Guido Iorio era uno dei tanti ragazzi cresciuti nel mito di un’ Italia maschia e guerriera, abituati ad indossare la divisa fin dalla tenera età, prima come figlio della lupa, poi, come balilla, avanguardista, giovane fascista, nelle adunate dei sabati, nelle esercitazioni premilitari, agli ordini di Peppino di Bianca. Nato in una famiglia di muratori, fin dall’età giovanile aiuta il padre Augusto ed il fratello maggiore Innocenzo (Cencio) nella costruzione delle prime case di pietra al Macchione, di quelle nuove della Vigna, della Casa del Fascio (oggi sede comunale), dove tutti gli artigiani del paese,alla fine della loro giornaliera attività, dovevano lavorare un’ora gratis secondo il dettame dell’epoca "ognuno porti la propria pietra al cantiere". Negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza Guido si avvicina alla musica, fedele compagna della sua vita, prima suonando nella banda di Don Amasio Bonomi poi seguendo le lezioni del maestro Lorenzo Bravo.
Parte come militare a vent’anni, il 2/2/1940; la mattina di quel giorno saluta la sua famiglia e sale sulla Corriera di Angelino Palombo, che non si fa pagare il biglietto in segno di amicizia. Lascia Villa S. Stefano con il cuore pieno di sentimenti contrastanti e con l’incertezza ed il timore del futuro. Quella giornata è lunga ed indimenticabile, in mattinata arriva al Distretto di Frosinone che lo assegna all’8° Reggimento Genio in Via Nomentana a Roma, inquadrato nella Divisione di Camicie Nere "XXIII Marzo", destinazione che raggiunge in serata con il treno. In Caserma è sistemato in un capannone dove trova gli arruolati in partenza per l’Africa Settentrionale, giovani provenienti da tutta Italia che sanno poco della politica Italiana, ma sono pronti ad obbedire. Rifornito di tutto l’equipaggiamento militare il 25 febbraio 1940 è imbarcato da Napoli sulla nave Piemonte con il battaglione 203 misto genio alla volta dell’Africa Settentrionale. Dopo tre giorni approda a Tobruk, da dove è trasferito con un’autocolonna attraverso il deserto per raggiungere Martuba vicino Derna, qui rimane tre mesi fino allo scoppio della guerra. Il Reparto è adibito alla costruzione della "Balbia" (dal nome del Governatore Italo Balbo), l’imponente strada, lunga circa 1800 Km che congiungeva la Tunisia all’Egitto passando per la Tripolitania e la Cirenaica tra il deserto ed il mare, ancora oggi funzionante come Strada Statale Costiera. La notte del 10 giugno il campo italiano nel quale si trova Guido subisce il primo bombardamento inglese senza gravi danni, l’11 il reparto si sposta verso l’Egitto per affrontare le truppe inglesi; il fronte rimane senza sostanziali cambiamenti fino al 10 settembre 1940, quando inizia l’avanzata al comando del Maresciallo Graziani, subentrato a Balbo, perito in un incidente aereo. Gli italiani occupano Sollum ed arrivano sino a Sidi El Barrani dove vengono fermati dalla controffensiva inglese e costretti a ritirarsi fino a Bardia, sul confine egiziano. E’ il 10 dicembre 1940, la città è accerchiata e sottoposta a continui bombardamenti dal cielo, da terra e dal mare fino al 4 gennaio 1941, quando la guarnigione, priva di rifornimenti, è costretta ad arrendersi. Guido, ferito alla spalla sinistra, con i suoi commilitoni, viene catturato da soldati australiani ed inizia la triste condizione di prigioniero seduto a terra, in pieno deserto, con le mani alzate, senza cibo ed acqua. Dopo tre giorni gli italiani vengono avviati lungo il deserto, per circa 30 Km, fino a Sollum Bassa; nel tragitto gli inglesi gridano continuamente "Come on" e con le armi li tengono a bada ed impediscono di aiutare quelli che cadono e restano a terra destinati ad una crudele fine. Da Sollum i prigionieri sono imbarcati fino ad Alessandria d’Egitto, da qui con un treno vengono trasportati a Suez per essere destinati ai campi di concentramento; Guido è assegnato ad uno in India nella zona di Ramgar, nella foresta del Bengala. Raggiunge con una nave Bombay, dove gli italiani vengono fatti sfilare nelle vie della città ed esibiti come trofeo alla popolazione locale, e successivamente il luogo di prigionia. All’arrivo nel campo lasciano i loro stracci che sono bruciati, ricevono i panni di prigionieri e vengono identificati con un numero di matricola, Guido diventerà il prigioniero "italian n° di matricola161226." Il campo è circondato da un alto reticolato e sorvegliato sulle garitte da sentinelle indiane sempre pronte a sparare su eventuali fuggitivi, nella parte centrale sono montate le tende, in ognuna sono alloggiati sei prigionieri, che ogni mattina e sera vengono incolonnati per quattro e sottoposti alla conta da ufficiali inglesi. Il vitto (patate, riso, zucche, orzo) molto scarso è consegnato in natura e cucinato dagli stessi italiani, ma non riesce a soddisfare la