Maria
Cristina Assunta Olivieri |
ZA' CRISTINA LA "NECCIA" |
Streghe, chiromanti e maghi di ogni genere ormai fanno
parte della vita sociale della comunità, non solo del presente ma anche
del passato. Oggigiorno, il mondo dei mass-media vede la loro presenza
costante con, in particolare, trasmissioni televisive nelle quali tentano
di dare risposte alle più disparate richieste della gente. Chi sono i
maghi veramente? Ciarlatani o taumaturghi investiti di poteri
straordinari? Ad ognuno la propria opinione!
Anche a Villa Santo Stefano attualmente esistono
appassionati dell’occulto. Un retaggio del passato quando il paese ha
annoverato diversi cultori praticanti. Il più famoso dei quali è stata
certamente una donna: Cristina Olivieri, conosciuta come za' Cristina "la
neccia", soprannome derivato dal fatto che fosse assai magra.
Maria
Cristina Assunta Olivieri, questo è il suo nome completo, come risulta
all’anagrafe, è nata a Villa Santo Stefano il 10 luglio 1871, da Vincenzo
e Damina Lucarini. Si è sposata con Stefano Sebastiani e tra i suoi figli
ricordiamo Vincenzo, nato il 26 giugno 1901, conosciuto come Cencio, noto
Maestro di Mensa e colui che forse detiene il record di longevità della
Panarda con quasi 60 anni. Cristina è deceduta all’età di 73 anni, il 15
novembre 1944, dopo aver trascorso una vita normale a prendersi cura della
famiglia.
Nel contesto sociale dell’epoca, inizio decadi 1900,
tra miseria e scarsa prevenzione igienica, l’insorgenza di malattie e
pestilenze trovava terreno fertile. I medici, in fondo, con grande
abnegazione facevano quel che potevano coi pochi mezzi a disposizione e
con l'alto costo delle medicine. In una situazione simile spesso capitava
che "l’arte magica" si sostituisse alla medicina ufficiale. Infatti, si
diceva a coloro che soffrissero di qualche male: "Vai da za' Cristina che
ti fa il rimedio", ovvero ti dà la soluzione al problema. E così, con il
passaparola, la sua fama di guaritrice ha acquistato una dimensione extra
paesana, tanto da permetterle di ricevere anche i forestieri.
Sin da giovane Cristina si era interessata a
stregonerie e riti magici che imperversavano all’epoca. La sua passione è
iniziata quasi per scherzo sollecitata soprattutto dalla richiesta di
amicizie bisognose di aiuto e che in cambio davano monete o generi di
conforto, sempre bene accetti all'epoca. Cristina aveva rispetto per la
religione cristiana e cercava di fare in modo che il "suo lavoro" non fosse
in conflitto con la religione stessa. La gente si rivolgeva a lei per
svariati motivi, tra i più importanti erano senz’altro le guarigioni dai
malanni, ma c'era anche la sfera privata: l’amore
insomma. Praticava "l’arte magica" per combinare fidanzamenti e matrimoni.
Come ad esempio nel farsi consegnare il fazzoletto dalla persona
richiedente e congiungerlo con un nodo stretto con il fazzoletto della
persona amata. In tal modo, passato qualche giorno, "sbocciava l’amore".
Tale modo serviva anche a risolvere crisi tra innamorati. za' Cristina non
disdegnava anche l’uso di filtri d’amore composti da semi di piante
miscelati con acqua. Pozioni ritenute miracolose e che, a buon fine, le
erano valse la fama di maga della concordia.
Qualcuno la ricorda mentre con un mortaio polverizzava
delle ossa, che lei spacciava per umane, quale ingrediente essenziale di un
filtro magico di alto effetto e, naturalmente, di alto costo, vista la particolarità della
materia prima di difficile reperibilità. Sicuramente erano ossa animali,
anche perché, all'epoca, c'era un forte controllo
dell'amministrazione pubblica e della curia locale che mal sopportavano
efferate stregonerie.
In quel periodo una delle malattie di maggior
diffusione era l’itterizia. Il viso e il corpo delle persone affette
presenta un colorito tipico giallastro. Za' Cristina per debellare il
malanno usava una tecnica particolare denominata: "fierrö spiersö".
Prendeva una noce, la bucava ed inseriva nel buco dei ragni. Per quaranta
giorni bisognava portare la noce a mo’ di collana, ed in siffatto modo,
spariva il colorito giallastro della pelle. Inutile dire che da questa, ed
altre malattie, si guariva per il decorso naturale della stessa
e, addirittura, filtri e intrugli vari non potevano che peggiorare la
situazione.
Per altri malanni che tartassavano la popolazione
consigliava un altro rimedio: occorreva trovare una piantina denominata,
"tassö barbassö". Dopodiché la mattina si urinava sulla piantina
salutandola così: "buonasera!". La sera si urinava di nuovo ma con il saluto:
"buongiorno!". Allorché la piantina si seccava, la persona affetta, guariva
dalla malattia (?!).
Altra tecnica usata per debellare varie sintomatologie
prevedeva l’uso di occhiali posticci, rimediati alla bene e meglio, con
foglie di fico d’india come asticelle, da portare sempre per quaranta
giorni. Inoltre per la malaria, za' Cristina consigliava di fasciare i
polsi e la parte superiore della mano con erbe selvatiche. Insomma, come
si evince, la guarigione era affidata a metodi empirici che possono essere
etichettati come originali e taluni addirittura bizzarri, tanto da far
sorridere.
In conclusione, questo racconto di vita popolare
dimostra che anche Cristina Olivieri nel suo piccolo ha contribuito alla
storia sociale del paese.
Augusto Anticoli