19 LA RITIRATA TEDESCA


Sangue, sangue ancora sangue, era questo che gli infermieri tedeschi spazzavano via dalle tavole consumate degli autocarri, cancellando così anche quell’ultimo sussurro di vita. L’andirivieni delle autoambulanze a Villa Santo Stefano era divenuto frenetico e da sonnacchioso centro medico nelle retrovie l’ HVP II /190 aveva assunto in breve tempo, suo malgrado, un ruolo essenziale per tutta la Novantesima Divisione. La sala operatoria lavorava febbrilmente e le corsie dell’ospedale erano stracolme di feriti, reduci dai combattimenti nelle aree di Ceprano e Pontecorvo. Il piazzale antistante le Case Nuove era ormai insufficiente per cui molti degli automezzi dovettero essere parcheggiati anche in piazza.
Le strade che giungevano in paese invece erano talmente trafficate che i santostefanesi iniziarono, per non essere investiti, a camminare lungo il loro bordo. La drammatica realtà vissuta nei padiglioni dell’ospedale rimaneva scolpita indelebile sui volti degli esausti infermieri anche quando, in libera uscita, chiusi in un insolito mutismo abusavano del vino in osteria.
I resti delle zuppe che abitualmente, dopo il rancio, venivano donate ai bambini iniziarono a scarseggiare al punto che nessuno di loro si recò più alla porta delle cucine. Anche le visite di Lorek a casa di Don Amasio divennero più rare, il responsabile medico era talmente impegnato in quelle difficili giornate che aveva preferito trasferirsi addirittura alle Case Nuove dove aveva fatto trasportare anche il suo amato pianoforte. I libri presi in prestito dal parroco rimanevano invece a mangiare la polvere con il segnalibro fermo sempre alla stessa pagina.
Se il 13 maggio era stato il giorno più nero per il 324° Gruppo Caccia, il 17 maggio lo sarebbe divenuto per il reparto di Sanità della Novantesima Divisione. All’insaputa dei tedeschi infatti era stata avviata una tra le più delicate azioni aeree nella valle dell’Amaseno coordinata dalla cellula partigiana di Reali e l’aviazione alleata. L’obiettivo finale erano i reparti tedeschi in ritirata che, di notte, per evitare la caccia avversaria da Priverno in un interminabile fiume umano si snodavano alla volta di Frosinone.
Al chiarore della luna per più di una notte Virgilio e il suo gruppo avevano spiato il movimento di queste truppe che muovendosi lungo il fiume Amaseno, procedevano silenziosamente in fila indiana con gli zoccoli dei muli fasciati da pezze per evitare qualsiasi imprudente calpestio. La loro ritirata cosi dissimulata era durata per settimane fino a che, sicuri del disinteresse alleato, i tedeschi azzardarono uno spostamento in pieno giorno da Vallecorsa verso il capoluogo laziale. Alle prime ore del pomeriggio la colonna di autocarri tedeschi fu pronta a muovere, ignorando che dalle alture di Pisterzo, David in contatto radio con il proprio comando, li stava spiando. Giunti nei pressi di Ponte Calabrese però le staffette che anticipavano il convoglio spensero di colpo le loro Zundapp mentre in lontananza avvolti da una densa nube avanzavano lenti gli automezzi carichi di soldati. I motociclisti erano stati allarmati da un rombo appena percettibile ma a loro tristemente noto proveniente da monte delle Fate, quello dei Curtiss P40 del 324°. Tolti gli occhiali iniziarono a scrutare il cielo e il loro viso già pallido per la polvere si annullòdi fronte al terrore, era il 17 maggio molti di loro non lo dimenticheranno.
Nel primo passaggio i Curtiss in picchiata colpirono gli autocarri di coda, poi quelli di testa nel successivo, tra l’assordante sibilo dei proiettili i fanti tedeschi iniziarono a saltare giù dai camion cercando riparo tra il grano alto ai lati della strada. Subito la maggior parte degli automezzi colpiti iniziò a bruciare e pochi attimi dopo la strada era già disseminata di cadaveri, molti dei quali fumanti.
