NATALE 2009 |
VISTO DA DON
PAWEL E DAGLI EDUCATORI |
Nel
nostro immaginario collettivo, al di là delle ideologie o sistemi
filosofici professati, non è possibile pensare al Natale senza il
presepe. Sarà per il fatto che la penisola appenninica è la culla
del presepe, avendo dato i natali al suo "inventore" San Francesco.
Da noi, a Villa Santo Stefano, esso trova il suo posto non solo
nelle case e in chiesa, ma anche in diversi altri luoghi della vita
pubblica e civile.
Le
persone anziane e quella di mezza età con nostalgia ricordano i
tempi quando non
esistevano
ancora presepi coniati dallo stesso stampo. Allora i presepi fatti a
mano e con mezzi poveri rivestivano un significato particolare e
magari trasmettevano anche più calore; e questo non solo per il
gusto "delle cose fatte a casa" ma perché è da noi stessi che hanno
tratto la vita.
Un
presepe deve essere vivo, deve parlare, deve distinguersi da
qualsiasi altro addobbo, perché esso non è un addobbo. Ben venga un
presepe vivente che ha le grandi possibilità di rende l’idea vera
del Natale: Dio si è fatto uomo e veramente è venuto tra i suoi,
nella loro vita quotidiana (e la riproduzione della vita dei nostri
avi può aiutare a rendere l’idea del Mistero dell’Incarnazione) . È
un’occasione preziosa per trasmettere questo messaggio molto
concreto ed esistenziale. Il Natale non è la festa di un’idea o di
qualche ideologia; la festa che si fa rispettare non festeggia un
fantasma …
Come
quella di san Francesco, di conseguenza anche quella nostra, non può
essere una "pensata" plebea e chiusa nel mondo popolare. Da quella
intuizione di san Francesco i presepi si sono moltiplicati, specie
in Italia, grazie ai misteri celebrati in cui personaggi viventi
mimano le scene descritte nei Vangeli. Solo dal XVI secolo le statue
sostituirono le persone, venendo esposte nelle chiese durante il
tempo di Natale.
Tuttavia,
vorrei porre maggiore attenzione alla distinzione tra presepe
vivente e "presepe vivo". Esso diventa "vivo" quando vi si infondono
la fede e la preghiera, come fanno iconografi orientali nell’atto di
dipingere immagini sacre. Se mi posso permettere, vorrei suggerire
un piccolo impegno per questo Natale: in un momento quando ci
troveremo soli davanti a un presepe, soprattutto di fronte a quello
che abbiamo in casa o a quello in chiesa, consiglierei di guardarlo
da contemplativo (la contemplazione non è esclusiva della
religione); chissà, forse potrebbe essere il più bel regalo che
abbiamo fatto a noi stessi per questo Natale.
Il
presepe è un sito che accomuna tutti (chi frequenta la chiesa e chi
non la frequenta più, chi crede e chi non crede), è uno di quei
luoghi in cui ritroviamo la nostra identità, le nostre radici; è tra
i nostri più remoti ricordi. Oggi, quando si compie un vero e
proprio attentato a quello che ci è più caro, ai valori fondamentali
della nostra storia, e si vuole sconvolgere l’ordine naturale della
convivenza umana e civile, a volte a modo di sfogo ci viene da dire:
non ci si capisce più niente. Il problema non sono gli altri, il
problema siamo noi; l’Occidente sembra minacciato piuttosto dalla
propria crisi d’identità e da uno svuotamento interiore senza
precedenti.
Un
tradizionale canto polacco, dopo aver narrato la storia della Santa
Notte di Natale, trae questa conclusione: perché oggi c’è tanto
dolore e tante lacrime tra la gente? E in risposta dice: Perché non
c’è più posto per Te Gesù nei cuori di tante persone. L’antica
saggezza popolare di sicuro ha colto perfettamente quello che tante
volte non vogliamo ammettere.
Ha
scritto Silesio:
Nasce
pure mille volte Gesù a Betlemme, non serve a nulla se non nasce in
te …
(Nella
foto il presepio della Parrocchia di S. Maria Assunta in Cielo del
Natale 2009)