Uno sguardo al passato:
I garibaldini a S. Stefano Per effetto della Convenzione del 15 settembre 1864, che prevedeva il ritiro dei francesi da Roma entro due anni, dietro impegno italiano di non invadere lo stato pontificio e di impedire ogni attacco esterno, il 10 dicembre 1866 si completava l'evacuazione delle truppe di Napoleone III. Essa vedeva decisamente contrario Garibaldi, che dopo una prima fase favorevole ad una soluzione politica della "questione romana", successivamente tornava su posizioni militariste, e nell'autunno del '67 organizzava l'invasione dello stato del Papa. Arrestato il 24 settembre e condotto a Caprera, ne fuggiva dopo venti giorni. Costretto a dimettersi il Rattazzi, profittando della vacanza dell'esecutivo, passava all'azione. E mentre le truppe pontificie venivano richiamate dalla periferia per la difesa di Roma, un contingente di garibaldini al comando di Giovanni Nicotera, dopo aver saccheggiato l'abbazia di Casamari, il 28 ottobre 1867 nel primo pomeriggio entrava in Frosinone, accolto da una popolazione acclamante. Nella stessa mattinata nel capoluogo abbandonato il giorno prima dal Delegato Apostolico monsignor Pericoli, si era insediato un governo provvisorio costituito da Cesare Tesori, Nicola De Angelis. Gianbattista Grappelli, Francesco Ricci, Filippo Turriziani, Vincenzo Orlandi, Luigi Ciceroni. Faceva funzioni di segretario Francesco De Persis. Vi fu il riconoscimento ufficiale da parte del generale Nicotera che dapprima si assicurò la collaborazione dei telegrafisti, poi ammonì i governatori locali ad aderire al nuovo corso, e il giorno successivo lanciò ai cittadini di Frosinone un proclama inneggiarne alla fine del governo dei preti e alla unificazione d'Italia. Partito Nicotera. la nuova "giunta di governo provvisorio della città e provincia di Frosinone" iniziava immediatamente la sua attività politica ed amministrativa: il 30 ottobre veniva bandito il plebiscito di adesione al Regno d'Italia. Si sarebbe votato il 31 in Frosinone e il 1° novembre negli altri centri della provincia. Ma vediamo cosa succedeva nel frattempo a S. Stefano. Qui, in un contesto sociale stagnante, ed un periodo in cui per la gran parte della popolazione il problema principale era il tentativo di migliorare la realtà di una vita quotidiana dura e a volte incerta, alcuni, in grado di cogliere gli echi della politica, avevano preso coscienza dei tempi che stavano cambiando. I fatti che seguono lo dimostrano. La notte del 28 ottobre 1867 Flaviano Toppetta, brigante pentito poi elevato al rango di squadrigliere, giunge in paese annunciando la "rivoluzione" in Frosinone. All'indomani, di buon'ora una carrozza a due cavalli parte di gran carriera da S. Stefano. E' la carrozza del Priore comunale il Dottor Agostino Ottaviani. Con lui viaggiano il cursore comunale Luigi Martinelli di Monte S. Giovanni e Don Baldassarre Perlini. Alla guida c'è Enrico Panfili. Giunti a Ceccano i tre smontano e la carrozza prosegue il viaggio per il capoluogo. Fa ritorno in paese nel pomeriggio dello stesso giorno sventolando la bandiera tricolore: porta con se i garibaldini Bernardino Fagnani e i fratelli Pio ed Achille Colucci, armati di doppietta e revolver. Passando per Ceccano recuperano Luigi Martinelli, e, come racconterà in seguito il governatore, tentano di sollevare il popolo. Giunti in Piazza dell'Olmo, l'odierna piazza Umberto 1°, i tre garibaldini in testa al corteo si dirigono verso la sede comunale ove ordinano a Pompeo Petrilli di rimuovere lo stemma pontificio, che viene sostituito da quello di Vittorio Emanuele e dalla bandiera tricolore, e nominano la Giunta provvisoria composta da un capo, Enrico Panfili, e da Domenico Bonomo e Luigi Lucarini. Giacomo Bonomo al colmo dell'euforia battezzò seduta stante il Caffè che gestiva nella piazza del comune "Caffè dei Garibaldini" assicurando che d'ora innanzi vi sarebbero stati serviti solo i fedelissimi alla causa. Di li a poco veniva nominata la dirigenza della Guardia Nazionale così articolata: Luigi Lucarini capitano, Enrico Panfili tenente, Domenico Bonomo sottotenente e Giacomo Bonomo sergente. Quella sera fu festa grande in paese: si accesero delle luminarie, ronde di rivoluzionari percorrevano le vie del paese cantando inni patriottici e lanciando invettive contro il governo dei preti, venne offerto da bere a volontà. Ci fu anche chi in quest'occasione diede sfogo alla sua vena poetica; la gendarmeria locale troverà poi un componimento che trascriviamo integralmente: Al Popolo di S. Stefano Il Papato è caduto qual nebbia Fu scacciato dal sole lucente La salute di tutta la gente Il Gran Re dell'Italia portò Su fratelli siam liberi alfine Siam figli di un'unica madre Ecco vengono l'Itale squadre Libertade per sempre vi do Oh felice! Chi in petto rinserra II tesoro di nome si bello Ei risorge ad un mondo novello Ei rinasce in un Ciclo seren Su fratelli; diam mano ai vessilli Su pel vento la nostra bandiera Presto avanti, chè eletta una schiera A levarci il rio giogo ne vien Serbiam tutti nelcore il bel nome Dell'Italia l'amore e l'affetto Sempre viva quel Nome diletto Che felici noi tutti ci fé Siam Fratelli, siam tutti fratelli L'amistade e la mano ci diamo E superbi e felici ne andiamo Viva Italia ed il grande suo Rè. Un vero Patriotto
