20 ARSENIO LUPIN
L’azione che portò alla conquista della cresta pietrosa di Campo Lupino,
ultimo ostacolo prima di Frosinone, iniziò per i francesi del Sesto
Reggimento Tirailleurs Marocaines il tardo pomeriggio del 25 maggio 1944
quando, con una lenta e difficile manovra, si avvicinarono alla linea di
fuoco raggiungendo Quota 447 sul monte Quattordici. Lungo il suo pendio,
esposto a sud, avrebbero allestito il loro accampamento che quella sera
avrebbe avuto un ospite esclusivo, il Colonnello Cherriere.
Il giorno dopo all’alba, insieme ad una parte del suo Reggimento „ Auroch“,
questo era il nome codificato dal controspionaggio francese per Cherriere,
raggiunse Amaseno dove si riservò un giaciglio sicuramente più comodo di
quello della notte precedente.
Nel pomeriggio si verificò uno stupido incidente, attraversando un vicolo
il giovane Tenente Chalbert, da borghese brillante dentista, rimase ferito
ad una gamba colpito da una raffica di mitra sparata accidentalmente da un
tiralleur della sua Compagnia. Al termine della giornata, con un ufficiale
in meno, il Colonnello Cherriere stabilite con lo Stato Maggiore le
operazioni dell‘indomani prese contatto con Berteil, il comandante del
Primo Battaglione, rimasto in quota sul Quattordici insieme ai suoi
uomini. Cherriere trasmise gli ordini usando termini dialettali
nordafricani combinati a frasi convenzionali in modo da risultare
incomprensibili ad eventuali spie tedesche in ascolto „ …. Hallo‘ Branche
(1/6 Rtm) qui è Soleil (Cherriere) domani gli enfants (il Battaglione) di
bekri (buona ora) da Monte Quattordici si muoverà per le Tombeau du Saint
(la Fossa del Monaco) e successivamente al di la di Castro dei Volsci
troverà una montagna chiamata Arsenio Lupin ( Campo Lupino)…“.
Ascoltato il messaggio Berteil sorrise, aveva anticipato ancora una volta
le strategie del suo comandante inviando, a sua insaputa, alcuni goumiers
in perlustrazione lungo le falde di Monte Siserno. L’esplorazione notturna
però terminò prima di iniziare grazie all’incontro casuale con due pastori
che dal Macchione scendevano a valle. Condotti al comando i due civili
furono subito interrogati. Risposero alle domande dell’ interprete corso
in maniera schietta assicurandogli che sia alla Fossa del Monaco che nel
resto della montagna non c’era più nessun tedesco. Nonostante la loro
buonafede vennero però trattenuti per sicurezza fino al mattino.
Alle ore 0.500 del 27 maggio 1944 le tre Compagnie del Primo Battaglione
iniziarono a muoversi guidati da Berteil che, con il cuore in gola,
arrancando lungo il tratto iniziale del sentiero sperava che i due pastori
avessero detto il vero. Le sue preoccupazioni svanirono quando lo
raggiunse sulla ripida mulattiera un goumier che anticipando l’unità in
marcia si era spinto inosservato verso la cima del monte. Dalle sue
osservazioni sembrava che del nemico non ci fosse effettivamente nemmeno
l‘ombra. La direttrice da seguire tracciata dal Colonnello Cherriere
prevedeva l’attraversamento di Vallefratta, il completamento dell’ascesa
alla Fossa del Monaco e, dopo una breve sosta, i 791 metri di Campo
Lupino. Tutto in cinque ore, con equipaggiamento completo da combattimento
e un terreno a dir poco difficile, unico conforto un cielo magnifico e il
rassicurante fuoco di copertura delle batterie di artiglieria nei pressi
di Castro dei Volsci.
Raggiunta Vallefratta alle 08.00 il Battaglione rallentò dividendosi in
colonne ridotte per offrire così meno possibilità all‘artiglieria tedesca
di colpire. Immersi nel grano i tiratori del Primo Battaglione, in ordine
sparso, notarono alla loro sinistra distanti due chilometri quelli del
Secondo, i loro Battaglioni si sarebbero ricongiunti più tardi sulla
cresta della Fossa del Monaco, il loro primo obiettivo.
