17 ANGELI CADUTI
Il Curtiss P40 numero 93 di Dealy ormai al limite delle sue possibilità
non avrebbe mai sprofondato le sue ruote sulla morbida sabbia della pista
di emergenza di Anzio, figuriamoci raggiungere Pignataro ormai
lontanissimo.
Il suo destino si sarebbe invece consumato in un battito di ali sorvolando
un piccolo paese arroccato su una montagna che una stretta stradina univa
ad un ampia valle, Pisterzo ……
Un terreno adatto all' atterraggio, ecco cosa desiderava più di ogni altra
cosa James in quel momento ma l'altitudine e il fumo sulla faccia gli
mostrarono solo pietraie e uliveti e forse, isolate poco più in là, alcune
casupole.
Un istante dopo però l’aeroplano scelse per lui e così dopo aver sfilato
il cavo che lo collegava alla radio libero delle cinghie di sicurezza a
malincuore si lanciò nel vuoto. L' abbandono di quello che ormai era un
relitto non fu tra i più felici, Dealy infatti urtò l’antenna dietro la
cabina e come se non bastasse il suo ginocchio sinistro andò a colpire la
sezione di coda.
Così conciato intorno ai 2000 piedi tirò la leva rossa e il paracadute
finalmente si aprì. Il respiro del vento lo sospinse verso i due casolari
in pietra che aveva intravisto poco prima. Ondeggiando nella corrente in
lontananza gli apparve il paese di Maenza poi, quando la calotta ruotò, la
fiera Roccasecca dei Volsci.
Un boato ai suoi piedi richiamò la sua attenzione, era il numero 93 che si
era schiantato al suolo incendiandosi tra la strada e gli uliveti.
Dalla sua posizione, pericolosamente privilegiata, notò anche con
preoccupazione che a circa otto chilometri a nord est un auto e due
motociclette stavano muovendosi verso di lui. Atterrò su una sola gamba,
la destra.
Il suo naso cozzò ripetutamente contro i sassi fino a quando la vela,
intrappolata da un enorme rovo, finalmente si arrese. La famiglia che
abitava uno dei due casolari fu la prima ad assisterlo dopo il disgraziato
impatto che gli aveva fatto perdere per pochi minuti anche conoscenza. Un
ragazzetto lo ridestò :“ Pilota americano! Pilota americano!!?” Dealy
confuso rispose “ Yes, oui, si “, armeggiando freneticamente con le
cinghie il giovane lo liberò dal paracadute, gli tolse la cuffia e
sorreggendolo lo condusse veloce verso un covone. Nascosti nel fieno li
raggiunse un vecchio che senza perdere tempo appoggiò la propria mantella
sulle spalle del pilota.
Dietro la casupola si udirono stridere i pneumatici di una autovettura
accompagnati dalle grida degli uomini e delle donne che accorsi sul campo
erano spariti dietro gli ulivi insieme al paracadute.
Nascosti rimasero solo una bambina di cinque anni e un acciaccato,
frustrato ex pilota da combattimento. Difficile a credere ma la bambina
prese per mano James e con estrema tranquillità lo condusse in una delle
due case.
Saliti per una fragile scala giunsero dentro una stanza dove la piccola a
gesti gli fece capire di infilarsi sotto il letto. Stretto tra un pitale e
uno scaldino in rame il pilota rimase immobile mentre i piedini scalzi
della bambina sparivano dietro la porta. Fuori echeggiarono alcuni colpi
di fucile, poi il silenzio.
Dopo alcuni minuti giunse di nuovo il ragazzo che a fatica condusse di
nuovo Dealy verso un giallo campo di grano. Il ginocchio malmesso
dell’americano li costrinse a camminare abbracciati ancora per trecento
metri. Si fermarono solo quando in lontananza, sinistri, ripresero gli
spari, Dealy allora scomparve di nuovo dentro un covone.
Dopo un’ora che parve un giorno tornarono il ragazzo e il vecchio di
prima, James provò a parlargli usando il latino imparato alla High School
di Florence in Alabama ma il linguaggio internazionale dei gesti ebbe
maggiore successo. Il pilota mostrò la piastrina di riconoscimento, la sua
Escape Map e soprattutto l’Escape Money, la notevole somma di 5000 lire
che con gratitudine diede in parte ai due italiani sperando così di
garantirsi un po' di futuro che in quel momento sembrava solo nero.
I suoi salvatori sorpresi dal compenso inaspettato gli fecero capire di
rimanere ancora nel grano e di non muoversi per nessun motivo. Il pilota
iniziò ad aspettare pazientemente, anche dopo un'ora quando chiunque si
sarebbe convinto di aver perso soldi e libertà.
Nell' attesa la sua mente tornò agli ultimi due mesi passati quasi sempre
in combattimento.
