25 RINASCITA
Il rientro in paese per Guglielmina e la nonna fu doloroso come per la
maggior parte dei loro compaesani. La casa che avevano abbandonato prima
dei cannoneggiamenti era un cumulo di macerie. A peggiorare la situazione
la sua inagibilità che si sarebbe protratta ancora per lungo tempo a causa
di una granata rimasta inesplosa tra le assi devastate del tetto.
Cercando di farsi coraggio Za Flavia, raccolta qualche stoviglia, un
lenzuolo e pochi indumenti, affrontò l'emergenza insieme alla nipote
rifugiandosi dalla generosa amica Ida Calesse che le accolse
amorevolmente.
Quello era il triste epilogo di una serie di eventi tragicamente iniziati
con l’arrivo dei Reatini alla Pietra Cupiccia. Nell'interno della cavità
naturale oltre ai figli di Za Flavia avevano cercato riparo anche molti
altri santostefanesi, sicuramente troppi per l'esiguo spazio della
fenditura. Senza perdersi d'animo però, al riparo dei primi tiri dei
francesi, gli sfollati, grazie a poche ma preziose zappe, in fretta
frantumarono allargandola parte della volta. In quel rifugio, fino a che
fu possibile, vennero fatti rannicchiare ordinatamente prima tutti i
bambini poi le donne ed infine seduti spalle alla spelonca, come uno scudo
naturale, gli uomini. Stretti gli uni agli altri quella povera umanità
attese in silenzio lo svolgersi della battaglia.
Il cannoneggiamento non si fece attendere e i colori del tramonto si
fusero con il fiammeggiare degli incendi, il Monticello stretto dalla
potenza di fuoco francese iniziò a tremare. Polvere, fuoco e schegge
martoriarono gli uliveti mentre lo spavento si impossessò di ogni
rifugiato. I bambini, piangendo nell’oscurità della caverna, sobbalzavano
ad ogni colpo mentre nella prima fila le imprecazioni degli uomini
coprivano le preghiere delle donne. Una granata, arrivata più vicine delle
altre, colpì in pieno la balla di fieno che Sor Costino aveva lasciato
vicino all'albero dove era legato il suo asino.
L'esplosione liberò l’animale di cui rimase solo il ragliare impazzito in
una pioggia di paglia.
In qualche modo anche quella notte passò, la fortuna aveva baciato quei
disperati, nessuno di loro rimase colpito. All'alba, seguendo sentieri
diversi, ognuno cercò di rientrare in paese.
I Reatini, invece, preferirono aspettare il passaggio completo del fronte
minacciato soprattutto dalla presenza delle bande di marocchini che già
dalle prime luci del giorno avevano iniziato a imperversare nelle vicine
contrade.
Con cautela si spostarono tutti insieme verso Amaseno, ma, giunti nei
pressi del paese, incontrarono alcuni contadini che li esortarono ad
allontanarsene ed anche al più presto. Il rischio era grosso, se fermati
infatti i francesi li avrebbero costretti come tutti gli sfollati a
recarsi obbligatoriamente fino alla fine dei combattimenti
all’accampamento di Vallefratta. Solamente dopo tre giorni, trascorsi tra
i boschi di monte delle Fate, attraverso la Macchia la numerosa famiglia
rientrò finalmente a Villa Santo Stefano. La casa di Guglielmina non era
stata l’unica ad essere stata colpita, anche il resto del paese mostrava i
segni della guerra. Il pesante cannoneggiamento del Corpo di Spedizione
Francese durante il pomeriggio e la notte del 27 maggio infatti aveva
causato evidenti devastazioni che coinvolsero la maggior parte delle
abitazioni.
La prima stima redatta dall’esercito americano calcolò l'entità dei danni
pari al 10% delle case, il 30% delle strade e il 100% dei ponti. Rivista
nel 1947 con la verifica n. 28023 del 10 ottobre del Genio Civile di
Frosinone la percentuale si aggravò portando all' 40% la totalità dei
danni subiti.
Tra il 1945 e il 1946 i Geometri Messina, Bartolomei e Mundo capitanati
dall’Ingegnere Ugo del Chicca per conto delle Autorità Prefettizie
svolsero le ultime accurate indagini su ognuna delle abitazione del paese.
Dalle loro perizie, confermate dal Maresciallo Francesco Farano di
Giuliano di Roma, emerse l'immagine di un paese quasi completamente
distrutto. Dalle domande presentate per i risarcimenti, che furono oltre
duecento relazionate dai periti, traspare solo in parte la disperazione
che travolse i nostri avi. “...In via Roma casa Anelli è duramente colpita
dal fuoco delle artiglierie alleate così come la casa di Bonomo Irma in
via San Sebastiano 3, nello stesso stato appare la casa di Genesio Biasini
in via S.Antonio 5 ... Il tetto a canali di Maria Bonomo in via S. Maria
22 è rimasto mitragliato mentre la casa di Marianna Bonomo in via San
Sebastiano ha subito evidenti lesioni a causa dello spostamento d’aria
causato dalle esplosioni... I carabinieri di Giuliano di Roma hanno
inoltre confermato il 90% della distruzione della casa di Cimaroli Alfredo
in via delle Scalette... Convalidano anche la pratica c 373/45 riguardante
i danni riportati al piano superiore della casa di Colini Filotea in via
San Pietro 29... Enormi distruzioni sono state provocate da una granata
all’interno dell’abitazione di Irma de Filippi in via delle Ceneri 6... Il
tetto di Maria Fabi in via San Sebastiano è devastato mentre i vetri
mitragliati...”. Nemmeno la piazza fu risparmiata “...La casa di Virginia
Iorio al civico 17 è pesantemente lesionata a causa di un proiettile di
artiglieria che ha colpito in pieno la casa attigua e parte del Palazzo
Colonna...” Si prosegue “...Una granata colpisce anche la casa di Giuseppe
Planera in via della Rocca 6, danni rilevanti anche per la casa dei
Petrilli in via San Pietro 37...”. Ma l'effetto più evidente si verificò
al palazzo del Marchese dove un incendio, causato da una granata, devastò
le case di Alfonsina Lombardi e Margherita Maiella. Le fiamme, alimentate
dall’esplosione di alcune taniche di benzina, provocarono il crollo dei
pavimenti e lesioni gravi alle pareti. Gli eventi bellici danneggiarono
completamente anche gli edifici pubblici, i primi interventi per il loro
recupero da parte del Genio Civile iniziarono nel 1946 e per la loro
realizzazione venne richiesta al comune di Villa Santo Stefano
l’assunzione obbligatoria degli invalidi di guerra, dei reduci di guerra
1940-43 e della guerra di liberazione nonché i militari e civili reduci
della prigionia o deportati dal nemico. Le imprese responsabili dei lavori
furono quelle di Carmine Malandrucco di Alatri, Vincenzo Aversa di
Giuliano di Roma, Sante Girolami di Frosinone, Pietro Fabrizi di Boville
Ernica, Luigi Gemmiti di Sora e Vincenzo Mancinelli di Esperia.