I mezzi che contenevano benzina esplosero mentre le taniche incendiate iniziando a roteare nel cielo volarono a decina di metri portando distruzione ovunque.
I P40 , intanto, mantenendo la formazione scomparivano lontani dietro Siserno. Ma fu mera illusione, nuovamente allineati tornarono in picchiata per finire quella che poco prima era una colonna tedesca, ma prima di completare la loro missione ancora un altro passaggio, l’ultimo e a bassa quota, il loro obiettivo il falso posto di medicazione alle Mole.
Senza nessuna pietà i caccia alleati si accanirono con tutto il fuoco delle loro mitragliatrici su quel fazzoletto di terra incuranti del telo bianco e della croce rossa che lo ricoprivano. Nell’azione, fulminea, anche i tetti delle case dei Sarandrea e dei Biasini rimasero crivellati dal calibro dei 12,7. Superata l’alta cortina di fumo che si era levata dalla Provinciale i caccia americani scomparvero dietro i monti, questa volta per sempre. Mentre il ruggito dei loro motori si spegneva, straziante iniziò il lamento dei feriti, ai loro gemiti si unirono le imprecazioni degli ufficiali superstiti che tentavano inutilmente di riorganizzare quei disperati.
L’opera di soccorso fu tempestiva, alcune ambulanze si erano già mosse dal HVP della 94a Divisione e numerose furono le salme raccolte sulla strada.
Le scie rosse di sangue sul terreno invece guidarono gli infermieri tra le alte spighe di grano dove trascinandosi aveva cercato riparo la maggior parte dei feriti. Ma il loro numero era troppo alto per il centro medico di Amaseno per cui via radio fu comandata ad intervenire anche la Compagnia Sanitaria di Villa Santo Stefano. Giunti sul posto gli infermieri della Novantesima, tra le alte fiamme e il fumo corvino, cercarono gli ultimi feriti e pochi minuti dopo il piazzale antistante l’ospedale di Villa Santo Stefano fu riempito di ambulanze e camion carichi di quella miseria umana.
L’acre odore del sangue rappreso sui cassoni dei LKW riempì l’aria del paese. Il numero di feriti, in sovrannumero, costrinse i sanitari ad adagiarli anche nei corridoi dell’ospedale mentre i chirurghi, nella folle logica di guerra, iniziarono senza perdere tempo a dedicarsi ai meno gravi, che avrebbero in seguito potuto più facilmente far ritorno al fronte,trascurando purtroppo i moribondi che furono dimenticati nel reparto dell’Accettazione.
Nonostante questa scelta sofferta i medici operarono senza sosta alternandosi tra loro sotto la rovente luce del riflettore della Chirurgie Zimmer nel tentativo di salvare il maggior numero di vite.
L’intera azione aerea era stata osservata con i binocoli dai partigiani nascosti tra i rovi del “ Calvario” e a notte inoltrata via radio, all’ora convenuta, David informò i suoi superiori che la missione aveva avuto il massimo successo. La notizia fu trasmessa come al solito praticando numerose interruzioni per fare in modo che i radiogoniometri mobili tedeschi non potessero localizzare l’apparato radio inglese sopra Pisterzo.
Ma al termine del messaggio, con notevole sorpresa anche dello stesso David, la valle venne all’improvviso illuminata a giorno da piccoli paracadute al fosforo, che brillando al buio, sorpresero un’ altra colonna tedesca in marcia,nonostante la mattanza di poche ore prima. Questa volta nel cielo apparve, per assolvere al suo compito straordinario, una formazione di Spitfire della Raf, abili cacciatori notturni. In soli due rapidi passaggi le formazioni inglesi portarono la morte e la distruzione e accompagnate dalle urla dei feriti e i nitriti impazziti dei cavalli ricalarono pesanti le tenebre.
Il giorno seguente i santostefanesi assistettero alla sepoltura dei soldati tedeschi nel cimitero del paese. La triste pratica era fino ad allora sconosciuta visto che tutti i caduti della 90a Divisione erano stati sempre condotti e tumulati presso il loro Cimitero Divisionale lungo la Casilina. Ma l’intensa presenza aerea alleata e il disastrato stato delle strade, ormai quasi tutte bombardate, fece si che i feriti deceduti nell’ ospedale le ultime settimane di maggio vennero sepolti in paese.
