Villa Violenta, cronache giudiziarie santostefanesi tra '800 ed inizio '900 - Rubrica a cura di Ernesto Petrilli
 

GIACOMO PALOMBO

5 maggio 1921

IN NOME DI SUA MAESTA’

VITTORIO EMANUELE III

PER GRAZIA DI DIO E VOLONTA’ DELLA NAZIONE

RE D’ITALIA

Il Tribunale Penale di Frosinone composto dai signori Frezza Carlo, Presidente, Santoro Giacinto e Rubirio Francesco, Giudici, ha pronunciato la seguente sentenza nelle cause penali in seguito di sentenza di rinvio nr.295 del 1921 e nr.52 del 1922 del registro generale

CONTRO

  1. Palombo Giacomo fu Rocco e fu Tambucci Maria, di anni 46;
  2. Marafiota Michele fu Bruno e fu Spirito Geltrude, di anni 47;
  3. Buzzolini Guglielmo fu Carlo e fu Bonomo Cecilia, di anni 71;
  4. Biasimi Ginesio di Luigi e di Anticoli Cristina, di anni 22;
  5. De Filippi Natalino d’ignoto e di De Filippi Assunta, di anni 23;
  6. Marella Ortensia Almerinda fu Giacinto e fu Blasi Caterina, di anni 45.

Tutti di Villa S. Stefano; il Palombo detenuto e tutti gli altri liberi e presenti

IMPUTATI

Il primo

a) di lesioni multiple con arma in danno di Marafiota Michele che produssero a costui pericolo di vita, e varie ferite guarita la prima in giorni sei, la seconda in giorni trenta, la terza in giorni trenta e l’ultima in giorni sei (art. 372 nr.1, 373 C. P.);

b) del reato previsto dall’articolo 156 C. P. per avere il 5 maggio 1921 in Villa S. Stefano usato minacce di grave ed ingiusto danno a Marafiota Michele con le Parole "il pugnale di Rocco Palombo non ha mai fallito, se esco farò peggio di Musolino"(famoso brigante);

c) del reato previsto dagli articoli 464 nr. 2 in relazione all’articolo 470 nr. 1 C. P. con l’aggravante nr. 2 dell’art. 465 legge 2 luglio 1908 per avere portato nelle circostanze anzidette un pugnale fuori dalle adiacenze di casa sua, essendo recidivo "in eodem" (per lo stesso reato) e già condannato per delitti contro la persona;

d) del reato previsto dagli art. 1 e 5 del R. D. 3 agosto 1919 nr. 1360 per omessa denunzia di detta arma.

Il secondo, il terzo, il quarto e il quinto (imputati) del reato di cui agli art. 63 e 72 C. P., per avere in correità fra loro prodotto varie ferite a Palombo Giacomo guarite in giorni quindici, con giorni dieci di incapacità al lavoro.

La sesta (imputata) di complicità nel reato di lesioni ascritto a Palombo Giacomo, per avere il giorno 5 maggio 1921 in Villa S. Stefano istigato costui a commettere lesioni multiple con arma in persona di Marafiota Michele che produssero al medesimo malattia per giorni trenta con pericolo di vita.

IL FATTO

Osserva che verso le ore 16 del 5 maggio 1921 Palombo Giacomo, un po’ brillo per vino bevuto, stando sulla pubblica piazza Umberto I, si mise a pronunziare frasi che, sebbene non specificatamente dirette a persone, pure alludevano al gruppo fascista di Villa S. Stefano e più precisamente a certo Marafiota Michele, capo dei fascisti e cognato del Palombo col quale da anni non corrono buoni rapporti a causa di una divisione ereditaria. Mentre il Palombo gridava il Marafiota, ad evitare questioni si allontanò, ma non appena il Palombo venne condotto via dalla propria moglie Marella Ortensia, il Marafiota ritornò sulla Piazza e rimproverò un gruppo di fascisti che ivi si trovava, perché avevano tollerato, senza reagire, gl’insulti rivolti dal Palombo contro i fascisti. Subito tra i radunati sorse una certa agitazione e vi era chi, tra i più scalmanati, voleva andare a raggiungere il Palombo, che si era diretto verso la sua abitazione, e percuoterlo. Prevalse però il pensiero dei più calmi, fra i quali il Marafiota e si pospose qualsiasi azione contro il Palombo, anche per l’intervento del sindaco (Massimo Iorio) il quale energicamente vietò qualsiasi manifestazione.