I lavori di ricostruzione diretti dall’ Ingegnere Capo Ugo del Chicca
riguardarono:
Il ponte delle Mole sul fiume Amaseno a servizio della strada
intercomunale Giuliano di Roma – Villa Santo Stefano. Durante gli
interventi di recupero furono demolite anche le macerie del precedente
ponte nella misura di 200 metri cubi. In una nota del Governo Militare
Alleato apprendiamo che nel dicembre 1944 il ponte risultava essere ancora
interrotto e il suo traffico effettuato a mezzo di una passerella.
La strada intercomunale Giuliano di Roma - Villa Santo Stefano con la
ricostruzione di sedici ponticelli e di due muri di sostegno oltre al suo
totale ripristino.
Ponte Grande dove venne ricostruito il muro di sostegno e ripristinato il
tratto stradale attiguo, nel verbale n.2 del 16.2.1945 il Commissario
Prefettizio Gino Bonomo e il Segretario comunale Antonio Rivera
denunciavano lo stato precario della struttura che a causa degli eventi
bellici aveva riportato gravi danni. “…Premesso che per opera del nemico
tedesco il Ponte Grande di questo comune veniva minato e distrutto durante
la ritirata, che per iniziativa privata, lo stesso ponte veniva riattivato
provvisoriamente con legname di recupero e travi di ferro ma che le
abbondanti piogge cadute in questo periodo invernale lo fecero crollare di
nuovo...” Il 25.5.1945 con perizia n.690 iniziarono i lavori definitivi,
mentre da una relazione sempre del Governo Militare Alleato del dicembre
1944 il suo traffico risultava ancora interrotto.
Il tratto della strada interna nel centro abitato con ripristino del
sistema fognario e della pavimentazione stradale, oltre alla ripresa e
sistemazione dell’approvvigionamento idrico. Non essendoci ancora un
acquedotto, venne richiesto un prolungamento al Genio Civile con allaccio
al “Consorzio Capofiume” in modo da avere acqua diretta soprattutto perché
le fontane continuavano a rimanere danneggiate.
La strada comunale Perasacco - Madonna della Stella – Colli - Madonna
dello Spirito Santo.
La Casa Comunale dove, invece, fu richiesto un intervento speciale
affidato alla ditta “Labor” di Frosinone, il Commissario prefettizio Gino
Bonomo e il ragioniere segretario comunale Marcello D’oro nel verbale 111
del 26.3.1945 avevano denunciato anche notevoli danni all’Archivio
Comunale oltre al furto dell’unica macchina da scrivere. Il 6.2.1955
invece nel verbale 12 Baldassare Panfili richiedeva la costruzione dei
mobili per l’Ufficio Comunale che ne era completamente sprovvisto in
seguito alla distruzione per gli eventi bellici, il 3.4.1955 nel verbale
n.18 lo stesso Panfili riportava anche gli evidenti danni al Comune stesso
occupato da truppe di transito, ordinando inoltre alla ditta Serpone di
Napoli due bandiere tricolori 100 x 150 asportate dagli stessi francesi
oltre a due sciarpe di nastro blu con scritto “Scuole elementari Villa
Santo Stefano” e “Comune di Villa Santo Stefano” unitamente ad un asta di
ottone nichelato divisibile in due parti. In realtà oltre all'azione delle
milizie pochi giorni dopo la liberazione del paese una folla gioiosa si
era recata alla Casa del Fascio devastandolo ulteriormente. L’archivio
invece o meglio numerosi dei suoi faldoni, presi a caso, furono bruciati
in piazza in un enorme falò liberatorio mentre l’imponente fascio littorio
sulla torre civica veniva preso a picconate.
Gli interventi per la ricostruzione continuarono per:
La Chiesa di San Sebastiano con annessa casa canonica.
Il Cimitero Comunale con il ripristino dei muri, gli intonaci e i
pavimenti della cappella, dell’ossario e degli altri due vani adibiti a
sala autopsia e sala del custode oltre ai tetti stessi.
La Scuola Elementare con la ricostruzione dei banchi e delle cattedre,
furono commissionati 51 banchi piccoli, 51 banchi medi e 9 cattedre,
l’edificio scolastico però fino al 1947 risulterà ancora inagibile a causa
della sua totale distruzione. Fino al suo completo ripristino le lezioni
verranno tenute in abitazioni private e i pochi banchi esistenti saranno
quelli fatti costruire dalle famiglie degli scolari per evitare che i
bambini continuassero a sedere in circolo sul pavimento per seguire le
lezioni. Anche ogni altro suppellettile scolastico sarebbe rimasto
assente, in mancanza delle lavagne i maestri furono costretti a scrivere
sulle pareti.
La Scuola Materna denominata Asilo Infantile Cardinale Iorio, per il
ripristino dell’arredamento della stessa furono commissionati 50 banchi
piccoli, 50 banchi medi, 2 tavoli di faggio. A tre anni dalla fine del
conflitto tutti i vetri delle finestre risultavano essere ancora rotti per
i danni della guerra con grave discapito per i bambini specialmente
l’inverno.
Le Case Nuove, il 22.12.1945 il Commissario Prefettizio Gino Bonomo nel
verbale 2378 denunciava lo stato del loro abbandono. L’11.6.1947 giunge a
Villa Santo Stefano il Prefetto Zanframunno per un’ispezione sui danni
arrecati dal passaggio del fronte, dalle sue stesse parole apprendiamo che
“…Gli edifici appaiono tutti completamente distrutti, un tetto è sfondato
in un l’altro c’è un foro da colpo di cannone...”. Il 18.6.1949 il Sindaco
Ermenegildo Perlini richiedeva un intervento straordinario del Genio
Civile per questi edifici cosi come fece il Commissario prefettizio Gino
Bonomo nel verbale n.2378 del 22.12.1953. Il 23.7.1953 il Sindaco
Baldassarre Panfili invia alla Prefettura di Frosinone la pratica 1542
riguardante lo stato ancora precario della struttura ”…Case Nuove che
vennero requisite da truppe tedesche operanti in zona…”.