In dodici giorni su due distinte file furono disposte circa venti croci bianche con riportato il grado e il nome del caduto, quasi tutte sormontate da un elmetto.
La mattina del 27 maggio Leonilde dall’alto del Macchione, scrutando con il binocolo del fidanzato il paese, notò un movimento inconsueto di mezzi e uomini intorno al piazzale dell’ospedale, era l’unità di Sanità che stava muovendo ed anche in fretta. Era giunto l’ordine di ritirata per tutta la Divisione per cui anche l’ospedale si sarebbe dovuto adeguare avanzando lungo la strada per Genazzano.
Lorek ordinò che prima di tutti fossero trasportati con cura i feriti del 17 maggio e successivamente tutto il personale medico. I santostefanesi costernati dall’evento che non lasciava trasparire nulla di buono assistettero in silenzio ai preparativi per la partenza della Seconda Compagnia di Sanità.
Nel pomeriggio Lorek si recò a salutare personalmente Don Amasio, gli riportò i libri presi in prestito e mai letti e abbracciandosi per la prima volta entrambi compresero che non si sarebbero mai più rivisti. Prima di sparire oltre lo stretto vicolo però il medico si voltò ancora una volta,volle raccomandare al parroco la massima attenzione nei giorni a venire. Intanto alla Vigna i camion, già in colonna con i motori accesi, attendevano l’ufficiale che svelto salì su una Opel mimetica mentre gli ultimi infermieri arrotolavano l’enorme telone con la croce rossa che deposto sul piazzale delle Case Nuove aveva fino allora in qualche modo salvaguardato il paese e le sue genti. Affondando nella polvere la Seconda Compagnia del 190° Battaglione scomparve per sempre dietro le Fontanelle.
Di quella unità sarebbe rimasto solo un pianoforte abbandonato nella Foresteria dell'ospedale. Orfano del presidio sanitario il paese condividerà il suo incerto destino con i superstiti della Tredicesima Compagnia raggiunti dall’ordine di ritardare il più possibile l’imminente avanzata alleata. Il suo comandante l’Olt Pachnatz sin dal primo momento del suo arrivo a Villa Santo Stefano era stato protagonista di difficili decisioni che ora si concludevano con la difesa armata di un paese ormai divenuto fronte. I suoi primi provvedimenti risalivano alla fine di febbraio quando dispose il ritiro di tutti gli apparecchi radio per evitare l’ascolto delle stazioni alleate. Promulgando poi l’ordine della Göring del 23 febbraio il tenente intensificò anche le limitazioni legate al coprifuoco vietando di circolare oltre che la sera dalle 18.00 alle 8.00 anche il giorno dalle 12.00 fino alle 15.00. Il 2 marzo Pachnatz emise i nuovi permessi di circolazione durante le ore di coprifuoco per i lavoratori locali, mentre le nuove incursioni inglesi del 15 marzo lo indussero il 24 a istituire un servizio di vigilanza aerea diurna e notturna con la costruzione, il 29 dello stesso mese, di nuove buche ricovero.
Il 25, invece, i Reali Carabinieri della locale stazione presso la locanda di Gelsomina furono comandati con un suo ordine specifico al servizio di vigilanza notturna delle strade del paese. L’avvicinarsi del fronte e le prime incursioni del 324° imposero poi, il 31 marzo, il divieto più assoluto a tutti i civili ad accedere alle postazioni tedesche dislocate in paese. Il primo aprile il Tenente inviò un telegramma al Prefetto di Frosinone informandolo della sua ultima disposizione che imponeva l' assoluto divieto di assembramenti in piazza.
