COSE
VECCHIE E SEMPRE NUOVE
LA
TRADIZIONE DELLA PANARDA
Il
rituale di oltre 400 anni |
"Preceduto da
un triduo serale, all’imbrunire del giorno dell’Assunta ha inizio il rito:
un interminabile stuolo di fedeli con alla testa le autorità civili e
religiose, la banda musicale e gli incollatori, si reca
processionalmente nella chiesa fuori porta.
Alla comparsa
della statua sul sagrato, attesa al buio in profondo silenzio, un oceanico
grido: <<Evviva San Rocco>> ha il potere di far accapponare la pelle anche
al più tiepido degli astanti. Immediatamente segue un finimondo di fuochi
pirotecnici che ogni anno gareggia col precedente in spettacolarità.
La processione
quindi riprende per confluire nella piazza principale per il panegirico
del Santo Pellegrino e poi concludersi presso la chiesa parrocchiale.
Ma ciò che
rende pressoché unica la festa di S. Rocco di Villa Santo Stefano è il
sopravvivere della tradizionale Panarda, antica costumanza nella quale si
intrecciano simbologie religiose e vestigia di vita vissuta." Non è una
sagra. E’ un rito alimentare di protezione? Sicuramente si. E’
ringraziamento per una scampata epidemia? Possibile, anzi probabile. Fa
parte dell’identità di questa popolazione. Da dove proviene? Non
pretendiamo origini mitiche. E’ un fatto che in vari luoghi della Spagna
del ‘500 si organizzavano pasti comunitari in occasione di feste
patronali. E qui da noi in quell’epoca gli spagnoli c’erano stati. Ma
niente di più di una semplice ipotesi.
Ne conosciamo
il programma originario attraverso la vera e propria cronaca in diretta,
minuto per minuto, che ci ha lasciato un notaio del paese il 16 agosto del
1601, e già era un appuntamento abituale.
Oggi 16 Agosto 1601. Standosi nel
canneto fattosi con honore di Santo Rocco per la festa che la
Magnifica Comunità di Santo Stefano fa con honore di esso Glorioso
Santo et proprio nello cortile della Rocca di Santo Stefano dove si
magna con tutto il popolo di detta Terra, finito di magnare,
conforme il solito, con la presenza di mastro Antonio Tambucci
Signore di questo anno 1601 et Marcantonio Palombo Camerlengo et con
la presenza di me Flaminio Filippi pubblico notaro et in questo
tempo Vice Capitano di detta Terra, conforme il solito s’è messo una
seggia a capo di tavola a chi vole offerire per essere Signore in
questo seguente anno, dove dietro similmente s’è concorso tutto il
popolo di Santo Stefano, sono venuti alle dette salte, ossia: Nardo
Martino a un tombolo e poi una soma, successivamente Stefano
Moscatello a quarte tre, Giovanni Molinaro a un rubbio, Giovanni
Contento a doi rubbie, Giovanni Molinaro a quarte dicidotto di
grano, Giovanni Contento a quarte venti, Giovanni Molinaro a quarte
ventuno, Giovanni Contento a rubbie tre, Marco Palombo a quarte
venticinque et così il detto Marco come più offerente s’è restato è
stato gridato Viva il Signore per detto seguente anno 1602, et detto
grano s’è obligato darlo alla Cappella ad honore di Santo Rocco
nella sera di detta festa alla fine della offerta in pace senza lite
e supporne alcuna, di darlo et consegnarlo et di ciò s’è obligato
nella solita maniera non contravvenirvi dando sicurtà a me
infrascritto notaro di farne di ciò uno e più strumenti a favore di
detta Cappella et della Magnifica Comunità di Santo Stefano, et
impegnò tutti i suoi beni in ogni migliore forma camerale risultando
dalle dette cose come sopra
Flaminio Filippi notaio richiesto
Fatto nel sopradetto cortile della Rocca nei suoi confini, presenti
mastro Sebastiano Santagata di Prossedi e mastro Orazio Marchionne
di Pofi, testimoni et presente mastro Porzio Dionisio che ha
promesso un palio di una carda di mezza lana presenti li suddetti
testimoni Flaminio Filippi notaio |
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Documenti originali,
più antichi, ritrovati dall'autore su la "Panarda" di Villa Santo
Stefano, datati 16 agosto 1601 |
In sintesi dopo
che nel cortile della rocca, al fresco sotto una tettoia di canne,
l’intero popolo con i capi ha consumato il pasto, al cospetto di tutti, su
una sedia posta a capo tavola, si aprono le offerte per finanziare la
festa dell’anno successivo: se l’aggiudica chi offre più grano.