La devastazioni del paese impressionarono anche Don Amasio che appena
tornato in paese, si preoccupò di recuperare per prima cosa la statua di
San Rocco. Grazie agli stessi parrocchiani che lo avevano aiutato a
nasconderlo la rimise, fortunatamente incolume, al suo posto protetto di
nuovo dalle volte della Chiesa di Maria Assunta in Cielo. Evitate le
granate il Santo Patrono corse però un pericolo maggiore proprio quando
sembrava tutto passato.
Alcuni marocchini entrando, non certo per devozione in chiesa erano
rimasti attratti dalla bellezza della statua del pellegrino di Montpellier
e senza pensarci due volte avevano deciso di trafugarla. Ma mentre si
stava commettendo il misfatto alcune brave commari avvisarono Don Amasio
che trafelato mosse a difesa del Santo. L'arciprete con il suo buon
francese cercò da subito di dissuadere dalla maldestra impresa i soldati
nordafricani avviando lunghe e delicate trattative che compresero anche
l'assurda ipotesi dei goumiers della sola asportazione della testa del
Patrono in cambio di un corrispettivo dello stesso peso in oro. Alla fine
la diplomazia del parroco e soprattutto numerosi corredi in lino finemente
lavorati fecero desistere i liberatori dal loro sacrilego proposito. Le
lenzuola erano tra gli oggetti più ricercati dalle truppe di colore a tal
punto che parecchie famiglie del paese per preservare quel lavoro di anni
che aveva coinvolto generazioni di donne intente al ricamo le murarono
addirittura all'interno delle loro case. Questi preziosi manufatti
dell’artigianato ciociaro oltre a rappresentare un degno regalo per le
loro donne rimaste sole tra i monti dell’Atlas avrebbero consacrato la
sepoltura dei commilitoni uccisi in battaglia che secondo le loro usanze
dovevano essere avvolti in un bianco lenzuolo simbolo di purezza. Forse
l'unico efficace provvedimento applicato dal comando francese contro le
sue truppe dopo che avevano seminato il terrore nella valle dell’Amaseno
fu proprio la requisizione di questi corredi.
Ma nessuno dei pregiati tessuti radunati nel campo francese di Amaseno
tornò ai legittimi proprietari, fu inviato invece come dono alle
infermerie gaulliste delle retroguardie. Ma il fatto più grave in quei
giorni avvenne in località Le Strette dove un gruppo di marocchini si
accanì contro Angelo Bonomo che stava rientrando in paese dalle campagne.
I soldati francesi senza alcun motivo gli si posero davanti impedendogli
il passaggio poi con la minaccia delle armi lo obbligarono a scavarsi la
fossa.
Non soddisfatti, mostrando la loro furia animale, uno alla volta
iniziarono poi a picchiarlo fino a quando svenuto il coraggioso Angelo
venne abbandonato nella buca. Esanime fu trasportato a braccia fino alla
sua abitazione, le Case Nuove, dove era rientrato da pochissimi giorni
insieme alla moglie Elvira e i figli.
Alcuni ufficiali francesi venuti a conoscenza del fatto si recarono al suo
capezzale dove praticarono al pover'uomo immediate cure mediche mentre la
famiglia riceveva, come inutile compenso a quella follia numerose razioni
militari. Purtroppo le inspiegabili percosse portarono il 6 giugno Augusto
alla morte.
Nel luogo dell'agguato il giorno dopo per vendicare il Bonomo un suo
compaesano lancerà una bomba a mano tra un gruppo di marocchini, uno di
loro rimarrà ucciso, gli altri, invece, feriti gravemente.
Dell’indagine sicuramente poco approfondita sulla morte di Angelo si
occupò anche il Capitano S.B. Waugh, uno degli ufficiali seduti sugli
scranni della Chiesa di Maria Assunta in Cielo durante la celebrazione
della messa da parte di Padre Bacon, proveniente da Amaseno l'ufficiale
era giunto in paese con due Jeep ed alcuni uomini di scorta alcuni giorni
prima.
Come rappresentante del Governo Militare Alleato era a Villa Santo Stefano
per ristabilire le regole della democrazia disperse dai venti della
battaglia.
Il suo primo intervento fu l’affissione in piazza e al Macchione
dell’avviso numero uno a firma del Tenente Colonnello Noel Mason
Macfarlane, commissario Capo della Commissione Alleata di Controllo.
Il decreto stabiliva l’immediata consegna di armi, munizioni e apparecchi
radiotrasmittenti presso gli uffici della Regia Questura o dei Reali
Carabinieri unitamente a tutti i materiali bellici intesi come qualsiasi
tipo di equipaggiamento abbandonato dai tedeschi. I trasgressori
concludeva il comunicato sarebbero stati puniti con la pena di morte o la
reclusione. Al termine della sua permanenza in paese dopo aver ispezionato
luoghi e interrogato testimoni il capitano alleato con la sua relazione
del 31 maggio 1944 ci fornisce una nitida immagine delle reali condizioni
di vita a Villa Santo Stefano dopo il passaggio del fronte:
“La popolazione si compone di 2000 persone, mentre i rifugiati sono 300.
Il podestà Luigi Bonomo è stato eletto nel 1939 così come il segretario
comunale Tommaso Cardello. Riserve d’acqua sono presenti grazie alle
numerosi fonti anche se quella corrente al momento manca a causa del
generatore danneggiato dell’impianto di Vado Cusano nel comune di
Priverno. Il parroco è Don Amasio Bonomi mentre il Maresciallo dei
Carabinieri in carica è Angelo Bisagni, al momento sfollato in Lombardia,
dei cinque carabinieri in servizio ne sono presenti solo due. Il medico è
Vito Giannetta che in questi giorni sta curando sei civili feriti mentre
sei sono anche i morti. E’ presente una Guardia Municipale, la Casa del
Fascio è distrutta mentre l’Ufficio Postale è in buone condizioni, nelle
casse municipali sono presenti tra le 15000 e le 20000 lire, anche il
Municipio fornito di tre camere è in buono stato. Sono stati esposti i
bandi della proclamazione di liberazione unitamente al proclama n.1, lo
stato d’ordine in paese è buono. C’è assenza di grano, carne e altre
provvigioni e la popolazione necessita al più presto di forniture
alimentari. Le principali attività del paese sono la produzione dell’olio,
latte e pascolo. Due sono le mole attive, una da acqua ed una elettrica,
ma la momento sono entrambi non funzionanti per carenza di energia. Il
numero della popolazione è rimasto lo stesso, il podestà e il segretario
sono presenti in paese. Per le razioni alimentari sono state previste
circa 1800 unità giornaliere, due copie della proclamazione sono state
lasciate per la frazione Macchione.