L’undici fu intensificata ulteriormente la protezione aerea lungo le strade facendo uso anche delle locali guardie campestri, lo stesso giorno fu segnalata anche un'intensa attività fra i ribelli locali forse il gruppo dell’Avvocato Ambrosi. Il 25 aprile infine Lorek concedeva eccezionalmente dopo averlo consultato il permesso di circolazione durante le ore di coprifuoco a Don Amasio Bonomi per poter svolgere così adeguatamente il suo mandato pastorale. In un incessante succedersi di date e sanzioni, mentre il 18 maggio vennero arrestati nel territorio comunale alcuni prigionieri di guerra inglesi fuggiaschi,lo stesso giorno, quando la situazione tedesca di uomini e mezzi divenne dannatamente critica, in piazza venne esposto il manifesto in cui il comando militare tedesco avrebbe retribuito tutti i soldati italiani pronti a combattere da quel momento in poi a fianco delle forze armate tedesche.
Tra le recenti limitazioni quella dell’inasprimento del coprifuoco fu la meno gradita dalla gente di Villa Santo Stefano. la popolazione ne venne a conoscenza grazie a Zi Marcuccio o meglio da uno dei suoi “bann’” : “ savverte i pubblic’ che i ccomann’ germanic’ a miss’ i coprfog’ …. Nun appicciate le lucia ….”. Per non lasciare dubbi o incertezze vicino la ringhiera sul muretto antistante l’osteria Palombo i tedeschi posero una sorta di semaforo formato da due fogli di pellicola colorata ben visibili soprattutto nelle ore notturne quando una lampadina illuminava il verde per l’accesso e il rosso per il divieto a circolare.
Gli unici a muoversi tra i vicoli continuarono ad essere le due sentinelle di ronda che, a differenza di quelle dei primi giorni di occupazione, erano in completo assetto di guerra con elmo, moschetto e maschera antigas a tracollo che sbattendo sul fianco con il tipico rumore “denghete denghete” ne anticipava l'arrivo. Sebbene la luce in paese fosse inesistente fu ordinato lo stesso di oscurare tutte le finestre mentre per il municipio vennero adottate delle lampadine all’acetilene, gli allarmi aerei invece sarebbero stati annunciati grazie alle campane della chiesa o con la sirena della torre civica.
Al 20 maggio l’esigua Compagnia di Pachnatz, formata quasi completamente da veterani, rispecchiava in pieno quella che era la realtà di tutta la Novantesima Divisione ormai drasticamente ridotta soprattutto dopo i combattimenti di Cassino, Esperia, Ceprano e Pontecorvo. Protagonisti degli aspri scontri ai piedi dell'abbazia benedettina anche molti granatieri della tredicesima Compagnia, i loro visi rimarranno impressi per sempre nel cuore di Elsa Iorio quando con le lacrime agli occhi le donarono parte del loro vestiario affinché lo destinasse ai bambini della famiglia. I soldati, mobilitati per la prima linea, erano consapevoli del loro breve futuro e salutando la donna si congedarono con un laconico "Noi domani morire...". Ma per i sopravvissuti il fronte stava avanzando e urgente era l’esigenza di approntare dei ricoveri all’interno della Macchia e lungo i bordi della provinciale.
Le recenti fortificazioni si aggiungevano a quelle già scavate ai margini del Quarallo e a Santantonio, ci si stava preparando a fermare quanto più possibile un nemico ostico e numericamente superiore.
Da Amaseno giunsero, per sostenere le ridotte forze del Sottotenente Pachnatz nella manovra di rallentamento, alcune unità di artiglieria della 94° Divisione che posizionarono i loro cannoni nel territorio comunale. Tra i pezzi di varia gittata fu trasportato anche un imponente cannone montato su un semicingolato, la bocca della sua canna era talmente grande che avrebbe potuto ospitare un uomo.
Il gigante piantò i suoi piedi nella radura prima delle Mole dove in tempi recenti sarà impiantata la fabbrica e da quella posizione prese a martellare incessantemente il nemico che era ormai attestato alle porte di Vallecorsa, il sordo sibilo dei suoi proiettili riempiva tutta la vallata.
Questi artiglieri di supporto facevano parte del Kampgruppe Ewert che avrebbe coperto la ritirata tedesca.