In quarantacinque giorni aveva completato quasi quarantatre missioni e
ridendo al cielo pensò ai fratelli Jack e Bob che in ottantasei missioni
nel 314° Gruppo non avevano mai visto un solo aereo nemico.
Intanto il dolore alla gamba era divenuto insopportabile quanto quello al
naso trafitto dalle spine raccolte durante il suo trascinamento.
Più tardi avrebbe saputo che anche numerosi frammenti da venti millimetri
erano ospiti delle sue carni. Ma la preoccupazione maggiore era per quella
gamba che fuori combattimento non lo avrebbe portato da nessuna parte.
All’ imbrunire, quando tutte le speranze erano ormai andate, tornò il suo
giovane amico accompagnato questa volta dal padre. Luigi de Angelis, così
si chiamava il ragazzo, gli presentò Rocco che in uno stentato ma
comprensibile inglese, appreso anni addietro in Pennsylvania, tentò di
rincuorarlo.
Felice di poter comunicare con qualcuno Dealy si ritrovò nella casa dei
suoi salvatori dove i segni della perquisizione tedesca erano ancora
evidenti.
Liberato il pavimento dai frantumi il pilota venne adagiato delicatamente
su una coperta e Rocco, con una pezza intrisa di vino rosso, iniziò a
disinfettare le sue ferite. Con freddezza poi utilizzando una lama rovente
gli estrasse dalla schiena una dozzina di schegge. Dopo averlo fasciato
un’anziana donna si preoccupò della sua gamba deponendo sul ginocchio un
impiastro di semi di grano bollito.
Per precauzione dovette togliersi la tuta di volo e gli stivali sostituiti
da un paio di pantaloni di una consunta divisa militare italiana, una
maglia bucata e delle ciocie che James maledì da quel momento in poi per
le dolorosissime vesciche che gli avrebbero procurato. Come se non
bastasse fu costretto ad indossare anche un cappottaccio peloso
costringendo allo sfratto un esercito di pulci.
Umiliato da quelle vesti variopinte apprezzò solo il fiasco di vino che
Rocco sorridendo gli porse.
Nel suo inglese elementare il contadino lo informò che i tedeschi erano
purtroppo ancora sulle sue tracce e temendo per la sua incolumità sarebbe
stato meglio recarsi al più presto presso alcuni parenti fidati che non
avrebbero esitato ad ospitarlo. Nel nuovo rifugio James esausto dagli
eventi della giornata rinunciò alla cena e scusatosi con i Dominici
sprofondò nel sonno avvolto dalla paglia che la sera prima aveva
accarezzato l’asino. Rimase presso la buona famiglia cinque giorni e sei
notti anche se, per il delirio sopraggiunto alla febbre, gli sembrarono
mesi.
Nella casupola in pietra non c’era molto da mangiare ma per farlo
ristabilire i Dominici riuscirono a scovargli quasi ogni mattina almeno un
uovo fresco.
Per cautela il pilota convalescente non fu fatto avvicinare da nessun
altro all'infuori dei soli membri della famiglia che, a turno durante il
lavoro nei campi, si alternavano nell’accudirlo. I giorni seguenti con il
migliorare del suo stato la dieta mutò e James prese a sfamarsi sempre
grazie alle rinunce dei Dominici con un po’ di pane, olive e formaggio di
bufala.
Il quarto giorno vennero a trovarlo Luigi e Rocco de Angelis, la visita
gradita fu accompagnata da un fiasco di vino e alcune sigarette rozzamente
arrotolate a mano. Ma non ci fu sorpresa più grande quando da un
fazzoletto nascosto sotto il cappello Rocco estrasse quasi tutte le sue
banconote.
Tra il puzzo di quelle strambe sigarette e qualche bicchiere di rosso
prima di congedarsi Rocco, visibilmente imbarazzato,volle scusarsi con
James per un fatto avvenuto alcuni giorni. Alcuni bambini frugando nel suo
paracadute rimasto nascosto dentro una cassa avevano rubato una bustina di
zucchero trovata nel Dinghy piegato sotto l’imbracatura. Quasi sudando per
la vergogna il brav’uomo spiegò anche che dopo averlo assaggiato le bocche
dei piccoli erano divenute paurosamente verdi. Solo a quel punto Dealy
comprese e non potendo frenarsi iniziò a ridere immaginando quei poveretti
che a loro insaputa avevano ingerito la polvere fluorescente che in caso
di ammaraggio si versava in mare per essere avvistati!!. Il pomeriggio del
sesto giorno l’ospite clandestino ricevette un’ altra visita, si trattava
di un sospettoso giovane italiano appartenente alla resistenza
accompagnato sorprendentemente da un suo commilitone, il Sottotenente
Douglas Plowden di Sumter, South Carolina, abbattuto mesi prima con il suo
A36 alla cinquantunesima missione. Doug come tutti lo chiamavano indossava
abiti civili ma più che un americano in borghese l’ altezza e i caratteri
marcati lo facevano sembrare una spia tedesca. I due aviatori parlarono
della situazione del fronte e dopo le indicazioni del connazionale James
comprese finalmente la sua esatta posizione. La conversazione si
interruppe ed anche bruscamente quando Plowden venne a sapere che parte
dei soldi del commilitone erano stati dati agli “Ities”, gli italiani.
