Il ritrovamento di un’importante documento ci ha indotto a scrivere del dottor Matteo Bonomo, medico condotto e personalità rilevante nel nostro paese. …il poveretto, dopo un lungo sbadiglio, era rimasto con la bocca aperta. Il dottor Matteo Bonomo, dopo aver tentato di ridurre la lussazione mandibolare, lo fece sedere su una sedia e, arrotolatosi sulle braccia le maniche della camicia, gli sferrò un destro, al mento, degno del miglior pugile. La mandibola tornò al suo posto con grande sollievo dell’interessato che, però, rimase guardingo ogni volta che incontrava il medico, per le vie di Giuliano di Roma. E’ questo uno dei tanti aneddoti della vita di sor Matteo, che i meno giovani di Villa Santo Stefano e Giuliano di Roma, ancora oggi, ricordano. Un giorno, mentre facevamo ordine tra le varie carte lasciate da suo figlio Luigi, ci è capitato tra le mani, un foglio piegato in quattro parti, di dura consistenza e difficile da strappare. Incuriositi, abbiamo cercato di aprirlo e, dopo qualche difficoltà, ci è apparso lo stemma del Regno d’Italia. Pian piano, dopo averlo spiegato del tutto, ci siamo trovati, con enorme meraviglia, di fronte all’originale della Laurea del dottor Matteo Bonomo, datata 5 luglio 1893. Matteo Bonomo, nasce il 14 maggio 1867 a Villa Santo Stefano, da Domenico e Vittoria Antonini, nobildonna di Priverno. Era il primo di cinque fratelli: Roberto (padre di Sor Checco e gnòra Egeria), Cesira (sposata a Cencio Apponi di Amaseno), Mariannina (sposata ad un Cardosi di Sonnino, madre di gnòra Agnesina e nonna di gnòra Ginetta), Francesca (sposata ad un Perugini di Priverno e madre di quel Vittorio, appassionato di calcio, che, insieme al cugino Luigi Bonomo, fu uno dei promotori della squadra del "Villa" nei primi anni del 1920; tale era la sua passione, che si faceva carico di rinforzare la nostra compagine con giocatori del "Priverno").
La casa natale di Matteo, era quella sita nell’odierna via Gentili, n. 3, alla quale si accede, ancora oggi, con la grande cimasa da Piazza del Mercato. Questa era la dimora storica dei BONOMO che, con Celestino e Domenico, primi Sindaci dall’ Unità d’Italia, amministrarono il nostro paese. Questi, erano i figli di Matteo Bonomo (nonno del nostro sor Matteo), padrino di battesimo della Beata Caterina Troiani, deceduto nel 1847 e sepolto nel Santuario della Madonna dello Spirito Santo, come indicato in una lapide, qui, voluta da Paolina Bonomo nel 1901. Matteo, frequentò le scuole medie e il liceo a Priverno dove vivevano i nonni materni. Si iscrisse, quindi, alla facoltà di Medicina e Chirurgia della Regia Università di Roma; fu, prima, allievo e poi amico del professor Ettore Marchiafava illustre clinico, (si devono a lui gli studi sulla terzana maligna) divenuto, nel 1913, Senatore del Regno. Nonostante i ripetuti inviti fattigli da questi, per rimanere a Roma, preferì tornare a Villa S. Stefano. Non fece così il suo collega, quasi coetaneo, il dottor Costantino Leo (1870/1946) fratello di Sor Pompeo; Costantino rimase a Roma, dove si trasferì da Villa nel 1901; esercitò la sua professione al "San Giacomo". Qui, si incontrava con Matteo, quando veniva a Roma, due tre volte all’anno, per l’ aggiornamento professionale. Dopo qualche ora di calesse, sor Matteo, arrivato a Frosinone, prendeva il Tripolino (treno così chiamato perché univa Roma a Tripoli, via Napoli dove ci si imbarcava). A Roma, scendeva all’ "Albergo del Nord" (ancora oggi attivo in via G. Amendola nei pressi della stazione Termini) dove alloggiava per una settimana. In questi giorni, frequentava il "San Giacomo", portava notizie da Villa all’amico Costantino e faceva ritorno, con il "pieno" delle novità, non solo mediche, che amava condividere con gli amici del paese (Filippo Bonomo, Filippo Lombardi, Pompeo Leo ecc.). L’"Ospedale San Giacomo in Augusta", aperto nel 1400 e inopinatamente chiuso, da qualche mese, dalla Regione Lazio, ha avuto un rapporto particolare con il nostro paese. Infatti, un altro medico, Arturo Bonomo, nipote di sor Matteo, entrato qui, nel 1956, da studente in medicina, vi è rimasto per 47 anni, fino al 2003. Matteo inizia la sua attività, come medico condotto, a Sonnino dove conosce, Elisabetta Grenga, "Bettina" figlia di ricchi latifondisti; l’occasione dell’incontro fu una malattia di questa che egli curò, con professionalità ed amore, fino a sposarla. I due ebbero quattordici figli di cui soltanto sette raggiunsero la maggiore età: Margherita (1900), Luigi (1902), Giovanni (1905), Vittoria (1910), Maria detta Metta (1912), Assunta (1914) e Pietro (1916). Intorno al ‘909 il dottor Matteo, che fino allora aveva diviso la sua vita tra Sonnino e Villa S. Stefano, tornò al suo paese. Nella zona delle "Fontanelle", trasformò un vecchio rudere di famiglia in una bellissima villa: "la Casina". A questa si accedeva, come oggi, con un lungo viale fiancheggiato da pini; il terreno, circa otto ettari, fu arricchito con uliveti, vigneti