Se non che dopo circa un’ora, un gruppo di fascisti tra i quali vi era il Marafiota, decise di fare una passeggiata, e col gagliardetto in testa ed al canto dei loro inni si diressero per la strada che mena (conduce) al cimitero e sulla quale trovasi la casa di Giacomo Palombo. Avevano i fascisti percorso un 500 metri di strada ed erano giunti alla cona di San Marco, a circa 100 metri dalla casa del Palombo, quando questi uscì sulla strada ed agitando il cappello e gridando "Viva il Re, viva l’Italia, viva i fascisti!" andò in contro al gruppo e si unì a questo che erasi intanto fermato ed aveva accolto con altri gridi di "evviva" il Palombo. Costui, messosi a braccetto con un fascista, seguì il gruppo che aveva ripreso la via per tornare al paese. Ad un tratto Marella Ortensia, moglie del Palombo, avendo notato che nel gruppo dei fascisti vi era anche suo cognato Michele Marafiota incominciò a gridare contro costui e disse al marito che era stato proprio lui a condurre i fascisti per quella via per farlo bastonare. Il Palombo, senza profferire parola, si staccò dal braccio del fascista al quale era vicino e si portò alla testa del gruppo, dove trovavasi il Marafiota, e presolo per un braccio lo colpì ripetutamente con un arma da punto e taglio, la di cui natura non fu bene distinta, producendogli lesioni che cagionarono pericolo di vita e delle quali due guarirono in 30 giorni. Subito dopo il Marafiota venne accompagnato nella farmacia Felici per essere medicato ed il Palombo fu malmenato, gettato a terra e colpito con bastonate da alcuni fascisti e quindi venne ricondotto a casa dalla propria moglie. In tale occasione il Palombo riportò lesioni guarite in giorni 15.

In seguito a tali fatti il Palombo venne tratto in arresto e denunciato per lesioni personali. Venne quindi iniziato un procedimento penale contro il detto Palombo e, su denunzia di sua moglie, Marella Ortensia, anche contro tutti coloro che facevano parte del gruppo fascista. Compitasi l’istruttoria formale, con sentenza del giudice istruttore, vennero rinviati al giudizio di questo tribunale Palombo Giacomo, Marafiota Michele, Biasimi Ginesio, Buzzolini Guglielmo e De Filippi Natalino, per rispondere il primo per lesioni del Marafiota e gli altri in danno del Palombo. Successivamente su denunzia di Marafiota Michele venne iniziato altro procedimento penale contro il medesimo Palombo Giacomo e contro la di lui moglie Marella Ortensia, e con altra sentenza del giudice istruttore, tanto il Palombo che la Marella vennero rinviati innanzi questo tribunale per rispondere il Palombo di minacce di grave ed ingiusto danno in persona del Marafiota e di porto di arma insidiosa, e la Marella di complicità nel delitto di lesioni. All’udienza le due cause sono state riunite per la loro evidente connessione.