Doug spiegò disperandosi che la latitanza sarebbe stata ancora lunga e
quelle banconote essenziali per barattare la loro libertà.
A quel punto per stemperare gli animi il giovane partigiano si intromise e
offrendo la mano a James si presentò “ Salve sono Virgilio Reali, faccio
parte di un gruppo di partigiani che opera sulle montagne, pensiamo che,
per la sua sicurezza signor Dealy, debba venire con noi “.
Ma il profumo di pomodoro fresco misto al basilico che inondò l’aria fece
cadere qualsiasi conversazione. Disposta su una larga tavola li attendeva
infatti, straordinaria in quei giorni, una fumante pasta fatta in casa.
Affratellati da quel ben di Dio seduti per terra c’erano i Dominici, i De
Angelis, Virgilio e i due piloti che come “ospiti internazionali “ ebbero
riservate le posate buone, due cucchiai in legno. A fine pasto, aspirando
l’ ultima delle sigarette del compagno, Doug confidò ai presenti che da
fonti partigiane aveva appreso di due aerei tedeschi e tre americani
caduti in combattimento la settimana prima.
Annuendo James confermò l’accaduto ma solo per quello che riguardava gli
americani, dei “Jerries”, i tedeschi, non ne sapeva nulla.
Visto l’interesse per l’argomento anche se i presenti avrebbero capito
poco Dealy tornò al suo tredici maggio ”….. Era la mia quarantatresima
missione, l’obiettivo un treno che da Roma avrebbe raggiunto Frosinone con
truppe fresche per Cassino. Decollai dall’aeroporto di Pignataro insieme a
quattro piloti del 315° e altrettanti del 316°, comandava la squadriglia
il maggiore Sanders del 315°, l’altro ufficiale Leader era invece il
Tenente Schiewe del 316°.
Oltre a me in posizione Leader c’erano anche Kusch, King caposquadriglia
del 316° e in posizione “King’s wing” Matthew O’ Brien alla seconda o
terza uscita piu un'altra recluta che non avevo mai visto. Il mio P40
numero 79 battezzato “The lovely Lois” in onore di mia moglie era in
manutenzione per cui fui costretto a prendere il numero 93 del Tenente
Sven “Jerky” Jernstrom .
Come sai Doug ogni pilota lascia per abitudine o scaramanzia il proprio
paracadute nell’abitacolo per cui ebbi il piacere di indossare quello di
“Jerky” che era più alto di me almeno due volte. A metà missione, dopo
aver sorvolato inutilmente una vasta area in cerca del treno, il Maggiore
Sanders ordinò di bombardare come alternativa la stazione di Ferentino per
poi dirigersi sull'immancabile Cassino.
Ma a circa novanta chilometri nord est da Anzio fummo travolti da dieci ME
109 con ben visibile sulle fusoliere un asso di picche seguiti a distanza
da circa venti FW 190 con un cospicuo carico di bombe.
Dopo la sorpresa iniziale Sanders ordinò il contrattacco centrando un ME
109 alla sua sinistra mentre Kusch che volava sull’altro lato veniva
colpito prima che la manovra fosse completata. Al secondo passaggio fatto
tutto a manetta vidi O’Brien di fronte a me in difficoltà inseguito da due
caccia tedeschi, al terzo passaggio invece impotente constatai solo la sua
fine. Cercavo di mantenere i contatti con il resto della squadriglia
mentre King a ore tre faceva strage di tedeschi. Mi allontanai solo per
una manovra dissuasiva contro un ME 109 che se ben eseguita si
preannunciava come la mia seconda vittoria.
Ad ore sei nel completarla fui quasi travolto da due ME 109 che già in
fiamme contavano di nascondersi tra i banchi di nuvole. Tornai a
concentrarmi sul mio ME 109 che avevo finalmente a prua, senza pietà
iniziai a sparare senza sapere che ben presto avremmo condiviso lo stesso
destino.
Infatti all’improvviso fui investito da una pioggia di proiettili
provenienti dalla mia destra.
