PALOMBO
GIACOMO – MARELLA GIACINTO
(19
febbraio 1911) |
In nome di sua Maestà
Vittorio Emanuele II
Per grazia di Dio e volontà della Nazione
Re d’Italia
L’anno 1911, il giorno 28 del mese di settembre in
Frosinone il Tribunale Penale presieduto da Amelio Pasquale ha pronunciato
la seguente
SENTENZA
Nella causa ad istanza del Pubblico Ministero
A CARICO
di
- Palombo Giacomo di Rocco e di Tambucci Maria, di anni 36;
- Bonomo Romeo fu Stefano e fu Bonomo Mariangela, di anni 37;
- Moro Domenico, fu Gaetano e fu Tambucci Antonia, di anni 40;
- Marella Giacinto fu Domenicoantonio e fu Popolla Angela Maria, di
anni 77;
- Marella Almerinda Ortensia di Giacinto e di Blasi Caterina, di anni
34;
- Lucarini Andrea fu Domenico e fu Tiberi Chiara, di anni 56;
- Venditti Antonia fu Simone e di Lucarini Domenica, di anni 39;
tutti di Villa S. Stefano.
Il Primo (Palombo Giacomo) latitante, contumace;
Il Secondo (Bonomo Romeo) e il Terzo ( Moro Domenico)
detenuti, presenti;
Il Quarto (Marella Giacinto), il Quinto (Marella
Ortensia), il Sesto (Lucarini Andrea), il Settimo (Venditti Antonia)
liberi, presenti.
IMPUTATI
I primi due (Palombo – Bonomo) del reato di cui agli
articoli 372, 379 P.P. e 69 C.P., per avere la sera del 19 febbraio 1911
in Villa S. Stefano, in correità tra loro, con arma, e cioè con
rivoltella, con fucile e con coltello prodotto lesioni in persona di Moro
Domenico, lesioni che apportarono malattia per giorni 127 con 97 giorni di
incapacità alle ordinarie occupazioni.
Il Secondo (Bonomo) anche di contravvenzione all’art.
464 C.P. per avere, nelle suddette circostanze, asportato un fucile senza
la prescritta licenza.
Il Terzo (Moro) del reato di cui agli art. 372 e 373
P.P. e 61 C.P. per avere, nelle stesse circostanze di tempo e di luogo,
tentato di ferire con la rivoltella Marella Ortensia.
Gli ultimi quattro di correità (art. 63 C.P.) nel reato
di lesioni ai primi due.
Con verbale del 21 febbraio ultimo decorso i R.R.
Carabinieri di Giuliano di Roma denunziavano quanto segue:
in Villa S.
Stefano verso le ore 21 del 19 di quello stesso mese Moro Domenico, dopo
aver questionato per futili motivi con Palombo Giacomo, cedendo alla sfida
di costui che era in strada, balzava addirittura dalla propria finestra
sulla via sottostante per raggiungerlo, senonchè, appena fatti pochi passi,
veniva investito da una fucilata sparatagli contro dallo stesso Palombo,
riuscendo tuttavia a spingersi per la parte opposta della strada fin
presso la porta dell’abitazione dell’avversario, ove incontratosi con la
moglie di lui, Marella Ortensia, discesa nella via dopo lo sparo del
fucile per timore che fosse accaduta una sventura al proprio marito, che
poc’anzi aveva udito altercare col Moro, esplodeva contro di lei tre colpi
di rivoltella andati però a vuoto per essersi quella lestamente rifugiata
in un angolo del portone di casa sua.
Intanto il
Palombo, sopraggiunto, si lanciava sull’aggressore rovesciandolo a terra e
producendogli altre lesioni finchè, Lucarini Andrea, che era accorso sul
luogo al rumore degli spari e alle grida di ‘gnora Ortensia
e di suo padre Giacinto, riusciva a togliere al Moro la rivoltella che
impugnava, spingendo poi il Palombo, con l’aiuto di Venditti Antonia,
discesa dal piano della Marella, nella sua abitazione, mentre il ferito
Moro rimasto a terra, veniva trasportato a casa dalle altre persone
accorse.