Valle San Stefano (scritto così), 31 maggio 1944.”.
Il Capitano Waugh non fu l’unico ufficiale del Governo Militare Alleato
presente nella valle liberata dell’Amaseno, con il suo stesso incarico il
Capitano Murray Richards il 28 maggio si trovava a Castro dei Volsci, ecco
come la descrive: “La popolazione è di 5000 unità, 2000 è invece il numero
dei rifugiati, la città è leggermente danneggiata con problemi idrici e di
corrente elettrica. Le condizioni alimentari sono pessime, abbiamo
consegnato 80 quintali di farina anche se il reale fabbisogno è compreso
in 130 quintali. Gli edifici colpiti sono 162 comprese le chiese.”
Il 28.6.1944 completerà l'ispezione il collega, Maggiore L. A. Stoner che
interrogherà tra gli altri anche tre sacerdoti: Padre Polidori, Don Biondi
e Don Angeloni.” ...La popolazione di 5759 persone come da ultimo
censimento è stimata al momento in 4000 unità, il paese ha subito il 35%
dei danni. Sono ancora presenti i problemi per l’acqua e luce. Notevole
presenza di esplosivi e mine nel territorio circostante. Oltre ai
Carabinieri sono presenti tre Guardie Municipali mentre 50 rimangono i
rifugiati, esiste una buona infermeria con la capacità di 14 letti dove
attualmente sono ricoverati tre civili feriti curati dal dott. Giovanni
Stirpe...”.
Il maggiore L. A. Stoner ispezionerà il 1 agosto 1944 anche Giuliano di
Roma dove intervisterà quattro sacerdoti di cui non fornirà le generalità,
anche se sicuramente oltre Don Orlando Titi uno di loro non può essere
altri che Don Alvaro.“...Dall’ultimo censimento la popolazione è compresa
nelle 2800 unità ma al momento sono immaginabili 3000 persone. Continuano
i problemi di acqua e luce, mentre i danni vengono stimati per il 20%, è
presente un Maresciallo e cinque Carabinieri. Questi gli animali censiti:
25 cavalli, 8 muli, 12 asini, 25 mucche, 200 pecore. Il giorno 8 agosto è
stato nominato sindaco Alceo Anticoli...”.
Ad Amaseno la situazione non era diversa lo stesso Capitano Waugh ce ne
fornisce una descrizione prima di giungere a Villa Santo Stefano: ”...Al
31 maggio il 50% del paese ha subito danni, la stazione elettrica è
completamente distrutta, sette sono i civili feriti mentre 1000 gli
abitanti presenti anche se molti stanno rientrando dalle montagne.
Interrogato Padre Amedeo Corsi, il Maresciallo Biondi e i medici Francesco
Nardoni e Silvio de Luca...“. Completerà il quadro il Maggiore Louis A.
Stoner il 2 agosto 1944: “...La popolazione è di 4400 unità mentre quattro
sono le famiglie ancora rifugiate. Presenti ancora i problemi legati ad
luce ed acqua che necessita essere aspirata fino in in paese, il morale
della gente è buono anche se si sono verificati 15 casi di malaria con
possibile aumento oltre a due casi di tifo, c’è bisogno di medicine...”.
Ai primi di giugno i francesi erano ancora presenti ad Amaseno e,
nonostante il loro deprecabile comportamento iniziale, non mostravano
ancora quella umanità che un esercito amico avrebbe dovuto manifestare. Il
quattro giugno senza nessuna ragione veniva arrestato dalla polizia
francese Temistocle Bianchi di anni cinquantasette condotto poi in manette
in luogo sconosciuto, forse il Carcere militare di Sezze. Per giorni i
familiari non ebbero sue notizie, disperati allora incaricarono come loro
rappresentante l’Avvocato Luigi Sindici di Ceccano che presentò senza
risultati proteste ufficiali alle autorità del Corpo di Spedizione
Francese. Nel frattempo come osservato anche dagli ufficiali americani gli
sfollati stavano lentamente ritornando alle loro abitazioni o in quello
che vi rimaneva.
Il 7 agosto a Villa Santo Stefano ne erano rimasti circa 100 unità, ad
Amaseno 250 e oltre ai 200 di Castro dei Volsci infine i 35 di Giuliano di
Roma.
La presenza dei primi americani in paese alimentò le speranze di più di un
santostefanese come per i cugini Alfiero e Renato Tambucci che chiesero al
Capitano Waugh una scorta armata per potersi recare al Macchione dove
alcuni loro averi erano stati depredati dai soldati marocchini ancora
presenti nell’area. Il 29 maggio di buon ora insieme a Don Augusto
Lombardi e Gino Bonomo e la vigile protezione di alcuni soldati dell'U. S.
Army i Tambucci affrontarono l’ascesa fino al podere di Giacinto Massaroni
in localita Cercito agli Acquaroni che ai tempi era un piccolo gruppo di
case della contrada Macchione. Il buon fattore raccontò ai due cugini di
essere stato costretto sotto il tiro delle armi a consegnare ai goumiers
diciotto pecore e numerosi averi nascosti in alcuni bauli all’interno
della sua abitazione. Erano questi i beni che i cugini gli avevano
affidato per proteggerli dopo il bombardamento di Giuliano di Roma che
costò la vita a sette loro congiunti, i Felici. Alfiero e Renato invece la
sera in cui fu commesso il furto, quella del 27 maggio avevano preferito
rifugiarsi insieme alla loro famiglia in contrada Ferrari al riparo di un
piccolo casolare. Tra gli oggetti di valore trafugati da quegli sciacalli
anche un orologio per non vedenti proprietà di Zi’ Marcuccio!
Mentre i Tambucci stavano verificando l'entità dei danni vennero
avvicinati dagli ennesimi marocchini che pretendevano di rubare anche quel
poco rimasto.
Il loro scellerato tentativo fu evitato dall’intervento degli americani,
tra i due alleati nacque un acceso litigio di cui fu testimone anche il
Capitano Domenico Millotti ancora ospite delle generose genti del
Macchione.
Non solo i Tambucci rimasero vittime delle ruberie delle truppe francesi,
ma anche molti altri paesani subirono le stesse identiche privazioni tanto
che nei loro confronti lo Stato Maggiore del Corpo di Spedizione Francese
fu costretto ad istituire un apposito servizio per le riparazioni presso
il loro Comando Militare a Palazzo Farnese, nella capitale. Le denunce per
i risarcimenti dovevano essere compilate su appositi moduli bilingue che
dalle calligrafie riconducevano quasi sempre a due unici autori, Ilio
Petrilli e Antonio Felici a cui molti compaesani si rivolsero per la
presentazione di quegli incomprensibili stampati.