A nord est di Amaseno invece la situazione rimaneva ancora incerta, in
mattinata erano stati osservati in fuga ancora diversi automezzi tedeschi
e sebbene i cannoni francesi alle Quattro Strade fossero piazzati, la
Seconda Divisione di Fanteria Marocchina incaricata della liberazione di
Castro dei Volsci rimaneva in forte ritardo. Finalmente alle ore 11.00 il
Groupment Bondis riuscì ad occupare il paese, anche se rilevato quasi
subito fu sostituito per strategie interne alle ore 16.00 dall‘Ottavo
Reggimento del Colonnello Molle. La riuscita dell’azione era stata
ottenuta soprattutto per il sacrificio del Tenente Bayon che la notte
precedente, a sud di Castro dei Volsci, per coprire i carri del gruppo
blindato del Generale Louchet, si fece decimare insieme alla sua
Compagnia, la Prima del Primo Battaglione del Secondo Rtm.
Nonostante le notizie incerte che giungevano da Castro dei Volsci l’ascesa
del Primo Battaglione proseguì senza soste fino alle 09.30 quando i
goumiers a cavallo del Quarto Groupements de Tabors Marocchino che
precedevano l’unità ordinarono di fermarsi per perlustrare un mezzo pendio
che secondo loro avrebbe potuto nascondere qualche minaccia. Messa
rapidamente in sicurezza l’area i cavalieri nordafricani ripartono veloci
sgombrando il fronte alla Terza Compagnia che divenne così la testa del
Primo Battaglione. Alle ore 11.00 fu raggiunta quota 750 , dal suo apice
si aprì ai tirailleurs un vasto prato con oltre cinquecento metri di
profondità, formato da due larghe conche, separate l’una dall’altra da
alcune enormi rocce ondulate. Il versante a nord non era visibile ma da
una rapida consultazione della mappa risultò coperto da un fitto bosco.
Ad ovest una sorta di muro naturale invece, formato da vasti monoliti
limitava l’orizzonte a differenza dell’ est dove la vista si perdeva senza
ostacoli fino alla Fossa del Monaco che era davanti a loro, a quota 769.
Tutto sembrava calmo, unica presenza alcune capre che vagavano
apparentemente abbandonate sul pianoro. La distesa verde accolse la Terza
Compagnia, che stesa sull‘ erba ancora bagnata di brina riprese fiato dopo
che, assolto il suo compito, rimaneva in attesa che il resto del
Battaglione raggiungesse la cresta. Per sicurezza però il loro comandante,
il Capitano Pegliasco, temendo agguati da parte del nemico, ordinò ai
tirailleurs di dispiegarsi in maniera più adeguata lungo l’intera area
fino all’entrata delle due conche, posizionando prudentemente, celate tra
i cespugli, anche due sezioni di mitragliatrici da 7,6 affiancate sul
contro pendio da alcuni mortai da 60.
Alle ore 11.15 il Comando di Battaglione al completo, sebbene stremato,
raggiunge la quota. Rapidamente fu montata la stazione radio e stabilito
il contatto furono confermate alle Batterie di artiglieria del 69°
Reggimento a Castro dei Volsci le coordinate di tiro che il 26 maggio
all’alba avevano permesso ai cannoni da 75 di scuotere Campo Lupino
preparando così l‘ascesa del Quarto Gtm.
Dopo dieci minuti giunse la Prima Compagnia seguita sulla sommità, dopo un
breve intervallo, anche dalla Seconda. Il Comandante Berteil indicò al
Capitano Estadieu della Prima Compagnia di portarsi a nord della cresta
per procedere così lungo il versante che si affacciava su Ceccano e
Frosinone.
Invece il Capitano Taburet della Seconda Compagnia fu comandato di
allargarsi verso la Fossa del Monaco per dare una mano al Secondo
Battaglione che in forte ritardo via radio aveva comunicato di trovarsi
ancora alla base del pendio, avrebbero potuto raggiungerli solo alle ore
14.00.