Il gruppo di combattimento prendeva il nome dal suo comandante l’Oberst Wolf Ewert del 274° Reggimento della 94a Divisione di fanteria.
Il reparto era composto da membri del 3/274 comandati dal Hauptmann Woock, del 1/274 del Hauptmann Manitz oltre alla quarta e alla decima Batteria del 194° Reggimento di artiglieria comandate dal Oberst Scherenberg e dal Oberst Urban. Il 23 maggio gli ufficiali della Novantaquattresima avevano pernottato a Villa Levinetti a nord di Vallecorsa dove in ritirata si erano uniti a loro anche i superstiti del secondo e terzo Battaglione della Settantunesima Divisione.
Il 24 maggio il Hptm Woock del terzo Battaglione sposterà i suoi uomini su Monte Rotondo sopra Amaseno, mentre lo stesso giorno alle ore 1200 a Castro dei Volsci si trincererà con il 2/267 L’ Hptm Pannir anch’egli del Kampfgruppe Ewert.
Il giorno dopo il 25 il 3/274 Woock da monte Rotondo si porterà verso Campo Lupino percorrendo la stessa direttrice che solo due giorni dopo avrebbero completato i francesi mentre Ewert dopo aver impartito le ultime disposizioni al suo gruppo porrà il suo comando a Ceccano presso Villa Berardi.
Il 26 maggio Woock si avvicenderà all’ Hauptm Manitz del Primo Battaglione per il controllo di Campo Lupino o per quello che sarà il Punkt 156.
Per la difesa del pianoro sul Siserno Manitz sarebbe stato appoggiato dagli uomini del Terzo Hochgebirgs che lo raggiungeranno a Campo Lupino provenienti da Villa Santo Stefano. All'alba del 26 infatti, questi specialisti della montagna in attesa di muovere si trovavano in fila indiana seduti sui loro zaini, alcuni di loro avevano scambiato poco prima del pane nero con delle uova fresche offerte dagli abitanti delle ultime case alla Lavina. Questi ragazzotti, veramente molto giovani, gli ultimi rimpiazzi, erano stati visti la sera prima cacciati in malo modo da Renato Tambucci mentre erano in cerca dell'osteria in piazza che a causa dell’oscurità avevano confuso con la sua abitazione.
Il giovane avvocato, udendo rumore di passi lungo la scala, si affacciò e vide visibilmente sorprese queste reclute, senza concedergli nessuna replica li rimproverò urlandogli a malo modo “ Nicht wine!! Nicht vine!! Rauss rauss slaufen!!!”. Gli alpini retrocedendo, spaventati, si urtarono tra di loro finendo così per rotolare dalla ripida scala fin sulla strada mentre il pesante portone gli si chiudeva contro.
I primi fragori dei combattimenti furono uditi in paese il 23 maggio quando dalle 07.00 alle ore 12.00 venne attaccata dai tedeschi una colonna della Sussistenza americana di novanta muli che da Monte Marino avrebbe dovuto raggiungere Monte Sparago. La Compagnia F del Secondo Battaglione del Reggimento 350 dell’Ottantottesima Divisione arrivò in loro aiuto e a Vado Fra’ Paolo alla fossa del Lupo i Blue Devils catturarono dieci tedeschi della Settantunesima provenienti da Amaseno uccidendone altri quindici. Questi erano gli ultimi uomini di quella Divisione destinata a Cassino che sin da gennaio aveva transitato sulla provinciale costeggiando il fiume Amaseno. Questi soldati provenienti dalla capitale scendevano alla stazione di Sezze per poi proseguire a piedi prima per Amaseno e attraverso Castro dei Volsci fino al fronte, ora invece il loro compito era occupare Monte Sparago, anche se la loro Compagnia era ridotta a soli trenta uomini.
Il Capitano americano Roeder comandante della Compagnia F dopo averli fatti prigionieri cercò di comunicare con loro servendosi del cosiddetto “Tedesco della Pennsylvania”. Senza grosse difficoltà gli esausti nemici gli fornirono importanti informazioni sulla presenza delle rimanenti unità tedesche a difesa della bassa valle dell’Amaseno. Il 25 maggio le compagnie E, F e G sempre del Secondo Battaglione dell’Ottantottesima Divisione americana a Roccasecca dei Volsci catturarono 198 tedeschi uccidendone 72, Alfonso Felici era tra loro.