Era uno degli aerei che avevo visto sfilare poco prima che al suo secondo
passaggio nonostante le fiamme aveva avuto il tempo di crivellare il
vecchio 93. Si ha coscienza di essere colpiti, e Douglas lo può
confermare, quando il mondo inizia a girare e il fumo del motore invade la
cabina soffocandoti insieme al puzzo di plastica bruciata. In queste
condizioni, avvisato il caposquadriglia, puntai a sud est, volando basso
tra le nuvole, cercando di evitare le “Golf balls” da venti millimetri
della Flak nemica. La situazione peggiorò quando il motore fece capire da
alcuni sinistri brontolii che ne avrebbe avuto ancora per poco. Rassegnato
uscii dalle nubi, mi guardai intorno e senza pensarci due volte mi lanciai
con un paracadute molto più grande del mio……. “ .
La fine del racconto anche se poco lieta venne seguita dall’ applauso
spontaneo dei bambini che avevano imitato, durante tutta la narrazione,le
manovre del P40 simulate da Dealy con il movimento delle mani.
Il giorno seguente James sarebbe stato accompagnato dal suo connazionale
in montagna dove era più prudente stare e dove gli assicurò Virgilio
avrebbe ricevuto cure mediche adeguate. Rocco da canto suo, e non era
poco, gli promise il suo asino. Al mattino del settimo giorno come
promesso Doug si presentò puntuale per condurlo verso la libertà.
Prima di andare Dealy volle però ringraziare Luigi, il suo piccolo amico,
a cui affidò una lettera per Lois, la moglie, pregandolo di darla a
qualche americano quando fosse passato da quelle parti.
Tra la brina che lentamente lasciava spazio ai primi raggi di sole iniziò
lenta l’ascesa dei due americani che proseguì ininterrotta per circa sei
ore. Al termine della giornata i due fuggitivi vennero ospitati
dall’ennesima famiglia ciociara, esausti avrebbero trascorso la notte
accovacciati nell’erba alta del loro uliveto. All’alba dell’ottavo giorno
salendo ancora di quota raggiunsero finalmente il gruppo di partigiani.
Il primo a presentarsi fu il loro capo, un inglese più o meno della loro
età, seguirono tre sudafricani, evasi dopo essere stati fatti prigionieri
in Africa settentrionale, infine due disertori, un tedesco, fuggito da
Roccasecca dei Volsci, che per il gruppo si era improvvisato barbiere e un
fuggitivo russo.
A corto di armi i patrioti chiesero ai due piloti se potessero aiutarli in
qualche modo ma gli americani quasi sorridendo mostrarono l’unico metallo
in loro possesso, un piccolo temperino e le piastrine di riconoscimento
cucite oltretutto sotto l’orlo delle mutande. Il pezzo di Dealy, la Colt
45, era andata persa nel brusco atterraggio e forse era stato meglio così,
se fosse caduto in mano nemica con quell’arma sarebbe stato immediatamente
fucilato.
Il giorno seguente giunse al bivacco, approntato vicino ad alcune grotte,
un dottore amico dei partigiani pronto a prestare soccorso a Dealy.
Dopo avergli sfasciato le bendature notò con disappunto che il ginocchio
era ancora gonfio e il suo colore viola non augurava nulla di buono.
Chiamato Doug in disparte il medico lo informò a malincuore che purtroppo
era necessaria un amputazione, ma, capite le intenzioni dell’italiano,
Dealy si rifasciò la gamba e contrariato prego il commilitone di congedare
il dottore.
Dopo ancora un giorno di cammino in groppa al suo fidato asino James
raggiunse il rifugio dei partigiani chiamato da tutti “il Calvario”, ad
attenderlo Virgilio e il resto del gruppo. Per festeggiare il loro arrivo
fu cucinata una capra accompagnata da una damigiana di buon vino rosso,
alla sera, quasi sbronzi, i due piloti furono accompagnati da una brava
famiglia e dopo nove giorni James ebbe inaspettato il suo primo letto.
Quella notte però fece molto freddo e la moglie del pastore che li aveva
accolti, svegliata dai tremori di Dealy, sostituì generosamente la sua
maglia di cotone con un maglione di lana e le fasce che gli avvolgevano i
piedi con un paio di calzettoni scuri. Il pomeriggio del decimo giorno,
nel piccolo borgo sul dorso dei monti, giunse la notizia che tutti
aspettavano: gli americani stavano arrivando ! . Il primo ad arrampicarsi
fin lassù fu un enorme sergente seguito da un giovane caporale infine
addirittura un Generale, Ernest N. Harmon della Quinta Armata. Vedendo
Dealy zoppicare gli disse di non preoccuparsi, un dottore, nonostante la
quota, presto li avrebbe raggiunti. Molti di quei soldati erano del
Tennesse, dell’Oklaoma e soprattutto Texani, la sera Dealy fu ricoverato.
Nella tenda medica venne a trovarlo il sergente che per primo aveva
incontrato e un capitano, Frank Rogers.
L’ufficiale di Knoxville nel Tennesee in forza all‘Intelligence pregò
Dealy di riferirgli ogni informazione in suo possesso sulla presenza
tedesca in quella zona. I due piloti ricevettero dai connazionali sapone,
caffè e sigarette che divisero volentieri con i loro ultimi ospitali amici
italiani.