Le trasmissione radio furono interrotte bruscamente alle 11.50 quando
vennero uditi alcuni isolati colpi di Mauser . Nemmeno il tempo di capire
da dove provenivano che inaspettata si scatenò una violenta sparatoria, un
nugolo di proiettili attraversò il prato abbattendosi sulle unità francesi
ancora allo scoperto. La Seconda Compagnia che si stava avvicinando per
prendere posizione verso la cortina di rocce che limitava il prato divenne
il bersaglio del tiro delle armi tedesche.
L‘ ordine immediato di mettersi al coperto giunse alle sezioni di testa
della Seconda e Prima Compagnia, ma i tedeschi nascosti chissà dove con
una dozzina di mitragliatrici leggere ed alcune armi individuali stavano
battendo la cresta del monte rendendo impraticabile ogni tipo di difesa su
quel terreno privo di ripari. Qualcuno iniziò a gridare che il nemico era
dietro alcuni avvallamenti più a nord ma in realtà nessuno aveva capito
dove realmente fosse. Le avanguardie della Prima e Seconda Compagnia nel
tentativo di ripararsi andarono a occupare il terreno tenuto dai goumiers,
che, inferociti per essere stati sorpresi così ingenuamente dal fuoco dei
tedeschi,fedeli alla loro tecnica si prepararono ad attuare subito un
rapido contrattacco.
Un tedesco, dal valore di una intera Compagnia, si portò scoprendosi alla
sinistra dei tiralleurs e da quel fianco iniziò a colpirli. Un altro, più
coraggioso del primo, sbucò dal centro del prato sparando almeno due
caricatori del suo mitra P40 contro le due sezioni della Prima Compagnia
del Capitano Estadieu che avevano ripiegato fino a quota 769. La fulminea
azione tedesca aveva colpito soprattutto le avanguardie della Seconda
Compagnia che non poterono far altro che buttarsi a terra cercando un
riparo dove non c‘era. Il Tenente Fraizard della Sezione Mitraglieri fu
tra i primi a cadere mentre il suo comandante, il Capitano Taburet
rimaneva accerchiato dopo aver strisciato pericolosamente con solo quattro
uomini dietro le uniche rocce presenti nella fossa mentre il resto della
sua Compagnia rifluiva sotto il fuoco nemico. La prima timida reazione
giunse da due sezioni isolate della Prima Compagnia che mordendo la terra
iniziarono ad aprire il fuoco completamente allo scoperto con i loro Lebel.
Ogni soldato francese tentava in ogni modo di arginare l’assalto tedesco
salvaguardando il proprio Comando di Battaglione che per la prima volta
dal suo arrivo in Italia si trovava oltre che in primissima linea anche
sotto tiro. Ogni ufficiale, tranne il cappellano, impugnò un arma per
reagire all’imboscata. La Terza Compagnia, in posizione defilata, corse in
aiuto del Colonnello Berteil e dei suoi spaventati ufficiali, con due
sezioni di mitraglieri iniziò a contrastare l’attacco portato frontalmente
dal nemico ed anche i suoi mortai da 60 iniziarono a farsi sentire, anche
se regolare il loro alzo a quella distanza così ravvicinata diventava una
scommessa. Intanto i tedeschi, che dimostravano molto più del loro valore
nonostante fossero un esiguo battaglione avevano occupato la cresta della
Fossa del Monaco.
Era loro precisa intenzione incunearsi in profondità separando cosi
irrimediabilmente gli atterriti francesi dal Secondo Battaglione che
sarebbe giunto a quella quota solo dopo dieci ore. I tiri degli alpini del
Terzo Hochgebirgs estremamente precisi risultarono micidiali per chi
mostrava la testa tra quelle esigue difese. Un rabbioso fuoco di
artiglieria tedesco, dopo la conquista della quota 769, si abbatté inoltre
su alcune unità arretrate francesi composte da indifese salmerie
trasportate da muli che sull’ultimo pendio si erano venuti a trovare allo
scoperto insieme ai loro conduttori. La situazione era divenuta davvero
critica, il nemico agguerrito era arrivato a minacciare i francesi dai due
fianchi, l’intero Battaglione aveva difficoltà ad arretrare intrappolato
come era a quella quota che offriva ben poca profondità di manovra. Nel
frattempo l’Aiutante Maggiore Bernier aveva preso a guidare caparbiamente
i furieri del Plotone Comando mentre l’Ufficiale medico Mornas, senza
sosta,incitava i suoi inesperti infermieri contro il nemico.