Ma in quei luoghi i prigionieri non erano solo tedeschi. Il giovane Ufficiale Gerhard Muhm della Prima Compagnia del Primo Battaglione del Quindicesimo Reggimento della 29a Divisione con un pugno di uomini era riuscito a catturare su Monte delle Fate alcuni ufficiali osservatori americani e dopo essersi defilato nonostante le truppe alleate già presenti ad Amaseno, attraversò silenziosamente di notte la Macchia per ricongiungersi con il resto della sua unità a Prossedi.
La guerra stava iniziando a mostrare il suo volto peggiore, quello della morte e della distruzione e lontana appariva la gioiosa parentesi di pace del 6 aprile quando nella Collegiata del Santuario di Giuliano di Roma il Vescovo Leonetti, di ritorno ancora una volta in quel angolo remoto della sua Diocesi, radunò venti parroci per la benedizione degli oli santi.
A Pisterzo Don Luigi con quell’olio il 9 aprile volle celebrare la Santa Pasqua,lo fece nella chiesa di San Michele Arcangelo dove inginocchiato davanti a lui c’era ossequioso il gruppo partigiano al completo che ricevette commosso l’ostia consacrata. Dopo la benedizione Don Luigi volle aggiungere alla lietezza della cerimonia anche una buona bottiglia di vino frizzante che i patrioti apprezzarono nella bottega del padre Giuseppe. Nel frattempo a Villa Santo Stefano qualcuno aveva avuto l’insana idea di rubare un’ auto tedesca provocando cosi l’irritazione dei tedeschi, sempre più inquieti con il lento ma costante peggiorare delle sorti della battaglia. Ma più che le ricerche subito attivate dai panzergrenadier a costringere il ladro a riconsegnare l’automezzo nei pressi della Pezza fu la reazione congiunta dei suoi compaesani che temendo sgradite rappresaglie contro di loro erano pronti a denunciarlo immediatamente.
La tensione nell’ultimo avamposto tedesco era evidente, appena pochi giorni prima in una manovra fatta quasi quotidianamente un semicingolato tedesco era rovinato sul portone di casa Reatini fracassandolo, dopo essere scivolato sul selciato di via Gentile per un cambio di marcia errato.
Tra le difese già predisposte dai tedeschi fuori del paese c’erano alcune buche armate con mortai che a breve distanza le une dalle altre si susseguivano alla destra del Ponte delle Mole. Mentre i tedeschi erano intenti a completarle, quasi di fronte a loro,sull’altro lato della strada celati dall’ombra dalla Macchia alcuni operosi giovani a colpi di zappa stavano tranciando grossi porzioni di pregiato alluminio da rivendere al mercato nero, in uno di questi brandelli c’era scritto “ Audeo” il motto del 324° Fighter Group, il rottame o ciò che ne rimaneva era il P40 di Matthew O’ Brien.
Il resto della popolazione invece, a causa dell’ allontanamento dell’ospedale militare, aveva imparato a temere le incursioni aeree alleate che ora sempre più frequenti erano annunciate dalla sirena del Municipio.
Per precauzione si dormiva vestiti pronti a nascondersi nei vicini anfratti di Vallerea o nelle cisterne scavate alle pendici del Siserno. Guglielmina e la nonna Flavia erano sempre le ultime ad arrivare ai rifugi, il passo stanco della nonna ritardava la loro fuga e quando riuscivano finalmente ad allontanarsi da casa l’allarme aereo era cessato e i loro compaesani già sulla via del ritorno. L’ultima settimana di maggio le strade intorno al paese erano piene di soldati tedeschi in ritirata, camminavano lungo le siepi costeggiando la Provinciale evitando di alzare la polvere, facilmente visibile dall’alto. Erano stanchi, sporchi e sudati in quelle logore uniformi ancora invernali, visibilmente demotivati combattevano ormai solo per il compagno che avevano al fianco o per il loro superiore se stimato. Alcuni di questi erano i superstiti del Reggimento 1053 che insieme al Kampfgruppe Ewert avrebbero tentato la difesa finale del paese.