fame che risulta sempre il grande nemico dei prigionieri divenuti ormai l’ombra di se stessi. Guido per sopravvivere accetta di suonare il clarinetto, il sabato nell’orchestrina inglese, che allieta le famiglie degli ufficiali, in cambio di avanzi che sfamano anche i suoi compagni. Quel campo un giorno viene visitato dall’arcivescovo olandese Kierkeis, Delegato Apostolico nella sede di Bangalore. La matricola 161226 chiede agli inglesi un’udienza con il prelato per avere notizie dello zio padre Augusto Lombardi, missionario in India, l’incontro provvidenziale e risolutivo per la sua vita gli viene accordato. In quell’occasione il miracolo si compie, alla domanda di Guido se conosceva padre Lombardi, l’arcivescovo risponde che era con lui; a questo punto aggiunge di poterlo incontrare e di essere trasferito in un campo più vicino al familiare, Kierkeis gli fa delle promesse che riuscirà a mantenere. Dopo diciotto mesi il prigioniero viene trasferito in un campo a Bangalore, vede durante il viaggio il cancello con la scritta inglese "Delegazione Apostolica" e il suo cuore batte forte, finalmente c’è in lui la speranza di poter incontrare un parente, proprio in India, e ricevere un conforto umano e cristiano. Nella nuova sistemazione la condizione della sua vita è più accettabile per il clima e le condizioni ambientali migliori, per la vicinanza di altri compaesani, Vincenzo Bonomo, Fracassino Iorio, Angelomaria Lucarini che si trovano in campi limitrofi. Finalmente, dopo le dovute indagini, la domanda di incontrare lo zio è accolta e Guido accompagnato da un ufficiale maltese si reca a bordo di una jeep presso la Delegazione Apostolica. Alla presenza dell’ufficiale zio e nipote si abbracciano commossi e increduli, si parlano con gli sguardi più che con le parole, il momento è intenso e indimenticabile; a quel primo incontro ogni quindici giorni ne seguiranno degli altri in cui il prigioniero viene incoraggiato e spronato a resistere, rifocillato con cibo e qualche indumento e messo a conoscenza dei messaggi trasmessi dalla radio vaticana inviatigli dalla madre e dalla fidanzata Maria. I messaggi suscitano in lui le emozioni più belle e toccanti della prigionia, sono gli unici momenti d’amore in un mondo di crudeltà e sofferenza, le sue donne l’aspettano e promette a se stesso che lotterà. La prigionia scorre con le solite modalità, ma si profila qualche momento più umano con la creazione dell’orchestrina "Maramao" che accoglie le autorità e il tempo dedicato a lavoretti di ricamo. Nel febbraio del 1943 viene trasferito in Inghilterra nella città di Glasgow e dopo un periodo di quarantena lo assegnano al Monymust Deer Park Camp dal quale ogni mattina esce per recarsi a lavorare nelle segherie, nelle macellerie, nei campi, sulle strade curando la loro manutenzione fino al giugno del 45. L’ultimo periodo fino ai primi di luglio del 1946 lo passa nella Farm (fattoria) della famiglia inglese Bern, alle dipendenze del signor Ben, è impegnato nei lavori agricoli adoperando mezzi meccanici, dorme in una piccola stanza, ha cibo sufficiente ed è trattato dopo tanto tempo come un essere umano. Guido viene rimpatriato in Italia con la nave inglese Corfù e dopo una settimana di viaggio arriva al porto di Napoli. Durante la navigazione sul ponte della nave s’imbatte in un prigioniero, i due si scrutano a lungo, faticano a riconoscersi, alla fine si dichiarano, l’altro è il santostefanese Iorio Giuseppe che gli chiede un pezzo di pane, ma la sua richiesta purtroppo non può essere soddisfatta. Da Napoli con il treno si sposta a Roma per presentarsi nella caserma di via Nomentana, da dove era partito, per formalizzare la sua documentazione e la licenza, lì dopo tre giorni è rilasciato e può raggiungere sempre in treno Ceccano. Questa volta il viaggio è vissuto con gioia, ma nello stesso tempo con trepidazione e ansia, sono passati sei anni, la guerra ha seminato morte e distruzione anche in queste terre, che ne sarà della sua famiglia e del suo paese? Arriva a Villa S. Stefano a piedi, dopo la mezzanotte, bussa a lungo e finalmente ritrova e abbraccia i suoi cari, è un’emozione molto forte, la madre Alessandrina nel vederlo sviene e si riprende a fatica. Nel periodo della prigionia del figlio la donna era stata per due anni senza sue notizie, col cuore colmo di angoscia e con fede si era rivolta alla Madonna dello Spirito Santo donandole i suoi orecchini di sposa e chiedendole di proteggerlo.
Al ritorno Guido ritrova anche la fidanzata Maria che sposerà il 28 giugno del 1947, s’arruola nel 1952 nella Polizia Penitenziaria fino al 1974 e dovrà ricostruire la sua identità di uomo annientata da sei anni di prigionia in cui non era altro che il numero di matricola 161226. Maria Teresa Planera
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