Ma prima dell‘ irreparabile il Comandante Berteil, radunati i comandanti
di Compagnia superstiti, cercò di fronteggiare la situazione, al momento
disponeva di una sola Compagnia pressoché completa, la Seconda, ma senza
comandante e ufficiali. La Prima invece, quella del Capitano Estaudieu
aveva un solo Plotone mentre la Terza ancora sottotiro rimaneva isolata
dal nemico.
Inoltre nessun tipo di aiuto immediato era previsto in quanto il Secondo
Battaglione, come sappiamo, era ancora a dieci ore di marcia e l‘appoggio
dell’artiglieria di Castro dei Volsci non era nemmeno da considerare vista
la esigua distanza dal nemico. Comunque, nonostante le evidenti
difficoltà, si doveva obbligatoriamente fermare al più presto la
progressione del nemico.
Per prima cosa, ordinò Berteil, bisognava attivare i mortai per coprire i
fianchi e le spalle del Battaglione e visti gli esiti di questa azione
studiare qualcosa di più efficace per costringere alla definitiva ritirata
i tedeschi.
Fortunatamente il Plotone Mortai del Adjutant Chef Coundray si era venuto
a trovare casualmente vicino al Plotone Mortai del Comando, quello del
Tenente Raoux per cui si poteva sperare su almeno dieci tubi da 81.
Se il nemico gli avrebbe concesso solo qualche minuto per installarli i
due ufficiali avrebbero avuto sicuramente qualcosa da dire. Nel fragore
della battaglia via radio fu interpellato lo Stato Maggiore, rispose il
Capitano Castel, l’ufficiale di collegamento, che venne informato
dell’imboscata tedesca e dell’ intenso fuoco nemico che li inchiodava
impotenti. Il Comando chiese cosa avrebbe potuto fare per loro, la
risposta di Berteil fu decisa „ ….accelerare assolutamente il Secondo
Battaglione verso la Fossa del Monaco!! ……non far intervenire
l’artiglieria, al momento, siamo troppo vicini ai tedeschi!!..... Ma ci
sarebbe di aiuto se venisse colpito il versante nord ……ma soprattutto non
tirate sulla cresta quando noi avremo iniziato il contrattacco!..... Non
sappiamo chi abbiamo di fronte, pressappoco un piccolo battaglione ma
molto agguerrito….. Teniamoci in contatto!.. …“ .
Finite le parole si passò ai fatti, le Compagnie Mortai vennero arretrate
ad un miglio di distanza mentre il loro comandante, il Tenente Raoux, con
estremo coraggio schivando i proiettili tedeschi, con il suo telefono da
campo, si portò a ridosso del nemico. Ricevute le coordinate di tiro gli
ottantuno entrarono in azione costringendo già dai primi tiri il nemico a
proteggersi dietro una cortina di rocce.
Berteil ordinò a questo punto al Capitano Estadieu di prendere il comando
di ciò che rimaneva della Prima e della Seconda Compagnia e, dopo il fuoco
dei mortai, di contrattaccare in direzione della Fossa del Monaco
scongiurando così la minaccia di un attacco tedesco al fianco sinistro, il
più debole. Se l’iniziativa avesse avuto successo la cresta sarebbe dovuta
essere tenuta fino all’arrivo del tanto atteso secondo Battaglione.
Il Capitano Pegliasco della Terza Compagnia invece di slancio, dopo che
Estadieu aveva raggiunto il suo obiettivo, si sarebbe gettato sul nemico
scendendo verso quota 769 in modo da farlo ritirare fino alla base del
pendio eliminando tutti quelli che non avrebbe visto in faccia. I mortai
all’ora H fissata per le 13.30 iniziarono a cantare appoggiando così le
due azioni di contrattacco, quella del Capitano Estadieu della Prima
Compagnia che si sarebbe mosso con i colpi degli ottantuno e la
successiva, quella di Pegiasco che avrebbe atteso l’ordine di Berteil.