Senza alcuna pretesa, appoggiati ad un muro o seduti su uno scalino, i due
amici riempirono la maggior parte di quelle domande che chiaramente
rimasero inevase. Dalle denunce presentate è possibile constatare
l’ampiezza del fenomeno che comprendeva oltre all’asportazione di oggetti
di valore come orologi, oro e denaro anche il trafugamento di cose tra le
più disparate come casseruole, tavoli, comò, interi letti oltre a macchine
da cucire, vestiti o coperte. Molti presentarono domanda anche per i danni
arrecati dai cavalli delle truppe marocchine ai campi coltivati a grano,
fagioli o granoturco che non avrebbero dato nessun raccolto. Molte di
queste richieste riguardarono i Porcini dove parecchi mezzi cingolati o
autotrainati avevano compromesso interi messi.
Tra i danni reclamati anche la capanna incendiata di Augusto Palladini in
contrada Adrenta.
Ad aver subito la prepotenza dei liberatori anche Antonio Iannone,
ventiseinne di Patronà in Sicilia, abitante in via Giordano Bruno 64 a
Frosinone, rifugiatosi a Villa Santo Stefano dall'11 novembre 1943 fino al
29 agosto 1944 insieme al figlio Luigi e alla moglie Aurelia Mazzetta
perché renitente alla leva. Sotto la minaccia delle armi fu privato di
quel poco che era riuscìto a portare dal capoluogo comprese due casse di
utensili da officina necessari per proseguire a fine conflitto, in via
Napoli 38 la sua attività di meccanico.
Lo sfollato era ospite di Luigi Bonomo di cui occupava una casa colonica
in località Piagge.
Anche Pietro Stefano Toppetta subisce pesanti perdite, due ettari del suo
terreno distrutti dai cavalli delle truppe di colore. Dal mancato raccolto
avrebbe ricavato almeno nove quintali di grano oltre a 20 quintali di
foraggio. Anche la sua cantina risultò saccheggiata, i marocchini la
priveranno infatti di 150 litri di vino oltre a 50 di olio. Identici danni
anche per Giovanni Massaroni al Macchione che subirà anche il furto del
bestiame.
Che i preziosi corredi finemente ricamati erano tra le cose più ambite
dagli alleati dal cuore arido era risaputo, ma pensare che addirittura gli
ingombranti strumenti per la loro tessitura risultarono tra gli oggetti
trafugati sembra impossibile. Eppure è questa la dettagliata denuncia che
fece Iorio Filomena insieme alla madre Giacinta Tucciarelli di Amaseno.
Entrambe artigiane tessili furono private infatti, oltre che del pesante
telaio, anche di quattro subbie per il sostegno della tela, 10 pettini per
la tessitura, 100 kg di filato e 120 metri di tela.
Moltissimi chiaramente furono anche gli asini, le mucche, i maiali e le
pecore che seguirono controvoglia gli uomini del Contingente Francese.
Ma le violenze subite dalle donne di Villa Santo Stefano furono tra gli
atti peggiori compiuti contro la popolazione da quelli che sarebbero
dovuti essere i messaggeri della libertà e nessuna ricompensa sarebbe
bastata a cancellarli. Questi episodi per molte di loro sono continuo
motivo di sofferenza per cui ancora oggi di difficile analisi. Gli stupri,
ripetuti e bestiali, si protrassero per ben cinque giorni dal 27 al 31
maggio 1944 colpendo sia le giovinette che le donne anziane. Quello che
patirono queste martiri non terminò con l’orrore subito ma continuò anche
successivamente attraverso lo scellerato percorso processuale per un mai
equo risarcimento trascinatosi oltretutto inutilmente fino ai primi anni
settanta.
Più che le cifre come ultimamente si è usato fare nel descrivere questa
orribile vicenda vorrei far parlare i documenti, almeno quelli che
nonostante l'ipocrita censura delle autorità francese è stato possibile
consultare.
Il 3 giugno 1944 dalle tende del Comando di un Battaglione di artiglieria
di campagna americano accampato nel terreno di Giuseppe Rauzzina a Patrica
il Maggiore Hugh, matricola 0348385, denuncia apertamente al suo superiore
il Tenente Colonnello Howard il ripetuto manifestarsi di vergognose
violenze contro le donne del paese. Il 17 giugno il Colonnello Howard
riporta la richiesta direttamente al Maggiore Fraschetti, comandante della
Legione Territoriale dei carabinieri del Lazio a Fiuggi che aveva già
compilato di sua iniziativa una dettagliata relazione sugli episodi di
violenza nella provincia.
Howard informa inoltre il Fraschetti che dal rapporto di numerosi suoi
ufficiali in molti paesi della Ciociaria a causa dell'inciviltà dei
francesi cominci ad emergere preoccupante oltre alla condanna per i
liberatori anche il rimpianto per i tedeschi capaci di maggior rispetto
verso le donne, paragone inaccettabile per le truppe alleate presenti sul
territorio da sole poche settimane.
Il 31 agosto il Tenente Colonnello Bonham Carter dell’Ufficio Esecutivo
alle Province del Lazio allertato dell'imbarazzante problema si domanda
quali possano essere gli interventi che gli americani possano promuovere
per contrastare questa vergogna che ha colpito soprattutto i comuni di
Giuliano di Roma e le aree circostanti. Il 2 settembre gli risponde il
Tenente Colonnello Thornill riferendo che dopo le accurate indagini da lui
promosse le cose iniziavano lentamente a migliorare come a Castro dei
Volsci dove era stato approntato da medici militari americani un
dispensario per le donne violentate nella valle dell'Amaseno. Thornill
promette anche che presto saranno inviate nelle zone colpite dalle
violenze speciali unità mobili della Croce Rossa che forniranno ai medici
locali degli armadi farmaceutici forniti di medicinali di primo soccorso.