Il giorno seguente, a cavallo di due muli scortati da un caporale armato
di mitra, i due esausti aviatori furono accompagnati alla loro ultima
destinazione, il comando della Quinta Armata.
Nel suo atterraggio forzato oltre il fiume Amaseno Matthew “OB” O’Brien a
differenza di Dealy era riuscito invece a conservare la sua Colt, il
pugnale USM3 Imperial e anche alcuni effetti personali che gli rimasero
anche quando per prudenza dovette disfarsi della sua tuta da volo e
indossare come Dealy bizzari abiti civili. Rimase irremovibile solo sulle
calzature che volle tenere a tutti i costi per le condizioni critiche
della sua caviglia.
I primi giorni della sua latitanza rimase nascosto a casa di Za Cesira,
accudito e protetto da quasi solo donne. Za Maria, Augusta Iorio e anche
la coraggiosa Luciola, la moglie di Aroldo, che grazie all’intervento di
Don Amasio presso Lorek aveva potuto quasi subito riabbracciare il suo
piccolo Giuseppe.
Le commari si mostrarono più incuriosite che spaventate dall’inatteso
angelo che gli era piovuto in testa dal cielo. I giorni seguenti invece
Matthew entrò a far parte di una bandaccia di mammocci che oltre a lui
rimanevano gli indiscussi padroni della casa che gli adulti lasciavano
all’alba per i lavori dei campi.
La notte invece per precauzione era costretto a dormire in una
“cantroccia” sulla cima del Monticello che in seguito sarebbe divenuta il
rifugio di un altro fuggitivo, Benito Lucidi. “OB” O’Brien conosceva
qualche parola di Italiano ed altre le stava imparando dai suoi piccoli
amici. A loro mostrò la foto della fidanzata gelosamente conservata nel
portafoglio, il suo nome era Alice.
Mentre i bambini la osservavano incuriositi Matthew la accarezzava con il
pollice frenando l’ emozione che però scoppiava in pianto quando solo al
Monticello ammirava il cielo stellato. La sera la famiglia si riuniva
dividendo con il giovane pilota il poco che aveva. Dopo il frugale pasto i
suoi piccoli salvatori attendevano frementi un ultimo gioco. Il pilota si
era impegnato ad insegnargli il funzionamento dell’orologio che gli era
rimasto al polso. Una sera, al fresco del tramonto, una di quelle sante
donne cucendogli i piastrini di riconoscimento dentro l’orlo dei sgualciti
pantaloni scoprì da una medaglietta della Madonna che il giovane era
cattolico. Da quel momento in poi le generose commari durante i loro
interminabili rosari lo affideranno alla Madre di Cristo. I tedeschi nel
frattempo non avevano assolutamente allentato la vigilanza e spesso, a
sorpresa, tornavano ai Porcini con la speranza di sorprendere il pilota.
Arnoldo Tranelli venne ancora malmenato e i suoi vicini minacciati di
fucilazione. Il premio di 300 lire per chi avesse segnalato al più vicino
comando tedesco la posizione esatta di aerei caduti o piloti alleati era
allettante ma la gente di Villa Santo Stefano, fedele a suoi valori non si
prestò mai alla delazione, tantomeno al tradimento. Ma il rischio per la
contrada rimaneva alto. Il primo proclama tedesco dopo l’otto settembre
era stato categorico : “…. Chi omette di comunicare la presenza di
prigionieri angloamericani verrà punito con pene severissime e chi gli
offrirà nascondiglio, viveri,indumenti borghesi o aiuto sarà condannato
dai tribunali di guerra con le medesime pene …” .
Nel peggiore dei casi la condanna sarebbe stata eseguita direttamente sul
posto. come il 12 aprile 1944 quando a Coreno Ausonio una pattuglia
tedesca uccise due uomini rei di aver ospitato un pilota americano nel
proprio casolare.
Per contrastare le ispezioni tedesche furono formate dai giovani del luogo
delle staffette che a turno piantonavano le entrate al Quarallo e ai
Porcini.
Lo stratagemma permise di salvare il pilota, che in pratica tutti ormai
aveva adottato. Ma dopo l’ennesima irruzione in casa di Za Cesira fu
deciso di trasferire Matthew altrove e una notte di maggio, rischiarato
dalla luna, un gruppo di coraggiosi condusse il pilota al Caùto.
Il suo nuovo rifugio era oltre il Monticello nella casa di Antonio
Zomparelli, dove il ricercato sarebbe rimasto al sicuro fino all’arrivo
degli alleati. Come era accaduto ai Porcini anche qui Matthew venne
accolto da tutta la famiglia.