In ordine all’imputazione di lesioni di cui il Palombo è chiamato a rispondere si osserva che la responsabilità dell’imputato è rimasta pienamente provata dal pubblico dibattimento. Risulta del pari che tutte le lesioni furono cagionate da arma da punta e taglio. Che sia stato il Palombo a ferire il Marafiota è dimostrato non solo dalla dichiarazione della parte lesa ma dalle concordi deposizioni dei testi Fabio Fabi, Bonomi Enrico, Anticoli Luigi, Anelli Giacomo ed Anelli Augusto i quali tutti videre il Palombo colpire il Marafiota. L’imputato, del resto, nel suo interrogatorio non osa negare assolutamente di avere colpito il cognato, ma fa l’ipotesi di averlo ferito con qualche arma tolta in mano a qualcuno dei fascisti. Si osserva che indubbiamente è risultato dal pubblico dibattimento che il Palombo, al momento in cui commise il fatto, non trovatasi nella pienezza delle sue facoltà mentali perché ubriaco. Lo stato di ubriachezza oltre a risultare dalle deposizioni dei citati testimoni, appare evidente dal modi di comportarsi del Palombo che pur non appartenendo al partito fascista, si mise a gridare evviva ai fascisti e si unì a loro, mentre poco prima ne aveva parlato male. Si osserva in ordine all’imputazione di minaccia che nel pubblico dibattimento non si sono raccolte prove sufficienti a suo carico. Invero dalle deposizioni dei testi Iorio Giuseppe (Peppino di Bianca) e Battaglia Antonio risulta che il Palombo, al momento dell’arresto ebbe a dire che "quando sarebbe uscito dalle carceri, avrebbe fatto peggio di Musolino". Queste parole furono pronunciate senza fare allusione diretta al Marafiota e quindi non si può dire cin certezza che il Palombo pronunziandole avesse avuto l’intenzione di minacciare proprio lui. Di più dalla deposizione del dottor Matteo Bonomo appare che quando il Palombo parlava del pugnale di suo padre Rocco non intendeva minacciare alcuno, ma diceva che se avesse avuto il pugnale di suo padre si sarebbe difeso. Pertanto l’imputato va assolto dall’imputazione di minaccia per insufficienza di prove. Del pari il Palombo va assolto dall’imputazione di porto d’arma insidiosa e di omessa denunzia di essa in quanto dalle molteplici deposizioni dei testi escussi non è stato possibile assodare la natura dell’arma di cui il Palombo si servì per ferire il Marafiota.

Si osserva, in ordine all’imputazione di lesione ascritte a Marafiota Michele e De Filippi Natalino che non si sono raccolte prove sufficienti a loro carico. Invero per quanto riguarda il Marafiota due soli testi affermano di averlo veduto menare un colpo di bastone al Palombo. Ma tali testi, Palombo Stefano e Lucarini Antonio, non sono credibili sia perché tale circostanza hanno affermato per la prima volta in udienza, sia perché sono smentiti da altri testimoni i quali affermano che, non appena ferito, il Marafiota fu allontanato e ricoverato nella farmacia in piazza Umberto I, in modo che non ebbe il tempo di menare il colpo. Per quanto riguarda il De Filippo (Natalino ‘ngà ‘ngà) la sola teste Lucarini accenna ad un sasso scagliato da costui contro il Palombo, sasso che non lo colpì. Quindi entrambi gli imputati vanno assolti per insufficienza di prove.

Osserva che invece la responsabilità di Buzzolini Guglielmo e Biasini Ginesio è rimasta pienamente provata dalle deposizioni di Lolli Giuseppe e Palombo Stefano i quali videro i due imputati percuotere con bastoni il Palombo. Osserva che ai detti Buzzolini e Biasini compete indubbiamente il beneficio della grave provocazione perché essi agirono quando videro ferire il loro compagno di fede. Né tale beneficio può essere escluso dal pensare che i fascisti si erano recati a fare quella passeggiata allo scopo di bastonare il Palombo perché nessuna prova vi è al riguardo, anzi essi lo avevano accolto quando era andato incontro al gruppo con evidente contentezza.

Si osserva nei riguardi di Marella Ortensia che non si sono raccolte prove sufficienti a suo carico per far ritenere che essa avesse istigato il marito a ferire il Marafiota. Pertanto la Marella va assolta per insufficienza di prove.

In conclusione il tribunale dichiara:

Palombo Giacomo responsabile del delitto di lesioni con arma con beneficio della seminfermità mentale derivante da ubriachezza volontaria e lo condanna alla pena della reclusione per la durata di anni 1 mesi 5 e giorni 15;

Ginesio Biasini e Guglielmo Buzzolini responsabili del delitto di lesioni, col beneficio della grave provocazione per entrambi e condanna ciascuno di essi alla pena di detenzione per la durata di giorni 10 e ordina che l’esecuzione della condanna per quanto riguarda il Biasini rimanga sospesa per il termine di anni 5.

Condanna il Palombo, il Buzzolini e il Biasini al risarcimento di danni alle parti lese.

 

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