Uno di loro dalla mole gigantesca presso i Tre Moschetti impose l'alt ad Alfonso Zuffranieri in sella alla sua amata bicicletta, il giovane mugnaio si stava recando al mulino dello Zio Paolino Sarandrea a Roccagorga e già indaffarato dal suo lavoro quello era l'ultimo degli incontri che avrebbe voluto fare. La pretesa del tedesco era fin troppo chiara ma la due ruote a cui ambiva era troppo preziosa per il ragazzo che ogni due giorni doveva affrontare quel tratto di strada per sostituire il fratello della madre partito per il fronte. Si arrivò ad un accordo, la bicicletta veniva requisita ma Alfonso seduto sulla canna avrebbe usufruito di un passaggio. Così sull'esile ciclo il gigante e il bambino lentamente affrontarono la dura salita che li aspettava subito dopo il bivio per Pisterzo, testimone dello strano baratto Maria Toppetta.
La preoccupata donna smise di temere per la libertà di Alfonso quando sorpassata dallo strano tandem lungo la provinciale fu tranquillizzata dal gesto rassicurante di uno tra i più veloci ciclisti di Villa Santo Stefano.Infatti solo dopo pochi metri il tedesco esausto accettò di sostituirsi al ragazzo mai pensando che uno scatto improvviso degno di Fausto Coppi lo avrebbe lasciato a terra a mangiare un quintale di polvere con il trillo festoso del campanello di Alfonso che dal Ponte di Prossedi copriva le sue maledizioni.
Sebbene disinteressati ed in piena ritirata gli esausti uomini della Wehrmacht si sentirono in dovere di avvisare la popolazione sugli imminenti pericoli a cui sarebbero andati incontro. Alcuni granatieri in piazza tentarono di far capire ai civili di spostarsi a Frosinone ripetendo ossessivamente “ No farm ! no farm! , citta’ ! citta !’” altri invece imitavano in maniera esplicita con le mani l’atto sessuale che tradussero in un fantasioso francese “comsì comsà ” .
Altri ancora al Colle ammonirono i civili presenti urlandogli “Domani noi andare via, donne e bambini dentro, donne e bambini dentro !!! “ mentre a Giuliano di Roma invece i soldati tedeschi furono più diretti nel descrivere i loro prossimi nemici mostrando minacciosi agli abitanti il fondo nero di una padella.
Il 25 maggio uno dietro l’altro furono fatte brillare dai genieri della Novantaquattresima Divisione le cariche poste sotto i ponti intorno al paese, il primo a saltare fu Ponte Calabrese ad Amaseno seguito dopo poche ore da quello delle Mole. Ormai le difese erano state stabilite e i gruppi di resistenza ben schierati, dalla linea del fronte nessuno sarebbe passato oltre, nessuno sarebbe arretrato.
La squadra di guastatori che aveva fatto crollare i due ponti si era appostata nei pressi del ponte della Madonna di Prossedi, dove sarebbe rimasta per tutta la notte in attesa del passaggio degli ultimi rari mezzi corazzati che avrebbero transitato su quello che era il ponte più solido.
Giunti al tramonto requisirono dalla casa del signor Mariotti che abitava nei pressi del ponte un paio di saccocce di mais che versarono all’interno dei loro elmetti dopo averli privati dell'interno.
Poi pazientemente con il manico delle baionette iniziarono a frantumare i chicchi color arancio fino all’alba.
Il giorno dopo la soffice farina fu trasformata in saporita polenta. Finito di mangiare con calma i tedeschi azionarono il detonatore collegato alle cariche esplosive applicate alla base del ponte spezzandolo irrimediabilmente in due. Raccolte le loro cose salutarono il signor Mariotti, ma prima di congedarsi gli consegnarono una lampada a petrolio in bakelite, se voleva gli dissero, la notte avrebbe potuto avvisare i viandanti del ponte crollato.
Da allora quello sarebbe divenuto il suo nuovo lavoro che continuò anche successivamente con il Governo Militare Alleato. Rimaneva ora una sola via di fuga, Ponte Grande, ma quello sarebbe servito a loro, ai tedeschi, fino all’ultimo minuto, fino all’ultimo uomo.