Sopraggiungevano, infine, i Carabinieri avvertiti da un tal Bonomo Romeo,
che probabilmente doveva essere stato complice del Palombo perchè la sera
del fatto era stato veduto in sua compagnia armato di fucile, fin presso
la porta di casa Marella.
I Carabinieri,
dopo aver sequestrato la rivoltella del Moro che il Lucarini aveva
consegnato a Ortensia Marella, ed il fucile carico nell’abitazione del
Bonomo Romeo, arrestarono Domenico Moro, ma non riuscirono ad arrestare né
il Bonomo né il Palombo per essersi questi resi irreperibili. Il Bonomo si
costituì spontaneamente il 19 marzo successivo, dopo che il Giudice
Istruttore aveva spiccato contro di lui mandato di cattura.
Il Palombo
riuscì ad emigrare in America.
Dal giudizio medico emerge che il Moro riportò, oltre a
due ferite prodotte con arma da taglio sulla fronte, guarite in 12 giorni,
lasciando due cicatrici coperte dai capelli, anche ferite multiple
prodotte da arma da fuoco alla faccia anteriore, bocca e gengive, alla
spalla e regioni sottoclavicolari di destra e sinistra ed al collo, nonché
un’altra lesione, anch’essa con arma da fuoco, in vicinanza
dell’articolazione della mandibola, ferite guarite in giorni 127 e
restando qualche pregiudizio a carico della funzionalità della spalla
destra.
All’udienza odierna l’imputato Moro Domenico si
protestava innocente del delitto addebitatogli, cioè di tentativo di
lesioni con rivoltella in persona di Ortensia Marella, affermando che dopo
aver ricevuto una prima fucilata sparata dal Palombo o dal Bonomo,
ricevette ancora dal Palombo tre colpi di rivoltella uno dei quali lo ferì
alla guancia destra mentre la Marella lo colpiva con un coltello sulla
fronte e il padre di costei, Giacinto, con un bastone e gli altri due
imputati con pugni e in altro modo.
Il Bonomo Romeo, a provare la sua innocenza, asseriva
di essere stato in casa di suo cugino, Rinaldo Bonomo, guardia campestre,
prima e durante il fatto asportando con sè il fucile, pur non negando di
essere stato in quella sera in compagnia del Palombo col fucile in ispalla e
di avere accompagnato costui nella sua abitazione.
Marella Ortensia e suo padre Giacinto, riportandosi
anch’essi ai loro interrogatori, negavano di aver minimamente partecipato
al ferimento del Moro, la prima accusando di aver ricevuto le rivoltellate
da quello all’ingresso della sua abitazione e il secondo di essere andato
a chiamare il sindaco, Filippo Bonomo, e di non aver trovato più nessuno
dinanzi al portone quando era tornato.
Lucarini Andrea e Venditti Antonia, infine, hanno
negato pure essi di aver cooperato a ferire il Moro, affermando di aver
prestato la loro opera per far rientrare in casa il Palombo.
All’udienza, dopo il loro interrogatorio, Moro Domenico
e Marella Ortensia, a presso (su richiesta) dei loro difensori si
costituivano parti civili: il primo contro tutti gli imputati e la seconda
contro il primo.
