dopo aver privato delle loro armi i Reali Carabinieri.
Con le stesse intenzioni si porterà a Villa Santo Stefano dove invece
diplomaticamente il podestà Luigi Bonomo in cambio di cinquanta chili di
farina e cinque litri d’olio eviterà il peggio.
Le azioni della banda iniziarono in realtà il 12 ottobre 1943 quando in
piazza Berardi a Ceccano fu ucciso un tedesco e feriti altri quattro. Il
15, invece, in contrada Spino sempre a Ceccano, i patrioti cattureranno
una spia, un soldato austriaco nativo di Klangenfurt in Carinzia che li
seguirà come interprete in tutta la loro campagna.
Dal suo piastrino di riconoscimento oltre al suo numero di matricola,il
1005, apprendiamo che apparteneva alla Prima Compagnia Pesante del 139°
Reggimento Alpini. Il giorno 19 ottobre a Patrica i componenti della banda
faranno incetta di moschetti e numerosi caricatori mentre il giorno
seguente alla Tomacella presso i capannoni BPD si impadroniranno di
numerosi esplosivi oltre a diversi fucili recuperati nel fiume Sacco dopo
che i tedeschi se ne erano disfatti. L’attività del gruppo proseguirà il
20 ottobre quando viene fatto saltare un ponte nei pressi della Badia, due
giorni dopo alla Palombara invece una staffetta portaordini della Göring
rimarrà vittima di un imboscata isolata condotta dal Maresciallo Pennino,
il giorno dopo a Patrica con il mitra P40 trafugato saranno uccisi due
suoi camerati. Il 31 ottobre verrà fatto saltare con il tritolo un binario
a quattro chilometri dalla stazione di Ceccano con conseguente
deragliamento di un treno carico di armamenti. Ma appena dopo un mese di
lotta armata diffusi malumori nasceranno all’interno del gruppo che
preferirà scindersi in tre bande distinte, quella originaria di Ambrosi,
quella del Maresciallo pilota frusinate Renato Pennino e l’ultima guidata
dal Caporalmaggiore ceccanese Romolo Battista.
Nel primo giorno del mese di novembre Ambrosi e i suoi uomini a Vallevona
su monte Siserno cattureranno due spie, il Tenente Antonio Serra di
Venezia e il suo attendente Mario Piva di Pordenone. I due soldati con una
falsa licenza di convalescenza in tasca rilasciata dall’Ospedale romano
del Celio, si erano finti disertori repubblichini mentre in realtà, già da
tempo in montagna, fornivano importanti informazioni,grazie ad una
ricetrasmittente, al Comando della Göring di Ceccano. Lo stesso giorno
forse accorsa per proteggere i due prigionieri verrà messa in fuga anche
una pattuglia tedesca.
Il 17 novembre 1943 a seguito della cattura delle spie sarà realizzata una
pesante azione di rappresaglia contro i partigiani.
Dopo aver rastrellato monte Siserno palmo a palmo gli uomini della Hermann
Göring incendieranno numerose capanne oltre a catturare ventinove civili
rilasciati solo grazie al deciso intervento di Don Giuseppe Sperduti.
La ricerca dei partigiani, guidata da un soldato tedesco che era stato con
i ribelli due giorni fingendosi disertore, durò una settimana.
Ma dei patrioti nessuna traccia, l’Ambrosi infatti vista la forte
pressione tedesca nei confronti del suo gruppo aveva preferito portarsi
più a sud, sulle montagne tra Trivio e Maranola, dove continuerà la lotta
armata fino al febbraio del 1944 quando con l’avvicinarsi del fronte
nell’area di Frosinone raggiungerà prima Ceprano e poi il 24 maggio
superando la linea di fuoco, Amaseno.
Da quel momento in poi il gruppo Ambrosi combatterà fianco a fianco con il
Corpo di Spedizione Francese favorendone la rapida avanzata.
Appoggiati dai marocchini dal 27 maggio fino al 4 giugno i partigiani
saranno impegnati in sanguinosi combattimenti presso la contrada
Castellone a Ceccano dove il giorno 28 tre suoi componenti, Domenico
Santodonato, Raffaele Gazzaneo e Domenico Tiberia, cadranno in battaglia.
Durante il periodo passato sugli Aurunci il gruppo trarrà in salvo il
Capitano pilota Enrich Selmisk di New York e una giovane fotografa
canadese.
I due aviatori erano stati trovati l’undici novembre 1943 dopo che si
erano paracadutati dal loro aereo, probabilmente un ricognitore biposto.
Il 23 dello stesso mese sul monte Petrella si unirà ai partigiani anche il
Tenente del Controspionaggio inglese Derek Monsey matricola 89109.
I tre seguiranno il gruppo fino al loro ritorno sul Monte Siserno, dove
probabilmente grazie all'Ambrosi si ricongiungeranno indenni ai loro
compatrioti. Il Tenente Monsey alla fine del conflitto diverrà un
romanziere di successo soprattutto dopo aver sposato una nota attrice
inglese.
Tra informatori e collaboratori la Banda Ambrosi raggiunse, al suo apice,
oltre i cinquanta componenti avvalendosi anche di facoltosi finanziatori
come il Principe Colonna, la Contessa Gizzi e il Barone Roselli.
Nei suoi ranghi oltre a insospettabili affiliati come Padre Germano dei
Passionisti della Badia di Ceccano anche tre valorosi santostefanesi.
Tra loro ritroviamo Giuseppe Lauretti, il suo impegno sarà tale che
l’occupante lo ripagherà con la casa saccheggiata e la moglie Assunta
Trapani addirittura in manette. In un rapporto al Governo Militare Alleato
il suo comandante, l'Avvocato Ambrosi, lo definirà ”…. Valido patriota,
meritevole senza dubbio di ogni possibile lode….”. Tra gli arruolati anche
Guido Trapani e Deodato Lauretti, figlio di Giuseppe che nato il 5 luglio
1928, a solo sedici anni combatterà senza sosta l'occupante nazista.
Ad osteggiare con la delazione l'attività dei tre patrioti contribuì non
poco una spia italiana doppiogiochista, Giuseppe Pomante di Bolzano.
L’altoatesino giunto in novembre a Villa Santo Stefano per occupare
l’incarico di interprete rifiutato da Alfonso Felici oltre alle sue
mansioni sicuramente poco nobili era dedito anche a loschi traffici
personali.
Fu lui infatti ad infiltrare il falso disertore tedesco tra le file della
Banda Ambrosi come sue furono le continue delazioni fornite al Comando
tedesco contro numerosi santostefanesi.
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