da "FIGHTING PAISANO" di ALFONSO FELICI Parte II 6 |
Tedeschi nemici dell'Italia |
Ero ormai in via di guarigione e pensavo di andare a casa. Erano più di cinque mesi che ero degente all'ospedale del Celio e ne avevo viste di tutti i colori: le visite della Regina Elena, della nuora la Principessa di Piemonte, dei gerarchi, dei generali e dei molti ragazzi e delle belle ragazze che venivano a farci passare qualche ora in allegria, portando doni. Una volta mi venne a trovare un'annunciatrice dell'EIAR (129), una certa Ema Toso, che volle intervistarmi avendo letto sui giornali le mie gesta di guerra come il più giovane Alpino d'Italia. Mi avevano tolto il gesso e il braccio era sotto rieducazione con i teneri massaggi delle crocerossine, fra le quali la contessa Marchesano Ridolfi. Avevo fatto amicizia con tre Alpini anche loro reduci dalla Russia, ed ogni sera andavamo a bere qualche bicchiere di buon "Frascati" nelle osterie. La sera dell'8 settembre ci trovavamo in un'osteria di Trastevere a bere e a cantare allegramente. Ad un tratto spuntò una donna tutta eccitata e ci disse: "Ragazzi la guerra è finita, la guerra è finita!" L'oste accese la radio e potemmo ascoltare ogni cinque minuti il messaggio di Badoglio che annunciava l'armistizio. Due soldati tedeschi, ai quali avevamo dato da bere, si alzarono dal nostro tavolo e si allontanarono senza salutare. Rimanemmo sulla strada a commentare con i civili l'accaduto. Subito tutta la zona di Roma fu posta in stato di guerra. Dei camion militari vennero a prelevarci con i carabinieri e, nonostante le nostre dure proteste di feriti di guerra, ci portarono tutti alla Cecchignola. I nostri reclami aumentarono ma non ottenemmo altro che essere armati in breve tempo di tutto punto, con fucili e bombe a mano, ma senza elmetti. Ci assegnarono ad una Compagnia improvvisata con soldati d'ogni specialità d'arma, fra loro vi erano quattro marinai ed un aviere, noi eravamo gli unici Alpini. Sistemati in un largo cortile e inquadrati con altri plotoni eravamo in attesa di ordini. Al centro un colonnello ordinò l'attenti, mentre un generale pronunciò un breve discorso, spiegando il drammatico e critico momento di difendere la Patria e cacciare i tedeschi da ogni parte d'Italia. Ci caricarono sui camion e ci portarono alla Magliana. Lì marciammo vicino ad un campo di canne, comandati da un capitano, ed ognuno ebbe il compito, in diversi punti, di far fuoco non appena sarebbero giunti i tedeschi. Eravamo, praticamente, vicino al Tevere e all'autostrada di Ostia. A me che avevo il grado di sergente maggiore, avevano assegnato una squadra e fra questi c'erano i miei amici Alpini. Erano le nove di sera, ma non c'erano segni di tedeschi; lontano si udivano i colpi d'artiglieria vicino la "Montagnola" (130) ma non sapevamo di chi fossero. Durante la notte in diverse zone si sentivano esplosioni e fuoco di mitragliatrici. La confusione era enorme, non esistevano mezzi di comunicazione fra reparti, e non sapevamo se avanzare o ritirarci. All'alba una pattuglia tornò con la notizia che diversi carri armati tedeschi si dirigevano verso di noi. Il capitano ci ordinò di andare verso il ponte ed aspettare. Arrivò una motocicletta portaordini e l'ordine fu di raggiungere la "Montagnola" dove avremmo dovuto, al più presto, unirci ad altri reparti. Ma non facemmo in tempo. I carri armati tedeschi aprirono il fuoco contro di noi. Immediatamente iniziammo a sparare contro i soldati che seguivano i carri armati, ma fu inutile. I carri tedeschi continuarono a far fuoco e ci costrinsero a fuggire nelle campagne. Corremmo fino a "Tor Carbone" (131) cercando di formare una linea di difesa, ma inutilmente poiché i reparti di paracadutisti tedeschi cominciarono ad accerchiarci. Il capitano demoralizzato ordinò: "Si salvi chi può!", e allora la massa si sparpagliò e tutti ci ritirammo con gran disordine. Come si poteva combattere con soldati senza addestramento ed adatti solo a presidiare la zona di Roma? Dove erano le forti Divisioni? I paracadutisti tedeschi avanzavano e le esplosioni erano incessanti. Correndo mi ritrovai sull'Appia antica fra le rovine delle tombe romane, e non avendo nessuna specifica destinazione riparai sotto una di queste tombe e, stanco, aspettai. Guardai la Via Appia e pensai a quanti soldati romani, con le loro vittoriose legioni, erano passate su quella strada e allora mi sentii miserabile e sconfitto andando nella direzione sbagliata. Esausto mi addormentai con il fucile fra le mani. Non ricordo per quanto tempo rimasi addormentato, ma mi svegliarono a colpi di calcio di fucile una dozzina di soldati tedeschi che mi sollecitarono ad alzare le mani. Con loro c'era un giovane ufficiale che mi apostrofò: "Ecco un altro soldato dell'esercito degli spaghetti". Diede un'occhiata alle mie decorazioni militari e continuò, mentre mi additava ai suoi soldati: "Guarda quante medaglie, perfino una Croce di Ferro tedesca e la campagna di Russia... non male per un 'maccheroni'. Ed ora il nostro eroe combatte contro i suoi camerati tedeschi. Verater!"(132) L'ufficiale arrabbiato, mi strappò il nastrino della Croce di Ferro tedesca, cucita sull'asola della mia giubba, e gridò dandomi un calcio: "Portatelo con gli altri! " Tenuto sotto tiro da un soldato, fui accompagnato giù nella strada dove altri soldati italiani catturati aspettavano di essere caricati sui camion. Nascosti sotto gli alberi sostavano tre "Tiger" (133) con un gruppo di soldati attorno. Più tardi arrivarono dei camion per caricarci e mentre si accostavano lungo il lato della strada sfruttai l'attimo propizio. Eludendo la guardia dei soldati, mentre questi ordinavano di salire sui mezzi, con uno scatto passai fra due camion e fuggii verso l'altro lato della strada saltando il muretto di una villa. Mi spararono dietro molte raffiche di mitra ma ormai correvo fra le siepi e riuscii a guadagnare un'uscita, dove una donna mi nascose dietro il fosso della sua casa coperto da piccoli alberi e siepi. Rimasi nascosto per circa un'ora, poi la donna venne ad avvisarmi che più giù c'erano altri cinque soldati italiani e mi chiese se volevo unirmi a loro. Mi diede un pezzo di pane con le olive che divorai per la fame. Cercai di raggiungere i cinque soldati ma quando arrivai sul posto non c'erano più. Allora decisi di raggiungere la Via Casilina con l'intenzione di raggiungere il quartiere San Lorenzo e rifugiarmi da mia cognata Angelina.
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129.Ente Italiano Audizioni Radiofoniche, oggi RAI. Zona di Roma vicino al quartiere Testaccio. Zona di Roma presso l'E.U.R. - Appia Antica. Traditore! Carri armati.
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dicembre 2004