Za Filomena gli fece perfino degli impacchi caldi con i semi di lino che
portarono notevoli giovamenti, dopo la scarpinata della notte prima, alla
sua caviglia malandata. Nuovi curiosi ragazzini lo seguivano continuamente
divenendo presto suoi compagni di gioco, si staccava da loro solo al
passaggio degli aerei alleati quando studiando rotta e nazionalità tentava
di capire i progressi dell’avanzata americana. Altre volte invece rimaneva
in silenzio tutto il giorno quando riusciva a riconoscere dalla sigla di
coda qualche membro della sua squadriglia che a bassa quota sorvolava le
loro teste. La notte invece la foto di Alice continuava a rimanere il suo
unico sollievo.
Quando arrivarono i francesi o meglio i marocchini, O’Brien non fidandosi
completamente di loro attese pazientemente ancora qualche ora sperando
nell’arrivo di qualche suo connazionale.
Così conciato preferiva non correre inutili rischi. Nel suo italiano
elementare ringraziò la famiglia che lo aveva ospitato e soprattutto non
lo aveva tradito poi proseguendo in inglese, che qualcuno forse
tradusse,volle informarli che si sarebbe consegnato al Comando americano
di zona, nessuno lo vide più. L’ultimo saluto fu per i suoi piccoli amici,
Margherita Paggiossi lo seguì con lo sguardo mentre si allontanava per i
Porcini costeggiando la strada che conduceva ad Amaseno, la più
frequentata dai mezzi alleati. Appena vide la sagoma familiare di uno
Sherman Matthew iniziò ad agitare le braccia sperando di essere notato in
quel mare di polvere.
Il tank si fermò e dopo aver urlato grado e matricola “OB” mostrò al
capocarro il suo piastrino di riconoscimento personale. La sera del 28
maggio Matthew O’ Brien rientrò sano e salvo alla sua unità nella base di
Pignataro.
Il giornale di squadra così descriverà l’evento “…. Il Sottotenente O’Brien
dopo aver trascorso quindici giorni nel lato sbagliato della linea dei
bombardamenti si ricongiunge al suo Squadrone …… ”, Il 24 maggio era stato
anticipato da James Dealy. l’asso del 324° “ JT “ Johnson così appunterà
l’episodio nel suo diario “…. Il Tenente Dealy dopo essere stato protetto
nelle colline dagli italiani per undici giorni, torna al suo Squadrone
oggi. E’ difficilmente riconoscibile così conciato nel suo bizzarro
abbigliamento, ma quello che entusiasma tutti è il vederlo di ritorno ed
in buono stato …… ” di quei coloriti indumenti James Dealy conserverà le
amate odiate ciocie che riporterà negli Stati Uniti a ricordo della sua
latitanza nella valle dell’Amaseno.
Le missioni del 324° Gruppo Caccia sulla valle dell’ Amaseno:
12 aprile 1944, missione 804 , ore 8.10 a.m.
Osservato ospedale in posizione G 425- 240 , corrispondente a Villa Santo
Stefano, “…. croci ben marcate con cerchi bianchi sui tetti dei palazzi
…”, dodici i P40 impegnati, quattro per ognuno dei squadroni del 324°.
3 maggio 1944, missione 907 : target Amaseno Valley.
6 maggio 1944, missione 932 : bivacchi tedeschi individuati nella zona
corrispondente dalle coordinate tracciate alle Mole.
7 maggio 1944, missione 938 : postazione Flak individuata in posizione G
43- 27 , le Mole.
14 maggio 1944, missione 997: perlustrazione sulle “ Lepino Mountains” (
così riportato )
Nel maggio del 1944, il 324° gruppo viene assegnato a supporto delle
azioni di terra del Corpo di Spedizione Francese. Per regolare le attività
tra i due alleati venne predisposta una frase segreta, i P40 americani via
radio avrebbero comunicato:“ Lafayette, we are here” e i francesi per
conto loro avrebbero risposto : “ Right on the nose, mercy”.
14 maggio 1944, missione 997 : perlustrazione dei Monti Lepini.
16 maggio 1944, missione 1013 : target Castro dei Volsci.
17 maggio 1944, missione 1026 : target Terracina, Priverno, Frosinone.
durante questa azione sotto un bombardamento periranno sei persone a
Pisterzo.
17 maggio 1944, missione 1025 : target Vallecorsa.
17 maggio 1944, missione 1029 : colpiti dieci autocarri a sud est di
Amaseno, lo stesso giorno l’azione proseguirà con le missioni numero 1031
delle ore 15.00 a.m. dove dodici P40 del 315 in tre passaggi differenti
lanceranno dieci bombe colpendo tre autocarri tedeschi. Uno esploderà
mentre gli altri due rimarranno distrutti,seguiranno inoltre intensi
bombardamenti alle Mole. Don Alvaro annoterà sul suo diario l’episodio
riportando anche di un mitragliamento a più riprese “…..dalla via che da
Villa Santo Stefano porta ad Amaseno …” . Quel giorno ci fu anche il
passaggio di una colonna di carri armati tedeschi in ritirata, sicuramente
della 26a Panzer seguito dallo sgancio di bombe sul mulino di Prossedi
dove si trovava un officina tedesca per le riparazioni degli automezzi,
tra le macerie saranno estratti i corpi senza vita di quattro tedeschi.