Caduti tedeschi a Villa Santo Stefano :

Nome: Giorno della scomparsa :

Uffz. Wilhelm Hacker 17 5 1944

Ogfr. Gunter Ade 21 5 1944

Un soldato ignoto

Gefr. Gustav Stracke 18 5 1944

Gefr. Robert Konzak 23 5 1944

Kraftf. Erich Schwarze 20 5 1944

Uffz . Heinrich Bode 18 5 1944

Gefr. Matthias Pottgen 17 5 1944

Ogefr Friedrich Knoss 21 5 1944

Ogefr. Wilhelm Hohmeyer 18 5 1944

Uffz . Friedrich Hierl 19 5 1944

Gefr. Otto Knipp 22 5 1944

Un soldato ignoto

Uffz. Karl Kunze 18 5 1944

Ltn. Gustav Germann 20 5 1944

Uffz. Eugen Zell 20 5 1944

Gefr. Bodo Kohler 16 5 1944

Ltn. Walter Ernst Georg Hoffmann 19 5 1944

Questi soldati riposarono nel cimitero di Villa Santo Stefano fino al 1963 quando furono traslati definitivamente al cimitero di Caira a Cassino che contiene attualmente 20057 caduti. Tra il 1959 e il 1960 il Volksbund con l’ausilio delle istituzioni italiane meticolosamente riesumò i corpi di tutti i caduti tedeschi presenti nei vari cimiteri e nelle fosse comuni del Lazio, Campania e Abruzzo per realizzare l’imponente sacrario che venne inaugurato il 4 maggio 1965.
Nella lista riportata i due soldati ignoti furono sepolti successivamente agli altri, le loro spoglie senza piastrino di riconoscimento vennero trovate una sul Siserno, mentre l’altra in località Le Strette.
In occasione della ricorrenza dei defunti e il giorno delle forze armate non mancò mai un fiore per questi soldati, segno di umanità e rispetto da parte della popolazione di Villa Santo Stefano nei loro confronti. Alcune persone generose come Antonio Leo, disinteressatamente, si presero cura di alcune di queste tombe, si trattava di croci di legno verniciate di bianco, su un lamierino di alluminio era inciso il grado e il nome del soldato, erano quasi tutte sormontate da un elmetto, altre ancora avevano dei sassi bianchi a delimitarne il perimetro. Nei primi anni cinquanta un tedesco con una evidente protesi al posto di una gamba visitava almeno una volta l’anno le tombe, soffermandosi a lungo su quella di Heinrich Bode, una volta il reduce volle immortalare Antonio Leo vicino a una di queste croci facendo venire appositamente un fotografo al cimitero.
Uno dei caduti tedeschi che riposarono a Villa Santo Stefano fu il caporale Friedrich Knoss della Dodicesima Compagnia del Terzo Battaglione del Reggimento 200 della Novantesima Panzergrenadier Division.
Il sottufficiale proveniva dalla Quarta Compagnia dell’Infanterie Ers Btl 163, la sua matricola era 1048, il Feldpost 58291d, ferito il 15 maggio 1944 nei pressi di Esperia si spense il 21 maggio 1944 a Villa Santo Stefano a trentotto anni come portaordini motociclista. Fredrich era un valente pittore edile proveniente da Erzhauser, un paesino a sud di Francoforte dove abitava a Bruhlstrasse numero 5, mentre nella città sul Reno aveva la sua bottega. Era nato il 14 ottobre del 1906, sposato con Lina aveva due bambine Erika ed Ursula, giunse in Italia nel febbraio 1944. Dopo il bombardamento di Francoforte gli fu data una licenza premio per raggiungere la sua famiglia, al suo arrivo Fredrich trovò la casa completamente distrutta dalle bombe alleate per cui nei pochi giorni che aveva a disposizione rimboccandosi le maniche senza sosta ripristinò l’alloggio per i suoi cari, riuscito a portare a termine l’immane lavoro fece ritorno al fronte poche settimane dopo. Il 1 giugno 1944 l’Uffz. Gustav Kuhn del 200° Reggimento comunicherà con una lettera alla famiglia il ferimento del loro congiunto ad Esperia il 16 maggio e la successiva morte a Villa Santo Stefano il 21 maggio. Il 15 agosto 1944 l’Oberleutnant Friedrich Werrer, comandante della Compagnia di Friedrich, scriverà di nuovo alla famiglia del caporale scomparso riportando con precisione i particolari del suo ferimento avvenuto per schegge di granata il 15 maggio. Riferirà anche della permanenza all’Hauptverbandplatz di Villa Santo Stefano dal 19 maggio fino al decesso avvenuto il 21 maggio 1944.