Pomponio Palombo fa testamento di tutti i suoi beni il 10 marzo 1592, cioè qualche giorno prima di morire. Infatti, lo stesso notaio Cinzio Pennazzolo, in data 12 marzo 1592, nell'atto di presa di "Possessio domus pro Comunitate Privemi" (1), erede per testamento, da parte del Sindaco pro tempore Giovanni Battista Guarino, presenti anche tre ufficiali, Blasius Massarius, Petrus Gallatius e Vincentius Rotundus, parla del "quondam D. Pomponii Palumbi", cioè del fu. La casa del benefattore, sita in Privemo in "Porta Paulina", confinante con i beni di "Antonii Cappelle de' S. Padre", la via pubblica e i beni di Cristofaro Alonzo, ha una "fabrica contigua noviter facta et alia domuncula...". Da alcune indagini effettuate sembra che la "domus Palumbi" sia quella posta proprio nella Via Pomponio Palombo, di proprietà della famiglia del Sig. Neroni Federico. A tal proposito, è opportuno segnalare la testimonianza orale della Signora Capodilupo Agostilia, ottantenne, che ha vissuto da sempre in questa casa e che ricorda le pareti affrescate, soprattutto quelle di un salone di circa 70 metri quadrati, che riceve luce da tre bifore, collocate sulla parete di destra entrando, e che è sorretto al centro da una grande colonna in pietra lavorata. Fino al 1920, secondo lei, potevano osservarsi nelle pareti figure di santi e scene religiose, mentre tra due bifore vi era dipinta un'icona, rappresentante la Madonna con Bambino, che aveva avuto nel paese molta devozione. Nel testamento di Pomponio Palombo, possiamo individuare quattro parti principali. Nella prima parte, che può essere considerata la premessa, e che è simile a quella di tanti altri atti testamentari, anche di epoche successive, il testatore si dichiara cosciente "per grazia di Dio" dei propri sentimenti e in grado di ragionare, parlare e capire, anche se indebolito di fisico. Pertanto, prima di morire e finché la sua mente è sana, vuole dare disposizione circa i suoi beni e le cose che riguardano la salvezza della sua anima. Egli, quindi, fa il suo ultimo testamento (noncupativum), stabilendo i modi e le forme per l'adempimento della sua ultima volontà. Nella seconda parte dell'atto notarile, il testatore, dopo le invocazioni rivolte a Dio e alla Madonna e all'intera Corte Celeste, perchè dopo la morte accolgano la sua anima nella "etema gloria", presceglie "per il proprio corpo una sepoltura nel sepolcro della Compagnia del SS. Sacramento". Stabilisce, quindi, i compensi per il Capitolo e i Canonici della Chiesa Collegiata di S. Maria di Priverno e per le Confraternite che, con "le croci e i sacconi", partecipano ai suoi funerali, nonché le elemosine per la celebrazione di alcune messe in onore della sua anima. A questo punto, e siamo nella terza parte, il testamento detta le disposizioni e le condizioni per l'assegnazione dei beni materiali. In particolare, egli lascia: 1) al Signor Carlo Leo circa quattro opere di terra con alberi di ulivo, "per le buone azioni e servizi da lui ricevuti"; 2) in consegna al Signor Carlo Leo i colori e le cose per disegnare e ciò che è di pertinenza dell'arte della pittura, perché conservi il tutto temporaneamente, per darlo, dopo, al Signor Rutilio Ferrazzolo di Maenza, miniatore nella città di Roma; 3) al Signor Pietro Antonio Petra di S. Stefano, un piccolo casale con orto attiguo, sito in Priverno in Porta Romana; 4) ai figli e nipoti di Ortenzia Palumbo, suoi nipoti di S. Stefano, tutte le possessioni, diritti ed azioni che ha e che in futuro potrà avere contro di loro; 5) a Vittoria Palombo, figlia del fu Pietro Antonio suo fratello germano, e moglie di Rutilio de Tondis da Terracina (lascia), con varie condizioni, tutti i beni, che sono di Pietro Antonio morto senza figli maschi e che sono tornati a lui testatore, secondo il testamento paterno, e inoltre, gli affìtti dei beni dell'altro fratello Camillo Palombo, che si trova fuori il paese; 6) alla Signora Porzia Righi, moglie di Pietro Antonio Petra, un anello d'oro che deve tenere sempre al dito e un cucchiaio ed una forchetta d'argento con figure decorate da lui stesso; 7) alla Signora Claudia Righi, moglie del notaio Giovanni Antonio Gravina, tutto ciò e qualunque cosa la stessa Claudia oppure il marito gli devono per qualunque motivo o causa; 8) al Signor Carlo Leo, scudi sessantadue e baiocchi due e mezzo che deve ricevere dagli ufficiali di Roccasecca quale prezzo del grano ad essi venduto, con l'impegno di pagare i debiti