La carenza di farmaceutici fu particolarmente sentita anche a Villa Santo
Stefano dove tale disagio si protrasse fino alla fine del 1947 quando
finalmente la farmacia della Dottoressa Bolognini fu riaperta dopo essere
rimasta chiusa per anni a causa dei danni subiti durante l’occupazione
tedesca e il successivo passaggio dei francesi. Le informative del Governo
Militare Alleato riportate risalgono a mesi dopo gli avvenuti misfatti
invece il 24 maggio, in quelli che potremmo definire tempi non sospetti,
in una circolare la n.prot. G dis. 5684/cef/i, lo stesso Generale Juin,
Comandante in capo delle truppe francesi, cosciente della gravità dei
fatti, riferisce in prima persona ai suoi comandanti:”...Bisogna al più
presto prendere necessari provvedimenti per porre termine agli atti che
vanno a detrimento della morale e della dignità del vincitore (i francesi
)… numerose sono le lamentele giunte fino a noi dagli alleati, anche se,
(è questa ammissione è gravissima) comunque forti possono essere i nostri
risentimenti nei riguardi di una nazione che odiosamente tradì la
Francia...”.
A questa dichiarazione ne seguirà un’altra, quella del 27 maggio 1944 n.
Prot. 5911/cef/i: “…E’ necessario dare l’esempio punendo senza pietà
questi violentatori che hanno creato indignazione nei circoli alleati,
atti sfortunatamente veri che rischiano di macchiare il magnifico successo
del Corpo di Spedizione Francese...”, non per ultimo l’oggetto di questa
informativa palesemente chiaro: “Maltrattamento alla popolazione civile”.
Nell’ottobre del 1944 la Dottoressa Maria Teresa Viotti nella sua
relazione “Sopralluoghi nei comuni percorsi dai marocchini” per conto
della Prefettura di Frosinone riporterà con sensibilità e dolore un lungo
elenco di casi di violenza interrogando anche quattro vittime di Villa
Santo Stefano.
Il medico nella sua indagine elogerà l’oscuro lavoro delle ostetriche
locali come la Levatrice Belli Loreta che con la loro umanità, unita ad
una non comune professionalità, furono le uniche a rompere il muro di
vergogna e diffidenza che accompagnò queste sventurate.
Mentre alla fine di maggio nelle campagne di Villa Santo Stefano i reparti
coloniali francesi si accanivano ancora contro la popolazione altre unità
dello stesso contingente si accamparono nel vasto prato all’interno della
Macchia.
Si trattava di unità di sanità e sussistenza facenti capo agli Hopital 401
e 422 che dopo aver lasciato Vallecorsa il giorno 24 maggio avevano
raggiunto Amaseno ed ora il 30 maggio con le loro tende e le pesanti
cucine da campo erano già attive a Villa Santo Stefano. Oltre ai due
ospedali militari erano operanti nella stessa area anche un servizio di
autoambulanze, la Compagnia 531, che da Lenola era arrivata ad Amaseno
seguendo la route 639 e una Sezione panettieri o de Boulangerie, la 352,
composta esclusivamente da soldati algerini.
Ma nonostante lo sforzo dei francesi ancora pochi santostefanesi osavano
avvicinarsi alle due strutture mediche tantomeno avvalersi dei servigi dei
loro medici, era ancora troppa la diffidenza verso quell’esercito.
Qualche approccio si ebbe invece con gli algerini o meglio con il loro
candido pane caldo ed anche con alcune delle gentili conduttrici delle
autoambulanze, che molti bambini ricorderanno per il loro sorriso e per il
curioso Paperino impresso sugli sportelli dei loro automezzi. Il primo di
giugno viene nominato sindaco dal Governo Militare Alleato Vito Giannetta
che rimarrà in carica fino al 15 agosto quando il suo incarico verrà
affidato a Don Augusto Lombardi.
Alla metà del mese invece il paese ospiterà un nuovo ufficiale americano,
il Capitano Willis E. Pratt responsabile dell’Education Division,
organismo da poco instituito con l’intento di riattivare il sistema
scolastico nella provincia di Frosinone. Per coadiuvarlo nel suo ministero
grazie alle specifiche competenze negli stessi giorni erano stati nominati
dallo stesso ufficiale americano Provveditore agli Studi il Professor
Felice Greco mentre Salvatore Talia, suo stretto collaboratore, ricoprirà
il ruolo di Ispettore Scolastico. Dal 12 al 19 giugno Pratt e Talia
visitarono le aree di Giuliano di Roma, Villa Santo Stefano e Amaseno, la
situazione scolastica in paese è ben rappresentata dalle osservazioni
dello stesso Pratt : ”…A Villa Santo Stefano tutto il materiale scolastico
è stato trafugato da entrambi gli eserciti ma un energico giovane sindaco,
cittadino americano, sta attivandosi per rinnovare le Scuole Elementari
per il giorno 26 giugno, data prefissata per l’apertura dell’Anno
Scolastico. Direttore didattico è stata nominata la Maestra Giovanna
Criscione mentre libri di testo e quaderni sono stati consegnati in ogni
comune visitato…” .
La macchina amministrativa cominciava a riprendere forza, gli unici a
rammaricarsene furono i bambini del paese che presto sarebbero tornati sui
banchi di scuola.
Anche sul piano della sicurezza interna si stavano facendo importanti
passi avanti, il 7 luglio il Tenente Colonnello JB Thornill, Commissario
Provinciale del Governo Militare Alleato della Provincia di Frosinone con
un comunicato affisso in piazza e al Macchione invitava il sindaco a non
utilizzare come guardie municipali i membri della resistenza o presunti
tali che spesso come accaduto in altri comuni imponevano la loro volontà
munendosi di fasce di riconoscimento fittizie legate al braccio.
L’unica fascia autorizzata era quella che riportava la scritta: Civil
Police. Si ribadiva inoltre che la sola autorità suprema nella provincia
era il Governo Militare Alleato che doveva essere riconosciuto da tutti
come tale.
La fascia menzionata, quella della Polizia Civile, fu consegnata dal
sindaco Giannetta il 11.8.1944 alla Guardia Municipale Antonio Palombo fu
Giovanbattista e Colini Maria Angela nato il 18.3.1907 e residente in via
delle Ceneri 3.
La comunicazione del suo arruolamento venne inoltrata per conoscenza anche
al Maggiore Comandante Edoardo Fraschetti a Fiuggi. Nel luglio dello
stesso anno ritornarono nei comuni della vallata anche i Reali
Carabinieri.
Ad Amaseno saranno cinque agli ordini del Maresciallo Biondi, anche a
Castro dei Volsci i Carabinieri comandati saranno altrettanti e il loro
responsabile sarà il Maresciallo Saracino. A Villa Santo Stefano invece
con sede a Giuliano di Roma, il Comandante di Stazione sarà il Maresciallo
Farano che si avvarrà di cinque carabinieri divisi secondo le esigenze tra
i due paesi.