In esito alle risultanze del periodo istruttorio e del
dibattimento orale il Tribunale osserva:
in ordine al primo imputato (G. P.) la prova della
responsabilità nel delitto addebitatogli è stata sufficientemente
raggiunta a prescindere dalla sua latitanza che è già di per sé un indizio
positivo di colpevolezza più ancora del fatto che il Moro nella sua prima
dichiarazione ai Carabinieri assicurò che il colpo di fucile gli venne
sparato contro dal Palombo, che stando sulla via potè ben vedere, mentre
se gli fosse provenuto dal Bonomo Romeo o da una persona nascosta o
sconosciuta, è da presumersi, secondo ogni probabilità, che egli già
ferito anziché tentare di incontrarsi con l’avversario principale alle
spalle, si sarebbe piuttosto ritirato in casa per evitare un eventuale
attacco simultaneo di più persone armate, per quanto potesse sentirsi
forte per essere armato della rivoltella che impugnava. Ed a confortare
questo elemento di prova come il Moro non si fosse sbagliato nel
riconoscere il proprio feritore in colui col quale pochi minuti prima
aveva altercato, credendo che fosse venuto a cantare sulla via improperi
al suo indirizzo, soccorre la deposizione della teste Spaziani Carolina
udita nel primo momento del fatto dai Carabinieri; la quale dichiarò
d’aver visto benissimo da quella stessa finestra il Palombo sparare contro
lo zio Moro, e ciò in grazia del fanale acceso sull’angolo della via, dove
appunto il Palombo si era messo. Né si potrebbe infirmare (negare) il
valore di questa dichiarazione con l’osservare che la Spaziani è nipote
del ferito imperocchè non crea una nuova prova, ma rafforza il primitivo
racconto del Moro. E’ ovvio per altro che se il colpo fosse partito dal
Bonomo Romeo, la Spaziani, stando in finestra, avrebbe avuto tutto l’agio
di vederlo e tutto l’interesse di non simularne (nasconderne) il nome
accusando il Palombo, specie per il rancore esistente fra lo zio e quello
per motivi intimi, ma notorii ugualmente nel paese. Rilevasi poi che la
deposizione del testimone De Filippi Ernesto il quale avrebbe veduto il
Palombo impugnare una rivoltella camminando con sospetto lungo il muro
della propria abitazione, spiega pienamente la presenza del proiettile
rimasto incapsulato nella mandibola del Moro, che dopo essere stato
rovesciato a terra dallo stesso Palombo sarebbe stato colpito anche da una
revolverata del medesimo sul viso. Onde la responsabilità del Palombo si
deve pienamente affermare;
in ordine
poi alla responsabilità del Bonomo Romeo, stando alle risultanze
processuali, non sembra di essersi raggiunta la prova sufficiente della
colpabilità (colpevolezza) del medesimo, perché se da un lato di fronte
alle dichiarazioni dei testi che affermano quasi concordemente di aver
veduto quella sera il giudicabile con un fucile in ispalla accompagnarsi
col Palombo, e dalla conferma fatta di tale circostanza, come per la
generica insinuazione del sentimento di rancore che tra costui e il Moro
regnerebbe a causa di un illecito rapporto carnale avuto da quello con una
nipote del ferito, parrebbe d’essere in presenza d’indizi più che prove
della sua colpevolezza, d’altro lato però le affermazioni recise e
concrete nonché dei cugini di lui, ma d’altre persone quali Mastrangeli
Giovanni e Mastrangeli Luigia, i quali affermano che durante il ferimento
e prima egli (B.R.) era a conversare ed a libar (bere) vino in casa del
cugino Bonomo Rinaldo, guardia campestre, e che, prima di entrare in casa
di questo, aveva deposto il fucile in una stanza di sua proprietà, attigua
alla casa della Mastrangeli, inoltre la considerazione degli ottimi suoi
precedenti penali di fronte alla pessima condotta degli altri due nonché
della maggior ragione di odio intercedente tra quelli (G.P. e D. M.),
specie per parte del Moro che tre anni addietro avrebbe patito gravissime
lesioni dal Palombo, come pure l’abitudine - sia pure riprovevole - che lo
stesso Romeo ha di rientrare in paese sempre armato di fucile, e il fatto,
finalmente, che l’oste Telemaco Anticoli è venuto a dire all’udienza che
il giorno dopo quello del fatto, si diceva da tutti che autore del
ferimento era il Bonomo solo perché in casa sua era stato sequestrato il
fucile. Tutte queste circostanze, dunque, possono dissipare nella
coscienza del giudice il dubbio esercitato dall’influsso degli indizi
rilevati più sopra, per quanto, tuttavia, non riescano a convincere
completamente dell’innocenza dell’indiziato: onde giustizia vuole che nel
dubbio dinanzi al conflitto di questi due ordini di fatti e di circostanze
il Bonomo Romeo sia mandato assoluto (assolto) per non provata reità.