Poi nel giro di
quarant’anni troviamo tutto cambiato: è il Consiglio comunale che nomina
due "maestri di casa" incaricati dell’organizzazione. Si fa la questua:
grano, legumi, vino e altro; si acquistano stoviglie. Con il ricavato se
ne fa sicuramente un piatto unico identificabile con tutta probabilità con
la tradizionale minestra di pane. E’ degno di nota che viene organizzata
in pochissimi giorni, deliberata anno per anno dal consiglio, si svolge
sempre senza inconvenienti di rilievo e tra gli ingredienti finiscono per
prendere piede i ceci, legumi che concentrano varie virtù.
Nel 1801 la
festa riceve da Pio VII, in deroga per la coincidenza con S. Ambrogio, la
qualifica di Prima Classe che le conferisce maggiore solennità e richiamo.
Il Comune per
tutto il secolo XIX concorre alle spese con alterne fasi: nei primi
decenni non partecipa, poi fino al 1870 concede un contributo di dieci
scudi e dopo l’unificazione spende solo per i fuochi artificiali; in
compenso nel 1916 istituisce la fiera di S. Rocco e dell’Assunta da
tenersi nei giorni 15 e 16 agosto in piazza Umberto I, ma non ci risulta
che la cosa abbia avuto pratica attuazione.
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Panarda (da Strenna Ciociara, 1965, pqg.78) |
Panarda anni '60, foto dell'Autore |
Nel 1929 il
Commissario Prefettizio Milani nomina un comitato locale che gestisce la
festa civile e raccoglie le offerte dei fedeli. Il banditore convocava i
servitori presso il comitato. I questuanti giravano col sacco sulle spalle
e con la misura per l’olio, che poi venivano svuotati in comune. A parte
pochi soldi si raccoglieva ceci, grano, granturco, olio. Il ricavato
veniva messo all’asta.
La legna veniva
fornita dal Comune che metteva a disposizione le querce lungo lo stradone
del Cerrito. Se ne occupavano i servitori che le tagliavano con accetta e
stroncone, le "ricacciavano a mano", e trasportavano a destinazione col
biroccio trainato da due buoi. L’acqua per la cottura veniva fornita dalla
cisterna di palazzo Colonna o da quella dei Bolognini.
Ai servitori il
Comune pagava tre giornate di salario a quattro lire al giorno. Risulta
notevole il numero dei pisterzani, che si scambiano con i santostefanesi a
S. Michele. Per loro c’è una caldaia apposita: i ceci li distribuiva loro
Umberto Lombardi la cui madre era di Pisterzo. Essi consumavano i ceci
sotto la loggia, vicino alla Madonna Addolorata o a casa di conoscenti. Da
allora varie cose sono cambiate, ma la sostanza è rimasta genuina.
Ai nostri
giorni, "qualche ora dopo la mezzanotte, nel largo antistante il monumento
ai caduti, un gruppo di servitori in costume, sotto gli occhi curiosi di
paesani e forestieri assiepati, accende contemporaneamente il fuoco sotto
le oltre quaranta "callare", nelle quali durante la notte allietata da
canti e suono di organetti, cuoceranno i ceci, secondo una ricetta
antichissima, semplice quanto inimitabile.
Il mattino
seguente l’assaggio ufficiale da parte delle autorità. Messa solenne. E’
quindi la volta della processione diurna con benedizione delle callare al
cospetto della statua del Santo: i servitori uno a uno sfilano sotto la
macchina processionale in atto di profonda devozione.
Al termine
inizia la distribuzione: i "maestri di mensa" attingono alle callare, e
via di corsa i servitori volano per portare a casa ceci e pani benedetti."
In ultimo
voglio ricordare la necessità di restauro della statua, dopo un richiamo
anni fa rimasto inascoltato, e auspicare che la moda di certe maratone
alimentari non facciano sbiadire il senso e la bellezza di questa antica e
suggestiva tradizione e perdere di vista il Festeggiato.
Vincenzo Tranelli
4.8.2015 - agg. 17.8.19 |