Le donne di Villa Santo Stefano sono state indiscusse protagoniste della storia del nostro
paese contribuendo alla sua crescita civile, sociale ed economica. All’inizio del Novecento la maggior parte di esse appartenevano a famiglie povere, le cui uniche risorse erano il lavoro da svolgere per le famiglie benestanti e la terra fonte di enormi sacrifici, ma l’unica che garantisse una certa sopravvivenza. Le donne, inoltre, vivevano in condizioni di grave emarginazione sociale e di grande arretratezza culturale, infatti non votavano ed erano sottoposte all’autorità maschile (padre e marito), erano analfabete e poco informate degli avvenimenti contemporanei, chiuse in un mondo contadino-rurale che non evidenziava progressi ed aperture. Lo scorrere del tempo e degli avvenimenti storici ad esso connessi anche nella nostra comunità hanno gradualmente dimostrato come le donne cercassero un riscatto per sé e per i figli in modo che le condizioni di vita migliorassero e si raggiungessero significativi traguardi sociali. Le aspirazioni erano celate per una sorta di vergogna e di mancanza di fiducia nelle proprie capacità, ma il lavoro fu il motore di un cambiamento di costumi, speranze, obiettivi, rapporti interpersonali e ruoli. Tante sono state le donne che hanno agito in modo anonimo, ma incisivo senza mai essere ricordate, perché siamo sempre abituati ad evidenziare le persone più rilevanti, più emergenti, dimenticando quelle del popolo che sono la vera ed insostituibile forza della società. Questa volta intendo dare un volto a una di queste donne che è stata un esempio di vita, di forza, di amore per la famiglia e di notevole impatto empatico sui suoi contemporanei, ricorderò Venditti Maria Luisa chiamata semplicemente ”Maria Picchietta”. La donna era nata il 14/09/1908 ed aveva sposato Sebastiani Angelo detto “Angelino Scardella” che era vedovo ed aveva una bambina di nome Pina (nata 01/11/1933). Maria, sebbene giovane, accolse la piccola come una figlia e la crebbe con amore. I due coniugi abitavano in una zona a quei tempi molto popolata al “Cegneraro”e precisamente in Via delle Ceneri n 3. Qui la famiglia visse e diventò negli anni sempre più numerosa; infatti nacquero dieci figli di cui quattro scomparsi in tenera età e sei viventi: Luigino, Iole (Luciola), Antonio, Aldo Domenico (Memmo), Alfonsina (Nzina), Vittorio. Maria era una donna semplice purtroppo analfabeta, ma di grandi qualità umane e capacità intuitive, si presentava forte fisicamente e risoluta nei modi, dalla battuta sempre pronta, decisa a non far mancare nulla ai suoi figli in tempi difficili, in cui mancava tutto e la miseria era tanta. Il marito gran lavoratore e persona schiva e riservata, lavorava la terra con una tale intensità e velocità da essere chiamato “stricaterra “ e da essere ricercato da tutti a giornata, ma non bastava. La donna allora senza mai venire meno ai suoi doveri di mamma, s’ingegnava come poteva per trovare alternative utili e produttive che sfamassero i suoi figli e dessero loro una vita più dignitosa. La terra era la prima risorsa che dava cibo e così Maria in modo infaticabile la lavorava, avendo un orto seconda la stagione fornito di tutto. Il raccolto era fonte anche di un modesto guadagno, perché vendeva l’insalata ed altre verdure nella piazzetta del mercato mettendo le ceste sulla pietra sedile che si trova sotto l’arco o consegnandole direttamente nelle case delle famiglie benestanti. Allevava anche polli, galline e qualche maiale come ulteriore risorsa alimentare per la sua famiglia. A queste attività se ne aggiungevano tante altre che mettevano in evidenza la sua intraprendenza, la volontà e la capacità di sapersi ingegnare a trovare risorse sempre nuove ed in linea con i bisogni della comunità in cui viveva. Infaticabile donna, madre e lavoratrice che non riceveva grandi profitti o i versamenti contributivi come siamo abituati a vedere nei nostri tempi, ma solo la gratitudine della sua famiglia e l’apprezzamento di chi le affidava le mansioni lavorative. Le persone l’incontravano nei vicoletti del centro storico sempre con il suo carico quotidiano di pesi in testa, trasportava di tutto secondo richiesta e la prestanza fisica l’aiutava in questi compiti. La donna svolgeva altri lavori come quello di lavandaia, infatti lavava i panni a ‘gnora Annetta Bolognini (la farmacista), a ‘gnora Giggetta Bonomi, moglie di sor Checco, a ‘gnora Ortenzia, nei lavatoi del Rivo e della fontana della Sauce. Una volta ‘gnora Giggetta, si trovava sulla terrazza della sua casa seduta in poltrona per le sue cagionevoli condizioni di salute, quando Maria arrivò tutta trafelata con una bagnarola in testa contenente il suo carico pesante di biancheria lavata. La donna sprizzava di energia e forza, nonostante la fatica, e ‘gnora Giggetta, provata dalla malattia, le disse che avrebbe rinunciato a ogni cosa che aveva in cambio della sua salute. Fare il bucato era una specie di rito che si assolveva nelle giornate di sole e prevedeva tante fasi comprese l’asciugatura sui cespugli circostanti alle fontane e la piegatura dei panni che risultavano stirati con l’unica forza delle mani, Maria era molto esperta e brava nell’assolvere questo compito. La