Ma è tempo ora conoscere più da vicino alcuni dei nostri personaggi. Il Priore,ossia sindaco, Agostino Ottaviani, medico di Urbino, da molti anni esercitava in S. Stefano; aveva sposato Lucia Bonomi vedova del suo collega Don Baldassarre Perlini, padre premorto dell'omonimo sacerdote e vicario foraneo; era zio di Domenico Bonomo, e zio di Luigi Martinelli che aveva sposato due anni prima Donna Carolina, figlia di Matteo Bonomo e sorella di Domenico. Era anche cognato di Luigi Lucarini "che aveva in moglie un'altra Bonomo". Quanto ad Enrico Panfili di S. Lorenzo, rimasto vedovo di Elisabetta Turriziani, nipote di quel Filippo avvocato, vecchio patriota e membro della giunta di governo di Frosinone; nel 1856 aveva sposato Filomena Ottaviani figlia del Priore. E non basta: i due fratelli garibaldini Colucci figli di un'altra Turriziani erano anch'essi nipoti di Enrico Panfili. Come si vede la cosa pubblica a S. Stefano stava diventando una impresa a conduzione familiare, come diremmo oggi. Tra i primi atti della nuova Giunta vi è l'abolizione del dazio sul macinato: il molinaro Gianbattista Masi, che si era rifiutato di macinare senza la tassa dovuta, venne addirittura condotto a forza in piazza al cospetto delle nuove autorità e seriamente minacciato se non avesse obbedito all'ordine. Collateralmente pare che il Panfili inviasse dei propri emissari in S. Lorenzo, suo paese natale con il compito di favorire anche qui il passaggio al nuovo governo. Il 1° novembre si tenne il Plebiscito. La commissione elettorale era composta manco a dirlo dalla nuova giunta con l'ausilio di Giacomo Bonomo. Fungeva da segretario il segretario comunale Gaspare Iorio. La votazione avveniva in municipio con voto palese, i contadini venivano indotti ora con la forza ora con le blandizie a votare senza spiegare loro il significato del voto; si era dato l'ordine a Giacomo Iorio e Giovanni Tambucci, di guardia alla Porta, di lasciar passare solo coloro che mostravano la scheda elettorale col Si bene in vista sul cappello: un metodo molto democratico di assolvere alle funzioni di scrutatore. Il giorno seguente i registri con i risultati della votazione furono portati a Frosinone. Non conosciamo purtroppo l'esito, ma non è difficile intuirlo. Di lì a poco, con il ritorno delle truppe francesi e la sconfitta di Garibaldi a Mentana, la breve esperienza rivoluzionaria finiva miseramente, ed il 5 novembre veniva ripristinato il governo pontificio. Luigi Lucarini, il più attivo ed "irrequieto" fuggiva dal paese e ancora nell'agosto del 1868 risultava latitante. Come si poteva prevedere furono esperite una serie di indagini e presi una serie di provvedimenti verso le persone che si erano maggiormente esposte. I nostri tentarono di giustificarsi col pretesto che vi erano stati costretti con la violenza che fu loro requisita la carrozza mentre si recavano a Frosinone a prendere un nipote del priore, che lo stemma dei Savoia era stato portato dai garibaldini (si sapeva invece benissimo che veniva tenuto in casa del Panfili già 15 giorni prima). Si sosteneva addirittura di essersi resi benemeriti avendo impedito che si commettessero violenze. Fatto sta che la documentazione più compromettente ere stata fatta sparire, e il governatore di Ceccano, ispezionando la sede comunale non vi troverà altro che una lettera della Giunta di Frosinone. Comunque sia con decisione del 26 febbraio 1869 la Sacra Consulta, il supremo tribunale, dichiarava la giunta municipale di S. Stefano compresa nell'indulto sovrano del 30 maggio 1868, e i suoi tre componenti, passati a disposizione della Polizia. Dr. Vincenzo Tranelli
Fonti e bibliografia 1) A.S.F.,D.A. , b. 27 e 28 2) Ferri M., Garibaldini in Ciociaria, Frosinone 1988 3) Colagiovanni M.. Aspetti e figure dell'ottocento a Patrica e dintorni, Roma 1980
da: "La Voce di Villa" - Notiziario a cura dell'Amministrazione Comunale di Villa Santo Stefano febb. 2006 |
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