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In
questa nuova rubrica presenteremo le disavventure giudiziarie di molti
santostefanesi e, cioè, di coloro che ebbero la sventura di “sbattere la
capoccia sui gradini della Pretura di Ceccano o del Tribunale di
Frosinone” come amava ripetere, minacciosamente, una solerte guardia
municipale negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso.
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Villa Santo
Stefano in una cartolina dei primi anni del '900 |
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Angelomaria "La Guardia" Iorio
amava ripetere:
“...Sbattere la
capoccia sui gradini della Pretura di Ceccano o del Tribunale di
Frosinone” |
I
reati vanno dal classico furto di galline all’omicidio, spaziando tra
diffamazioni, oltraggi, lesioni personali, furti semplici e qualificati,
minacce, porto abusivo d’arma, appropriazione indebita e altro.
Denominatore comune, soprattutto nei reati contro la persona, è
l’ubriachezza che, nel vecchio codice penale, era addirittura considerata
un’attenuante. Santo Stefano era pieno di “Cantine” (le più note erano
quelle di Ulderico Anticoli sotto la loggia, Di Peppe di Nino appena fuori
dalla “Porta”, di Caterina Anticoli poco più avanti, di Marietta
“Cencetta” e di “’Gnora” Ida) sempre stracolme di gente: zappaterra,
artigiani, pastori e possidenti che “giocavano a vino alla passatella” con
il coltello piantato sotto al tavolino e, molto spesso, con la rivoltella
nella “saccoccia degli cazuni”, pronti a lavare nel sangue la minima
offesa. Le storie raccolte coprono un arco di tempo che va dai
primi decenni dell’800 agli anni ’20 del ‘900 e ben rappresentano il
“ventre molle” di un paese come tanti altri, pieno di odi, rancori,
invidia, pettegolezzi e di gente disposta, per un nonnulla, a saltare il
fragile ed incerto steccato che divide il bene dal male.
Ernesto Petrilli |