Armando Toppetta ricorderà bene questo 17 maggio quando una colonna
tedesca venne violentemente attaccata vicino Ponte Calabrese da aerei
americani a bassissima quota. I feriti che si erano rifugiati tra l’erba
alta ai lati della strada verranno accolti dagli ospedali militari di
Amaseno e Villa Santo Stefano.
20 maggio 1944, missione 1056 : il Tenente Fisher mitraglia alcuni mezzi
sulla strada che unisce Giuliano di Roma con Villa Santo Stefano.
Successivamente colpito precipita con il suo P40 F alle spalle di Amaseno,
lo stesso giorno Don Alvaro riferira’ di un camion carico di benzina
mitragliato alla Madonna delle Grazie.
20 maggio 1944, missione 1057: sei autocarri sono bombardati a G 42 -22
alle ore 13.00 a.m. da otto P40 del 314 che attaccano la strada Ceccano,
Amaseno Pastena. Il Tenente Harrington mitraglia e bombarda sei autocarri
che dalle Mole si muovono in direzione di Villa Santo Stefano, uno riesce
a tornare indietro mentre due colpiti rimangono in fiamme sulla strada.
Poco dopo al secondo passaggio durante la missione 1058 del 316 dei
quattro camion tedeschi superstiti due vengono distrutti e due
danneggiati.
20 maggio 1944, missione 1059: alle 15.30 a.m. vengono colpiti due
autocarri mentre l’autoambulanza che li precedeva che si stava recando a
Villa Santo Stefano viene lasciata incolume. Successivamente alle 14.40
a.m. otto P40 del 315 attaccarono truppe tedesche nei pressi di Vallecorsa.
20 maggio 1944, missione 1060: alle ore 15.20 a.m. otto P40 del 314
attaccano un deposito di munizioni ad Amaseno mentre in due successivi
passaggi si portano sulla strada che costeggia il fiume. Sotto Pisterzo
viene attaccata una colonna tedesca, un camion distrutto rimane avvolto
dalle fiamme mentre altri tre celati dai simboli della Croce Rossa saltano
in aria per gli esplosivi che in realtà trasportavano.
21 maggio 1944, missione 1066: alle ore 6.55 a.m. otto P40 del 316
attaccano l’angolo nord ovest di Amaseno,viene notato un ospedale con
croci rosse, a missione è annullata, è l’Hauptverbandenplatz della 94a
Divisione.
21 maggio 1944, missione 1067: otto P40 del 314 notano che in tutta l’area
tra Villa Santo Stefano e Amaseno “… all small town in this area have red
crosses on buildings ….” … tutti i piccoli paesi in questa zona hanno
croci rosse sui palazzi …” anche questa missione viene annullata.
21 maggio 1944, missione 1070: dodici P40 del 316 intorno alle 15.30 a.m.
attaccano un convoglio di sei camion tra Amaseno e Villa Santo Stefano,
alcuni spezzoni esplosivi vengono lanciati in contrada Pozzo di S. Antonio
a Giuliano di Roma dove i tedeschi tenevano nascosti i cavalli.
21 maggio 1944, missione 1076: intensa attività Flak sull’ “Amaseno road”
notati quattordici autocarri nemici in movimento.
23 maggio 1944, missione 1092: viene avvistato un convoglio di ambulanze
che da Amaseno si reca a Frosinone.
26 maggio 1944, missione 1126: viene attaccata una strada secondaria che
porta a Ceccano.
28 maggio 1944, missione 1160: viene segnalato un intenso e accurato fuoco
dalla postazione Flak della Palombara a Colle Antonelli.
Capitano Richard H. Fisher
matricola 0-428809
315° Fighter Squadron, 324° Fighter Group, aereo P40 F numero : 41/ 19765,
originario di Washington è sepolto al cimitero americano di Nettuno.
20 maggio 1944, missione 1056 : “ … tra le 10.50 a.m. e le 12.54 a.m.
sette P40 del 315 decollano in missione di perlustrazione seguita da una
azione contro la linea del fronte nei pressi di Terracina dove vengono
lanciate sette bombe. Successivamente sulla rotta numero sei verso Ceccano
circa venti camion nemici vengono sorpresi tra i paesi di Prossedi e
Maenza, uno di questi che trasportava benzina dopo essere stato colpito
esplode,gli altri vengono danneggiati.