e alberi da frutta di ogni tipo. (si deve a lui, l’impianto nel nostro territorio, di diverse varietà di alberi ornamentali e da frutto, all’epoca sconosciuti, come il kaki, l’ippocastano ecc.). Fece venire, da fuori, potatori e innestatori bravissimi, che insegnarono l’arte ai locali, come ricordava il compianto Ennio Anelli che fin da ragazzo abitava nei pressi. L’abbellimento che il dottor Matteo seppe dare alla "Casina", fu tale, che da allora, la zona fu così chiamata. La passione per l’agricoltura fu seconda solo a quella della sua professione. Fece il medico come si richiedeva all’epoca, a tutto campo. Si impegnava e affrontava, con professionalità, ogni tipo di patologia medica e chirurgica. Assisteva i parti, riduceva fratture, incideva ascessi e suturava ferite di tutti i tipi. In famiglia, resta famoso il ricordo dell’escissione, di una cisti, che praticò sul viso della figlia Assunta, nonostante, l’intervento fosse stato sconsigliato da luminari della medicina ai quali si era rivolto. Testimonianza del buon esito, fu l’integrità del bel viso della signora Assunta che, ancora oggi, molti ricordano. Si distingueva per il calore umano e la partecipazione alle sofferenze dei suoi pazienti. Spesso, tornando alla "Casina", dopo una visita ad un malato di povere condizioni economiche, ordinava alla moglie: " Bettina, riempi una canestra e mandala a casa di…"; gnòra Bettina capiva, dal tono della voce, che l’ordine andava prontamente eseguito e senza obiezioni. Se capitava all’ora di pranzo nella casa di un malato, non disdegnava, se invitato, a mettersi a tavola e…"cùmmartà" con i presenti. Rimase famoso un bando dato al pubblico: " S’ auert’ cà chi tè i sor dottor’ dentr’ casa, gl’ tèra caccià cà seru’ a natr’ " (Si avverte che chi sta ospitando il dottore lo deve mandare via in quanto è necessario per un altro malato). Insomma, la figura di sor Matteo, appare come in una stampa d’epoca uscita, pari pari, da una delle tante pagine della letteratura di fine ‘800: il medico che, sul calessino e l’inseparabile valigetta, fa il giro dei pazienti, con i quali, oltre a curarli, condivide i problemi e gli affanni della vita quotidiana. E’ l’immagine di un "sor dottore" che non c’è più e di cui, a volte, se ne sente la nostalgia. Politicamente di ispirazione liberale, rimase tale anche dopo l’avvento del fascismo al quale non aderì mai; Non seppe, però, resistere al richiamo della politica locale; continuando la tradizione familiare, si fece trascinare nella "bèga paesana". Con Filippo Bonomo (z’ Pipp’ Mantèlla), fu continuatore e sostenitore del partito della "Ciocia" contrapposto, da sempre, a quello della "Scarpa": Animatore della vita sociale fu sindaco dal 1903 al 1906. Negli anni venti, fu costretto dal sindaco dell’epoca a trasferirsi in paese perché "…il medico doveva risiedere nel centro urbano…". Qui iniziò la costruzione di un nuovo caseggiato in via della Rocca, prospiciente la proprietà di Pompeo Leo e attiguo al palazzo del Marchese. Di bella presenza, dal portamento signorile, di facile comunicativa, parlava ed era amico con tutti; aveva una personalità esuberante, sempre pronto allo battuta. In un afoso pomeriggio estivo, Duilio Anticoli, giovane vivace, eseguiva i suoi lavori di fabbro cantando a squarciagola e provocando un continuo ed assordante rumore di martellate; sor Matteo, non potendo godere della solita pennichella pomeridiana, si affacciò, al finestrone del suo palazzo su via San Sebastiano, e lo chiamò ad alta voce:
"Dimmi sor Matté’ !! " rispose ossequioso Duilio sor Matteo - " Hai per caso una lima nuova ?" Duilio - "Per lei sor Mattè’ … la meglio !!" sor Matteo- "Allora vieni sopra a darmi una limata ai c*****ni !!" Duilio capì che stava disturbando e da allora limitò il rumore ed il canto. Gli piaceva il gioco e, talvolta, era costretto, a notte fonda, a farsi riaccompagnare a casa dagli amici di Giuliano di Roma perché la sua cavalla "Flora", stanca di attenderlo, se ne tornava da sola con il calesse. Ebbe amicizie importanti con le quali socializzava invitandole alla "Casina". Con i figli usò molta severità, mitigata dalla mitezza di gnora Bettina. Non seppe curare se stesso come curava gli altri. A seguito di un ictus si spegneva il 31 ottobre 1935 all’età di sessantotto anni. I funerali, furono una imponente manifestazione d’affetto, a testimonianza del profondo legame che univa sor Matteo alla sua gente. Si racconta che, ai più intimi, confidasse il rammarico che nessun figlio fosse diventato medico. Lo hanno ben ricompensato i nipoti. Infatti oltre al già citato Arturo Bonomo, ci sono: Giovanni, suo fratello, figli di Luigi; Alessandro Perlini, figlio di Assunta, Ruggero Ruggeri, figlio di Margherita e Lucio Zangrillo, figlio di Vittoria, prematuramente scomparso.
Si ringrazia, la prof.ssa Gilda Zangrillo, figlia di Vittoria Bonomo, per la gentile collaborazione. |
up. 5.4.2009
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