Dalla sua rischiosa posizione via radio il Tenente Raoux iniziò ad
indirizzare il tiro della Sezione arretrata di mortai che, con cadenza
rapida, crearono subito non pochi problemi ad un gruppo di tedeschi che
dovette presto sganciarsi ripiegando all’interno del bosco. Solamente a
questo punto Estedieu urlando a squarciagola in berbero „ Zidou l’goudem!!!“,
All‘attacco !!, guidò l‘assalto permettendo cosi ai suoi uomini di
portarsi alla giusta distanza dai mortai, che, aggiustato ancora il tiro,
colpirono il contro pendente facilitando così la loro progressione. Ma
nonostante la pioggia di schegge il nemico li attese irremovibile sparando
contro di loro fino a quando non furono costretti ad abbandonare la
posizione che i tiralleurs occuparono senza colpo ferire. Sembrava tutto
risolto, i preziosi mortai, modificando ulteriormente le distanze,
permisero alla Terza Compagnia di sollevarsi da terra e incitata dal suo
comandante, il Capitano Pegliasco, di attaccare con impeto i tedeschi che
tenevano quota 769 . Il nemico, sorpreso dal secondo contrattacco, lasciò
il passo rifugiandosi dietro il versante nord del monte. I gebirgsjager
che invece non arretrarono e individualmente tentarono di resistere furono
tutti uccisi senza pietà. Pigliasco, fedele agli ordini del suo
comandante, con i suoi uomini continuò ad inseguire il nemico in ritirata.
Intanto i due plotoni superstiti condotti da Estedieu riuscirono
finalmente a raggiungere occupandolo lo sperone nord est di Campo Lupino.
Il resto dei tedeschi invece, correndo precipitosamente, sparì lungo il
versante boscoso abbandonando così ognuna delle loro posizioni. Più tardi
dalla cresta conquistata furono osservate ai piedi del pendio in
formazione sparsa piccole colonne di tedeschi uscire dagli alberi e
allontanarsi verso nord tra le schegge delle granate delle artiglierie
francesi che, ripristinate le distanze di sicurezza, avevano ripreso a
colpire. Una fila di ambulanze tedesche, ferma alla base del Siserno,
iniziò a caricare i corpi dei feriti dirigendosi in fretta e furia,
immediatamente dopo, verso Frosinone. Chi non ce la fece rimase sul
terreno sassoso di quota 791, dalle edelweiss e le piccole spille a forma
di aquila poste sui berretti i francesi capirono che avevano combattuto
contro gli alpini del Terzo Hochgebirgsjager, unità d'elite di montagna,
non indivisionata e altamente specializzata. Sette furono gli alpini
trovati uccisi su Campo Lupino mentre tre di loro furono fatti
prigionieri, i francesi, invece, nel loro rapporto riportarono sei caduti
tra cui il Tenente Fraizard mentre i feriti furono quattordici,tra di loro
il Sergente Maggiore Marcovitch, unico superstite della scomparsa Quarta
Compagnia. I tedeschi inoltre con il loro fuoco di artiglieria contro la
carovana della sussistenza avevano eliminato dieci muli e anticipato la
fine di qualche montone. Al termine del combattimento venne ristabilito il
contatto radio con il Capitano Castel dello Stato Maggiore : „ …..Affare
fatto !!!, il nemico sta ripiegando verso Frosinone ….. tra le nostre
perdite c’e’e il Tenente Fraizard…. vediamo ora il secondo Battaglione, ha
finalmente raggiunto la Fossa del Monaco….. tutta la cresta è presa!!....
di fronte a noi avevamo il Terzo Battaglione Hochgebirgsjager !!...“
Il Primo Battaglione del Sesto Reggimento Tiralleurs Marocchino trascorse
la notte tra il 27 e il 28 in quota così come la giornata successiva
pasteggiando con i montoni e le vacche abbandonate dai pastori
santostefanesi su Campo Lupino. Alcune pattuglie di goumiers perlustrando
il bosco in cerca di qualche gebirgsjager rimasto a tendere imboscate,
capirono quando trovarono i loro bivacchi perfettamente camuffati tra gli
alberi perché durante i pattugliamenti notturni non avevano notato la loro
presenza sul Siserno.
All’interno dei rifugi trovarono numerose reti metalliche e anche qualche
materasso che gli alpini tedeschi avevano requisito dalle case del
Macchione.