Nei rapporti
del Moro Domenico la prova della sua responsabilità emerge oltreché dalla
generica induzione logica che se egli non avesse avuto in pugno una
rivoltella o non sarebbe sceso così impulsivamente dalla finestra, o dopo
la ferita riportata dal fucile dell’avversario, non si sarebbe avventurato
inerme contro il medesimo, anche per la circostanza che parecchi testimoni
quali Olivieri Carolina, Palombi Enrica e Masi Giuseppa hanno posto in
essere e cioè che la Moro Giuseppa, sorella di lui, in un momento di
esasperazione contro la cognata si sarebbe lasciata sfuggire che il
fratello sarebbe balzato dalla finestra nella via impugnando una
rivoltella; e più ancora perché all’udienza Bonomo Leopolda non esitò,
sotto il vincolo del giuramento, nel riconoscere nella rivoltella in
sequestro giudiziale appartenente al Moro, quella che costui le aveva
fatto vedere, quella sera, nella cantina di Bonomo Vincenzo; onde la
responsabilità del Moro devesi recisamente affermare;
in ordine agli ultimi quattro imputati niente è
emerso perchè si possa ritenerli responsabili della correità ad essi
addebitata con i primi due sembrando piuttosto che Marella Ortensia e il
padre Giacinto fossero discesi per chiedere aiuto, e gli altri due, cioè
il Lucarini e la Venditti, per dividere i contendenti; onde i medesimi si
devono assolvere per non provata reità.
Mentre il Palombo e il Moro devono rispondere anche
della contravvenzione ipotizzata nell’art. 464 C.P. per il porto abusivo
di rivoltella nonché della contravvenzione di cui all’articolo 1, Par. 50,
della legge sulle concessioni governative per non aver pagato la relativa
tassa. Il Bonomo Romeo, invece, è tenuto soltanto a rispondere della
contravvenzione all’art. 464 per il porto di fucile e di quella sulle
concessioni governative.
Se il Palombo e il Moro devono rispondere dei delitti
loro addebitati è giusto concedere ad entrambi il beneficio derivante
dalla semi infermità di mente a causa di ubriachezza volontaria
accidentale e sembra poi equo concedere al Palombo anche la diminuente
della provocazione lieve perché il Moro si scagliò contro di lui dalla
finestra.
Nei riguardi della Pena al Palombo Giacomo si reputa
giusto infliggere due anni e quattro mesi di reclusione per l’aggravante
dell’arma, diminuendo di un terzo la pena per la provocazione lieve e
ancora della metà per l’ubriachezza, venendosi a stabilire mesi nove e
giorni dieci che con la contravvenzione all’art. 464 diventano mesi nove e
giorni quindici di reclusione. Per la contravvenzione alla legge sulle
concessione governative la pena pecuniaria è di lire 73,44.
Al Moro Domenico vuolsi applicare dieci mesi di
reclusione per la tentata lesione a Ortensia Marella che con l’attenuante
della semi infermità derivante dall’ubriachezza si riduce a mesi sei di
reclusione e a lire 73,44 di pena pecuniaria. Si condannano inoltre il
Palombo, il Moro e il Bonomo al pagamento delle spese giudiziarie ciascuno
per la parte che gli spetta, nonché il Palombo al risarcimento dei danni
verso il Moro e costui ai danni verso la Marella Ortensia, che liquidasi
in separata sede.