Il 14 luglio sarà ripristinato anche il servizio automobilistico postale
affidato di nuovo ai fratelli Palombo che per l’occasione oltre a
riportare in auge la vecchia corriera rispolverarono anche ”la Iattuccia”,
la scattante Alfa Romeo rossa di Angelino, tenuta nascosta per quasi un
anno per paura che fosse requisita dai tedeschi. Oltre ai Palombo e alla
”Zazà” venne autorizzato alla circolazione, per gli spostamenti rapidi con
il capoluogo, anche Alfredo Anticoli in sella alla sua moto Guzzi targata
Frosinone 1095.
Il 24 luglio la Commissione Alleata del Distretto numero uno e il
Dodicesimo Air Force tramite comunicato esposto in paese rivolsero un
appello alla popolazione per la ricerca di piloti appartenenti
all’aviazione degli Stati Uniti dispersi o tumulati in segreto in quelle
zone. Si informava inoltre che a tutti coloro avevano assistito
prigionieri alleati evasi o piloti abbattuti sarebbe stato consegnato un
premio in denaro oltre ad un attestato di gratitudine. I riconoscimenti
almeno a Villa Santo Stefano non vennero mai ricevuti così come le
ricompense che sicuramente avrebbero meritato più di una persona per
l’aiuto offerto ad O’Brien. Invece il 9 giugno grazie alle informazioni
fornite dal sindaco Giannetta venne riesumato dal cimitero comunale il
corpo di Everitt, poi definitivamente tumulato a Nettuno.
Il 21 luglio dopo quasi due mesi di presenza alleata il maggiore Louis A.
Stoner stilerà il suo ultimo rapporto su Villa Santo Stefano: “La
popolazione censita è di 1800 persone anche se ne stimiamo 2120. il
sindaco è il dottore in medicina Vito Giannetta di anni 37, cittadino
americano, il segretario comunale è Tommaso Cardillo di anni 39. I
sacerdoti presenti sono Bonomi Amasio e Lombardi Augusto, l’archivio
comunale è salvo, sono presenti documenti fino al 1930. Le condizioni di
approvvigionamento idrico rimangono cattive, manca l'energia, danneggiate
rimangono il 10% delle case, il 30% delle strade e i ponti al 100%. L’8
giugno nei posti frequentati è stato esposto il bando di proclamazione
della liberazione. Le armi e le munizioni sono state consegnate ai
carabinieri, assenza nel territorio di mine. L’ufficio postale è aperto,
il contante necessario per il prossimo mese è di lire 20.000, è stato
ripristinato inoltre il sistema fiscale. I carabinieri provengono da
Giuliano di Roma dove risiedono nella locale stazione con relativa
prigione, sono rifugiate ancora 100 persone.
La salute della popolazione è buona, si richiedono medicine soprattutto
disinfettante allo zolfo e polvere per i pidocchi, il sistema fognario non
è buono. Gli alimenti necessari per i prossimi dieci giorni richiedono 32
quintali di farina e 7 di zucchero oltre 4 quintali di sale, si
raccomandano 3 scatole di sapone e biscotti per i bambini. Le mole
operanti sono una ad acqua e una a motore, sono ripresi i lavori agricoli.
Animali presenti: 1 cavallo, 25 asini, 10 mucche e 200 pecore.
Organizzazioni fasciste presenti in paese nessuna, le due fontane
dell’acqua non sono operanti, si richiedono anche disinfettanti e alcool
perché si sono verificati nel frattempo alcuni casi di malaria. Il sindaco
successivo sarà Lombardi Augusto, un prete cattolico”.
Il 4 agosto per incentivare il lavoro dei segretari e del personale
comunale con l’ordine regionale numero due il Governo Militare Alleato
concederà un miglioramento economico per il personale degli enti pubblici
a decorrere dal giugno 1944. Il 20 agosto inizia la rimozione dei numerosi
esplosivi presenti nel territorio. Il pericoloso materiale è presente
soprattutto ai Porcini con molti proiettili da settantacinque ed anche
verso Nazzano.
Ad Amaseno in zona Bocca d’Oca giace una bomba di aereo ancora inesplosa,
nello stesso comune esplosivi sono presenti a Montano Principe, Vettia e
Lugana. A Villa Santo Stefano la situazione non è diversa, vengono
consegnati ai carabinieri: 7 fucili Mauser, un mortaio da quarantacinque,
3 fucili mitragliatori, una mitragliatrice, 1000 metri di miccia, 4 casse
di dinamite, gelatina e numerose Tellermine quasi tutte rinvenute alla
Pezza. A questa Santabarbara si sarebbero aggiunti in seguito quattro
quintali di munizioni varie oltre al materiale esplosivo di artiglieria
che venne trovato vicino le Case Nuove.
Gli americani per primi bonificheranno le aree più esposte poi il
pericoloso compito verrà affidato alla Cooperativa “l’Audacia” di Fiuggi,
mentre dal 29 gennaio 1945 la ditta S.A.C.O. di via Simeto 4 in Roma si
occuperà del recupero degli automezzi abbandonati dal nemico. In quei
giorni verranno consegnati anche gli stampati per gli aiuti e l’assistenza
per il brillamento accidentale di mine che purtroppo coinvolgeranno
drammaticamente moltissimi giovani, ecco come Giuseppe Luzi racconterà
quei giorni: “...Cercavamo mezzi sempre nuovi per trascorrere il tempo,
uno in particolare sembrava essere il più aggiornato: la caccia ai residui
bellici copiosamente lasciati dagli eserciti in guerra. Non esisteva
allora alcun servizio sociale che potesse tenerci lontani da quelle
cariche mortali. Per chi era ragazzo nell’immediato dopoguerra qui a
Giuliano, segno di prevalenza e di vanto era riuscìr a far esplodere il
maggior numero possibile di residuati bellici, ma proprio una di queste
esplosioni ha lasciato un segno tangibile anche sulla mia carne…”.
Il 22 agosto 1944 gli strascichi violenti del conflitto non risparmiarono
nemmeno i santostefanesi lontani chilometri dal loro paese. Vicino Roma in
località la Storta sulla via Braccianese al civico 29 un pomeriggio circa
venti soldati inglesi appartenenti alla 102° Field Company dei Royal
Rifles affollavano festeggiando l’osteria gestita da Cataldo Massaroni di
quarantacinque anni.