donna, inoltre, caricava l’acqua nei conconi e la portava a chi non l’aveva in casa; lavava le brocche sporche del latte del lattaio Peppino Leo sopra al fossato, oggi monumento ai caduti; trasportava in testa quintali di pesi, se qualcuno glielo richiedeva, come i sacchi di farina o altri prodotti alimentari che consegnava, nelle loro “botteghe”, a Marietta Telemaco e a ‘gnora Ida Bonomi, ricevendo in compenso una cartata di spaghetti. Quando non aveva lavoro raccoglieva la legna in montagna o alle Anime Sante per avere una scorta per l’inverno o per portala al forno di zia Candida in cambio di una pagnotta o di un fallone, assicurando così il pane alla sua famiglia. Tutto ciò avveniva sempre tenendo in consegna i suoi figli ed assicurandosi che non mancasse loro il necessario; inoltre li educava al lavoro e all’onestà come si faceva a quei tempi facendo sentire tutta la sua autorità di madre che non ammetteva capricci o repliche. A questo proposito la figlia Nzina ricorda che un giorno non era andata a scuola rimanendo a letto, la madre quando ritornò a casa, se ne accorse e senza perdere tempo l’accompagnò di forza fino al portone della scuola assestandole qualche ceffone. Da quella volta un episodio del genere non accadde più, la donna con un’educazione severa le aveva dato “una dritta sulla vita”. La figlia più grande Iole la aiutava a crescere i bambini più piccoli come avveniva in tutte le famiglie, la responsabilità si manifestava subito e senza sconti. La vita della donna trascorse sempre con questi ritmi e sacrifici mentre i figli crescevano, si sposavano e ricercavano la loro strada, raggiungendo ognuno per proprio conto significative conquiste sociali di cui la madre andava fiera. Pina si trasferì con la sua famiglia prima a Torrice poi in Canada per seguire il figlio Pietro che aveva vinto una borsa di studio. Qui aprì una pizzeria e venne a mancare il 06/09/2011. I suoi due figli Pietro ed Egidio vivono ancora in Canada, sentendo comunque il richiamo del paese d’origine dove ritornano ogni anno per San Rocco. Luigino (4/05/1931), sposato con Giuseppina Leo, ebbe due figlie Anna e Rossana e morì prematuramente, il 13/03/1970. Antonio (Iuccio) prese moglie a Pisterzo e si trasferì in Canada, precisamente a Toronto, ebbe due figli Ennio ed Angelo. Iole si sposò con il paesano Antonio Leo, andò ad abitare ad Anzio ed ebbe due figli Giovanna, attuale vice direttore di una Banca Unicredit e Franco. Aldo Domenico (Memmo) iniziò a lavorare da ragazzo in paese nel bar di zia Iole per poi trasferirsi a Roma a lavorare in un bar in Via dei Mille, nel 1955 si recò ad Anzio e qui lavorò come commesso in un negozio di alimentari per otto anni fino a quando aprì un suo supermercato nel 1967. Dal suo matrimonio nacquero tre figli: Maria Luisa, rinomato medico cardiologo, Gianluca, elettricista, e Gianni, camionista, nato il 21/07/1973 e morto recentemente il 25/03/2013. Anche Nzina si sposò e seguì i fratelli ad Anzio, dove vive ancora con i figli Alessia, manager e Roberto, commesso alla PAM. L’ultimo figlio Vittorio si sposò a Sgurgola, morì giovane per un male incurabile lasciando la moglie e tre figli Maria Teresa, Gianluca e Maurizio. Una famiglia grande con percorsi diversi in cui l’esempio di Maria ha contribuito a dare ad ognuno il desiderio di emergere, di costruirsi un futuro e di consentire ulteriori progressi sociali e culturali ai propri figli. Significativo è il passaggio da Maria Luisa di professione contadina alla nipote che si chiama come lei, medico cardiologo, è un passaggio per il quale la nonna ha lottato con una vita di grande e faticoso lavoro. Il riscatto sociale delle ultime generazioni è stato un esempio frequente nella nostra comunità, è avvenuto gradualmente grazie a queste donne semplici, ma determinate che hanno avuto il coraggio di non arrendersi, di sperare e favorire per figli un avvenire migliore. Questa donna così energica e volitiva se ne andò da questo mondo in modo imprevedibile e paradossale il 7/08/1976, per cui chi la ricorda o ne sente parlare non può fare a meno di rammaricarsi e pensare che la morte è imprevedibile. Era il mese di agosto, il figlio Vittorio stava tinteggiando la casa dei genitori e Maria era orgogliosa di far trovare agli altri figli un ambiente più curato ed ordinato. Quel giorno era in sottoveste e scalza per il forte caldo della stagione e con la scopa e l’acqua buttata abbondante cercava di togliere la tinta caduta per terra. In casa c’erano i primi segni di un certo benessere il frigorifero e la televisione, tenuti attaccati alla presa della corrente da una prolunga precaria e con un filo scoperto. Maria infaticabile e forte si adoperava nelle pulizie, ma la corrente la folgorò senza darle scampo il 7/08/1976. Si concluse in questo modo la sua vita terrena, ma l’esempio che ha dato resta intatto nel tempo e ce la rende vicina e sempre pronta ad insegnarci la difficile arte di sopravvivere e di sapere assicurare con sacrificio la crescita economica e sociale alla famiglia.
Si ringraziano i figli Memmo, Iole e Nzina e le nipoti Alessia e Rossana per la collaborazione. |
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4.10.14 |
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