I goumiers continuarono la progressione su monte Siserno in direzione di
Giuliano di Roma mentre il resto del Battaglione, posto a riposo, rimase
su Campo Lupino fino al 29 maggio quando venne rilevato dalla Seconda
Divisione Marocchina.
Lo stesso giorno gli uomini del Primo Battaglione del Sesto Reggimento
discesero Siserno per raccogliersi in Piazza Umberto I dove ad attenderli
erano parcheggiati numerosi camion della Quinta Armata americana che li
avrebbero condotti a Bassiano. Solamente dopo la loro partenza si verrà a
conoscenza con sdegno dei crimini che segnarono il loro passaggio.
Il 27 maggio alle ore 08.00 senza nessun motivo apparente furono trucidati
dai goumiers nei pressi di Campo Lupino quattro civili: Rocco Matassa,
Ferdinando Perfilli, Ermenegildo Rossi e un soldato siciliano che stava
tentando di ritornare a a casa, Giuseppe Bellini.
La stessa sera alle ore 21.00, al Macchione, venne uccisa anche Margherita
Molinari di Castro di Volsci che aveva tentato di difendere la figlia
dalla violenza dei francesi. La farà desistere una scarica di mitra.
L’intervento del Capitano medico De Cauvigny de Bloy del Primo Battaglione
del Sesto Reggimento accorso in suo aiuto sarà inutile, la coraggiosa
donna si spegnerà alle ore 05.00 del 28 maggio.
Lo stesso giorno alle ore 12.00, a Campo Lupino, sarà arrestato Lorenzo
Moro, il civile, condotto al campo di concentramento di Vallefratta, verrà
barbaramente fucilato alle ore 14.00.
Nonostante la pericolosa presenza marocchina il giorno dopo, il 29 maggio
di buon ora da Castro dei Volsci il giovane Luigi insieme a due suoi
cugini decise di recarsi a Campo Lupino. Senza un motivo preciso se non
per la curiosità o meglio l‘incoscienza che anima gli adolescenti, i tre
ragazzi giunsero sulla sommità del monte dove si imbatterono
inevitabilmente in alcuni goumiers accampati insieme alle loro cavalcature
sotto alcune querce.
Osservando le povere bestie evidentemente affaticate Luigi che amava i
cavalli pensò quanto potessero aver sofferto inerpicandosi fin lassù lungo
quei sentieri impervi e ciottolosi. Essendo quella ancora zona di guerra
la presenza dei tre ragazzi non fu assolutamente gradita, del resto anche
i tedeschi poco prima dei combattimenti avevano avvisato la popolazione di
non avvicinarsi assolutamente alla linea del fronte. Due giorni prima
l’attraversamento proprio di quei luoghi era costata la vita a quattro
civili italiani che, con l’intento di procurarsi della carne fresca da
alcune pecore dilaniate dai cannoni, furono invece vilmente uccisi dai
colpi di moschetto dei francesi. Al contrario Luigi e suoi cugini furono
più fortunati, consegnati ad un ufficiale furono riaccompagnati da due
soldati fino a valle, ma quando alcuni colpi di Mauser all’improvviso
echeggiarono nella valle la loro destinazione cambiò. Invece di riportarli
a Castro dei Volsci, dopo avergli ordinato di ripararsi accovacciandosi
dietro alcune rocce, i due soldati li costrinsero a seguirli verso Villa
Santo Stefano. Durante la discesa Luigi si accorse dallo sguardo
sospettoso di alcuni goumiers che aveva incontrato lungo il sentiero che
qualcosa in lui non andava. Presto capì che questo era dovuto alla sua
età, circa 16 anni, alla sua capigliatura, bionda, ma soprattutto alle sue
nuove calzature….degli stivali tedeschi!!.
Spaventato Luigi per timore di essere scambiato per un prigioniero
prosegui il percorso urlando a chiunque incontrasse „ Tedeschi kaput!!!
Tedeschi kaput !!! „ il risultato fu immediato, inizio a ricevere pacche
sulle spalle, cioccolata, sorrisi.
Dopo circa due ore i ragazzi e i militari giunsero ai Porcini dove
trovarono una vera e propria città militare. Tutta l’area era stata
occupata infatti da una moltitudine di soldati, automezzi, muli, cavalli e
perfino carri armati.