Vicino Frosinone il caposquadriglia Fisher comunica al Tenente Lander di
prendere il comando perché ha subito un guasto alle sue mitragliatrici,
alle 11.50 a.m. Fisher riferisce che il malfunzionamento è risolto
riprendendo così il comando. Alle 12.00 a.m. gli aerei di nuovo in
formazione da combattimento virano a sud di Giuliano di Roma in posizione
G 40-26 quando vengono avvistati dieci autocarri sulla strada tra Villa
Santo Stefano e Giuliano di Roma.
Dopo averli attaccati in picchiata, i P40 uno dietro l’altro sorvolano
Villa Santo Stefano ma dal suo aereo alle 12.00 a.m. il Capitano Fisher
via radio comunicherà un probabile nuovo guasto. Seguito da una scia
bianca con un ampia virata si dirigerà a nord est di Giuliano di Roma per
poi scomparire completamente dietro Siserno. alle ore 12.30 a.m. il suo
aereo sarà visto schiantarsi oltre Osteria di Castro ….”
Sottotenente Matthew M. jr O’ Brien
316° Fighter Squadron, 324° Fighter Group.
Matricola : 0-693227
Città di provenienza: Buffalo, New York.
arruolato il 5 novembre 1942
classe 1923, ha frequentato la High School, non coniugato era impiegato
nelle
Ferrovie. Frequenta la” Preflight Unit “della US Air Force a Miami per
quattro mesi, superati gli esami viene ammesso alla “Preflight School”
presso l’aeroporto di Maxwell a Montgomery in Alabama. Viene abilitato al
volo con l’aereo Ryan PT 23 alla “Primary Training School” ad Harrisfield
in Missouri ma ottiene il brevetto di volo o BT13 solo alla “Basic Flying
School” di Dothan in Alabama dopo dieci ore di volo su un vecchio P40.
Finalmente, completata la sua istruzione al volo e con il grado di
Sottotenente, Viene preparato al combattimento alla “Overseas Training
School” a St. Petersburg in Florida. Poco dopo da Camp Patrick Henry
partirà per l’Europa a bordo di una “Liberty Ship ” e dopo tre settimane
sarà in Italia, a Napoli. Il sei maggio 1944 avrà la sua prima missione e
il 13 maggio dopo sette giorni verrà purtroppo abbattuto. Il 29 maggio
1945 abbiamo sue notizie dai cieli della Florida ai comandi di un P47 d
matricola 43-25288, dato confortante che ci conferma il suo ritorno in
patria sano e salvo. Rimarrà ancora in servizio nell'Us Air Force con il
904° Bomb Unit di stanza presso la base di Kissimmee in Florida.
Sottotenente James P. Dealy
316° Fighter Squadron, 324° Fighter Group.
Matricola 0-812058
Città di provenienza : Nashville Tennessee.
arruolato il 15 settembre 1942, classe 1916 ha frequentato un anno di
College per essere poi impiegato come tecnico topografico,prima della
partenza per il fronte sposerà Lois.
Unico caso nella seconda guerra mondiale avrà quattro fratelli nel Us Air
Force, il fratello Jack e Bob vennero assegnati addirittura al 314°.
Nel 1942 a Miami al corso pre piloti incontrerà Clark Gable, anche lui
promettente cadetto. Nell’ottobre 1943 ottiene grado e brevetto e in nave
giunge ad Oran in nord Africa. Poi con un C47 atterra in Sicilia e infine
con il suo P40 numero 79 il 9 marzo si unirà a Cercola al suo Squadrone.
il 14 marzo avrà la sua prima missione, il 13 maggio invece sarà colpito
in combattimento con un attivo di quarantatre uscite in combattimento tra
cui quella del 29 marzo 1944 , quando abbatté il suo primo FW190.
Sottotenente Douglas R. Plowden jr
Matricola : 14040687
Citta di provenienza : Sumter ,South Carolina
arruolato il 31 maggio 1941, classe 1919 si diplomerà al
College,occupazione attore, non coniugato.
Il 9 dicembre 1943 alla sua cinquantunesima missione sul suo North
American A 36 matricola 42-84078 Douglas "Pluto" R. Douglas jr, decollato
dall’aeroporto di Pomigliano, viene abbattuto vicino Tivoli in posizione G
0115 alle ore 11.27 a.m. l’ Hptm Julius Meimberg del 5./jg53 lo
ringrazierà, questa sarà infatti la sua trentatreesima vittoria. Douglas
tornerà alla sua unità, il 525° Figther Squadron dell'86° Fighter Group a
Marcianise il 24 maggio 1944, due giorni dopo l'abbattimento di William
Everitt suo compagno di Squadrone.
Riprenderà a volare dall'aeroporto di Pisa nell'inverno del 1944 su un
aereo P47 Thunderbolt.
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