al farmacista Ascanio Causilio, per tutte le medicine che gli sono servite e che gli potranno servire durante la malattìa, e ai signori Silvio Gambetti, Erminio Visca, Ersilio Visca e Giovanni Miccinilli; 9) a Carlo Leo, scudi uno perché lo consegni a Mastro Napoleone di Sermoneta; 10) a Pietro Spadaro di Castro Giuliano, nove dei diciannove giuli che deve restituirgli, a seguito di prestito, mentre i restanti dieci giuli a Domenico di Paolo Leo di S. Stefano. Nella quarta ed ultima parte, troviamo le notizie principali del testamento, che si riferiscono all'istituzione della scuola di grammatica, finanziata con i fondi del suo lascito. Pomponio Palombo, infatti, nomina la Comunità della Terra di Priverno erede di tutti i suoi beni stabili, con le seguenti condizioni: 1) di non poter vendere, ne alienare i beni, perché dai loro frutti, proventi e redditi si possa ricavare una rendita per pagare il salario ad un maestro di grammatica; 2) di aprire e mantenere in perpetuo un ginnasio, per la salute dell'anima sua e per la pubblica utilità; 3) di nominare un maestro abile ed idoneo per dottrina e per costumi, da pagarsi con gli introiti dei suoi beni; 4) di intervenire con fondi propri della Comunità o di provvedere in altro modo, qualora le rendite dei suoi beni non fossero sufficienti a pagare il maestro; 5) di ritenere ed istruire nello stesso ginnasio, oltre gli scolari di Priverno, anche gli scolari di Castro S. Stefano, patria sua, gratis e senza compenso; 6) di accogliere gli scolari forestieri e di esigere e stabilire per loro un giusto salario; 7) di farsi carico di nominare e incaricare un rettore per la cura di detto ginnasio; 8) di non tener vacante, cioè senza maestro, per "aliquod tempus", il ginnasio, per colpa, negligenza e difetto nel condurre lo stesso, pena la privazione dell'eredità e l'acquisizione e devoluzione di essa con tutti i diritti all'Ospedale S. Spirito di Roma; 9) di vendere o elienare alcuni dei beni di minor valore e di acquistare con il ricavato beni stabili di maggiore utilità, frutti e censi; 10) di tenere sempre affissa sulla porta del pubblico ginnasio una lapide marmorea di palmi tre di altezza, con l'iscrizione del suo nome e cognome e con l'armi e le insegne della sua casa e famiglia. È da rilevare che l'atto notarile, come si evince nella parte finale, è scritto nella casa del Signor Carlo Leo, alla presenza anche di vari testimoni, tutti di Priverno, che si firmano e sono: Pietro Galfascio, Bernardino di Domenico Coletta, Antonio di Francesco Ronci, Pietro Accaddo, Alessandro Accaddo, Pietro di Antonio Colandrea e Francesco Antonio Cole Andrea. Non va trascurato, inoltre, per memoria, il sigillo del notaio Cinzio Pennazzolo di Priverno, costituito da una rosa con il gambo ad esse prolungata, cioè con tre dorsi, su ognuno dei quali c'è una foglia. Il gambo poggia su una base, a forma di vaso, con le iniziali del notaio (CP) all'interno del prospetto, al di sotto della quale in un rotolo orizzontale spiegato, si legge: "SPES MEA DEUS". Fin qui il testamento. Per concludere, però, il paragrafo è necessario affrontare altri due importanti problemi. Il primo è quello della lapide marmorea, richiesta dal Palombo sulla porta del ginnasio. La Comunità di Priverno, in ottemperanza a quanto prescritto dal testatore, fa realizzare l'iscrizione e la colloca all'ingresso delle scuole. Fortunatamente, essa si è salvata dall'incuria del tempo e, anche se un pò rovinata, ci permette di conoscere parte dello stemma della casa e della famiglia del benefattore. La lapide, di forma quadrata, porta in alto il nome di Pomponio Palombo, al centro lo stemma, dal quale si riesce a distinguere una colomba, che ha nel becco rami di ulivo, mentre, nel basso, troviamo un'iscrizione di due righi quasi illegibile. La lapide si trova nella casa di proprietà degli eredi Marino, (che si ringraziano). Sita in Via Consolare, presso Porta Romana. Il secondo problema riguarda la conoscenza e la definizione della rendita effettiva, che dai beni stabili del Palombo si poteva ricavare. Nel testamento non sono indicati o elencati ne i beni ne la rendita. Fra Teodoro Valle, nel 1646, ritiene che l'eredità frutta, complessivamente, centocinquanta scudi l'anno, mentre in vari documenti successivi la rendita è fissata in duecento scudi annui. A.S.L Estratto da: PER UNA STORIA DELLA SCUOLA A PRIVERNO - IL COLLEGIO DI SAN NICOLA - Di SILVIO BARSI (MAGGIO 1985) |
agg. giugno 2008