Dallo sconfinato accampamento i tre ragazzi furono condotti al campo di
raccolta francese di Vallefratta dove trovarono molti altri civili
sorvegliati dai marocchini che però quasi subito, a causa del loro
comportamento ignobile verso la popolazione,vennero sostituiti da soldati
francesi.
Al termine di tre giorni di permanenza coatta Luigi e i cugini poterono
finalmente ritornare a casa. Ma il fato volle che Luigi dovesse ritornare
di nuovo a Campo Lupino,nonostante la brutta esperienza da poco vissuta,
vi giunse seguendo le tracce di una mucca che durante la notte si era
persa tra quei dirupi.
Il giovane affrontò l’arrampicata per quota 791 dal sentiero che si apriva
da San Sossio dove i francesi avevano posto nel frattempo un loro presidio
occupando le case attigue al santuario.
Ma dopo pochi metri Luigi fu fermato di nuovo dai soldati marocchini.
Condotto al Comando il giovane cercò di chiarire la sua situazione ad un
ufficiale che sembrando averlo compreso gli ordinò di tornare il giorno
seguente.
All’ora convenuta Luigi trovò ad attenderlo un soldato francese che
parlava un buon Italiano, lo avrebbe condotto tra le linee francesi in
cerca della sua vacca. Il tirailleur era originario di Mentone e mentre
salivano per la mulattiera confidò al giovane che il compito che gli
avevano assegnato non gli piaceva per niente. Era personalmente inferocito
con tutti gli italiani a causa di uno di loro che nel 1940 durante
l’occupazione militare nel sud della Francia aveva baionettato la madre.
comunque con Luigi rimase gentile, gli offrì addirittura dalla borraccia
un liquore che cortesemente il ragazzo rifiutò. Poco prima di giungere
sulla sommità dietro una macera trovarono i cadaveri di tre soldati
tedeschi già putrebondi, con l’aiuto di alcuni commilitoni per prevenire
possibili infezioni il tiralleur decise di incenerirli sul posto. Dalle
loro cartucciere ghermite dalle fiamme presero a schizzare nell’aria
numerosi colpi impazziti, allora riparandosi dietro delle rocce Luigi, tra
sé , pensò „…chiss’ s’ morrt’ e sparen’ ang‘ra….“.
Finalmente a Campo Lupino all’ombra di alcuni alberi Luigi ritrovò
miracolosamente salva la sua mucca, ma lo sarebbe stato ancora per poco,
era infatti legata nel peggiore dei luoghi, le cucine dei marocchini. Le
richieste del giovane scatenarono una accesa disputa tra i goumiers e la
guida di Mentone che provocandoli con un coltellaccio tagliò la fune che
teneva prigioniero l’animale.
La fuga della povera bestia terminò quando Luigi le fischiò dietro, lo
stridio amico la ricondusse, trotterellando, al legittimo proprietario.
Solo allora i marocchini permisero che il fortunato ragazzo la riportasse
incolume a casa.
L’azione su Campo Lupino del 27 maggio 1944 venne condotta dal :
Primo Battaglione del Sesto Reggimento Tirailleurs Marocchini comandato
dal Chef de Batalion Berteil
Prima Compagnia del Secondo Reggimento Tirailleurs Marocchini comandata
dal Tenente Bayon
Quarto Groupements de Tabors del Marocco comandato dal Tenente Colonnello
Soulard formato da :
XI Tabor del Capitano Pelorjas
diviso nei Goums 88,89 e 93
sono loro che il 25 maggio 1944 a Monte Rotondo vicino Amaseno
cattureranno venticinque soldati tedeschi, mentre il 28 maggio 1944 dopo
la resa di Campo Lupino proseguiranno la loro azione per Punta
dell’Orticello
V Tabor del Capitano Parlage
diviso nei Goums 41,70 e 71 impegnati anche a Giuliano di Roma il 28 e 29
maggio 1944
Il Groupement o Reggimento Marocchino era formato da tre Tabors o
Battaglioni, a sua volta il Tabor era formato da tre Goums o Compagnie.
Per Goum si intende riunione o gruppo formato da ausiliari marocchini
spesso dello stesso nucleo familiare.
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