Nulla lasciava presagire però che alla chiusura dell'esercizio l’oste
santostefanese rifiutato altro vino ai militari già evidentemente ubriachi
venisse brutalmente aggredito. Oltre ad accanirsi contro il Massaroni i
soldati della Regina esploderanno anche numerosi colpi di Enfield che
feriranno gravemente il figlio ventenne di Cataldo, Mario. Il giovane,
rimasto colpito al braccio e alla gamba destra, sarà ricoverato in seguito
all’ospedale capitolino Santo Spirito guaribile in quindici giorni.
A settembre in breve licenza giunse in paese anche Lorenzo de Filippi
“Mancinella” reduce dalla capitale dove era aggregato ad una Compagnia
americana della Sussistenza presso il Villaggio Olimpico. Operaio
metallurgico a Wilkesbarre si era arruolato nell'U.S. Army nel distretto
militare di Pittsburgh il 26 settembre 1942 con la matricola 33305735.
Sopravvissuto alla sanguinosa campagna d’Italia era venuto per un
abbraccio ai parenti, ma la sua visita fu breve, sarebbe tornato di nuovo
al fronte, dove lo avrebbero atteso le insidie della Linea Gotica. Intanto
iniziavano a giungere i primi aiuti economici per la ricostruzione del
paese, nel solo mese di settembre entrarono nelle casse comunali 20.000
lire come sovvenzione del Comando Militare Alleato, oltre a lire 36900
destinate ai generi alimentari e lire 20.852 per la riparazione del centro
urbano. Il 21 settembre 1944 cominciarono ad essere somministrate
giornalmente 150 minestre per una popolazione di 1948 abitanti, l’incarico
venne affidato all’Ufficio Assistenza Convivenze di Roma, Sezione
Refettori del Papa. Il Maggiore Herbert G. Mason del Food Administration
Economy and Supply coordinerà l’operazione per il Lazio e l’Umbria.
L’enorme cucina da campo americana trainata da un camion guidato da
autisti di colore venne allestita in piazza dove la popolazione più
bisognosa ricevette la calda zuppa insieme ad alcune fette di morbido pane
bianco.
Forse il suo colore, simbolo di purezza, rappresentò il segno più evidente
del nuovo avvento, il segnale della ripresa della vita e degli ideali.
La volontà di ogni cittadino del paese si rafforzò nel desiderio di poter
raggiungere in comune come avevano affrontato i danni della guerra una
condizione migliore.
Ci sarebbe voluto del tempo e non tutto sarebbe tornato come prima ma la
speranza era tanta nonostante “... il momento critico che il paese
attraversava, la necessità della ricostruzione di case, dei ponti, delle
strade distrutte dai bombardamenti e dal passaggio di militari di
nazionalità diverse...”
Ilio Petrilli, 27 ottobre 1965, ”La Gazzetta Ciociara”.
Ai primi di ottobre Filotea Colini ricevette dall'amica Geltrude Panfili
due telegrammi della Croce Rossa Internazionale, le veniva comunicato che
i figli Giuseppe e Alfredo stavano bene e presto sarebbero ritornati in
paese.
Giuseppe era stato prigioniero degli inglesi nell'isola di Rodi, Alfredo
invece dei francesi dopo che gli alleati avevano liberato la Corsica, ma
le privazioni sofferte durante la reclusione ne mineranno inesorabilmente
il fisico e il primogenito dei Felici si spegnerà poco tempo dopo il suo
rientro in patria.
In quei giorni ritornò in paese miracolosamente anche Dalma, il cane di
Alfonso Zuffranieri.
Il mansueto animale era stato requisito mesi prima da alcuni uomini della
Tredicesima Compagnia di stanza alle Mole seguendoli come mascotte sul
fronte di Cassino. A malincuore il giovane mugnaio la vide allontanarsi
convinto di non rivederla mai più. Invece una sera, tornando a casa, sentì
un ululato familiare e poi improvvisa la figura deperita della povera
bestia che con un ultimo disperato sforzo l'aveva raggiunto sul tavolato
del calesse abbandonandosi esausta su un sacco di farina.
Il 13 ottobre 1944 Guglielmina avrebbe compiuto tredici anni, le sarebbe
piaciuto indossare di nuovo il suo abitino rosso dimenticato da troppo
tempo dentro il baule. Il giorno prima senza farsi notare dalla nonna era
andata a cercarlo ma delusa aveva scoperto che non era più al suo posto,
qualcuno forse lo aveva rubato introducendosi nella casa rimasta
incustodita durante i cannoneggiamenti. Seduta sugli scalini della cimasa
a nulla erano valse le attenzioni di Scipione che scodinzolando tentava di
consolarla. Fu distratta invece da un intenso profumo di bacche di putio
che, nel frattempo, aveva invaso il vicolo, solo allora alzando lo sguardo
la bambina vide penzolare accarezzato dai raggi del sole il vestitino
fresco di bucato. Raggiante allora andò in cerca della nonna che,
divertita, la osservava nascosta dietro una porta. Soltanto quando
Guglielmina stanca per l'inutile ricerca riprese fiato Za Flavia lasciò il
suo nascondiglio e le sorrise.
Vittime di guerra:
Anticoli Mario caduto durante il cannoneggiamento del 27 maggio 1944.
Anticoli Zenobio caduto durante il cannoneggiamento del 27 maggio 1944.
Bonomo Angelo deceduto il 6 giugno 1944 a causa delle percosse subite da
appartenenti al contingente francese.
Fiocco Manni caduto durante il bombardamento del 24 maggio 1944.
Fiocco Rocco caduto durante il bombardamento del 24 maggio 1944.
Floris Beniamino, marito di Lina Panfili, assassinato da sconosciuti
durante il trasporto di derrate alimentari fornite dal Governo Militare
Alleato in data sconosciuta.
Lucarini Giovanni caduto durante il bombardamento del 24 maggio 1944.
Lucidi Ada deceduta a causa dell’esplosione accidentale di un’ ordigno il
15 ottobre 1943.
Marini Enrico, Roberto e Silvio, figli di Maria Panfili caduti nel
bombardamento di Castelgandolfo il 10 febbraio 1944.
Massaroni Augusto deceduto per causa imprecisata il 20 ottobre 1944 a
sessantatre anni.
Olivieri Antonina assassinata brutalmente il 4 febbraio 1944 da un
militare tedesco.
Olivieri Luigi deceduto per causa imprecisata il 29 marzo1944 a 77 anni.
Orlandini Silvio morto il 19 luglio 1943 nel bombardamento di S. Lorenzo
in Roma.
Panfili Maria deceduta nel bombardamento di Castelgandolfo il 10 febbraio
1944.
Ruggeri Giuseppe caduto durante il cannoneggiamento del 27 maggio 1944.
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