La Madonna della Neve

Breve storia di una chiesa sconosciuta

Dr. Vincenzo Tranelli

"… questo gioiello dell'arte locale … (lo) si è lasciato andare irrimediabilmente in rovina… "

Questa amara constatazione di Arturo Jorio riferita alla perdita della chiesa di San Giovanni, bene esprime il disappunto per la scomparsa irreparabile di tanti monumenti del paese.

Foto di Pompeo Leo del 15 agosto 1920 per l'inaugurazione della lapide dei caduti della I Guerra Mondiale, a destra si notano i resti della Chiesa.

La recente opera di restauro del Palazzo Colonna prospiciente la piazza principale ci fornisce l'occasione per recuperare alla memoria un sito che anche per la progressiva scomparsa dei nostri vecchi, rischia di svanire nel nulla per sempre. Ci riferiamo alla antica chiesa della Madonna della Neve, sconosciuta ai più. Solo antiche carte e qualche rara sbiadita foto dei primi decenni del secolo passato sono in grado di ricostruire, quasi in maniera "virtuale", come si direbbe con linguaggio attuale, un tempio che fu di lunga frequentazione per i nostri predecessori. Essa sorgeva appunto nel luogo ove fino a pochi anni fa era il giardino dell'asilo infantile fondato dal cardinale Domenico Jorio. Non conosciamo l'epoca della sua erezione. Sicuramente risaliva al periodo del basso medioevo, di molto precedente quindi l'omonima cappelletta fatta costruire nel 1586 da Monsignor Domenico Ginnasi - legato pontifìcio inviato da Sisto V a purgare il frusinate dal brigantaggio - per edificazione dei condannati a morte, sul sito ove si erge l'odierna chiesa in Frosinone.

Dalla storia sappiamo che al patrocinio della Madonna della Neve - titolo diffusosi a partire dal X secolo - venivano affidati appunto i condannati alla pena capitale. Ci si ricollegava al prodigio della nevicata in piena estate - il 5 di agosto dell'anno 352 - sull'Esquilino, ove sorge la basilica di Santa Maria Maggiore, luogo che all'epoca romana, era tradizionalmente destinato alle "giustizie".

Di più, in chiave totalmente salvifica cristiana, come la neve che tutto copre, la Madonna con il suo manto copre con slancio materno le malefatte degli uomini agli occhi di Dio.

Come avvenne per la parrocchiale, la chiesa in esame fu oggetto di successive dedicazioni.

In origine probabilmente la chiesa dovette essere intitolata alla "Immacolata Concezzione" se agli inizi dell'800 nel "... coretto, e dietro il muro dell'altare vi si vede l'antico quadro in Grande della B. V. Maria della Concezione mezzo lacero ...", e solo successivamente intitolata popolarmente alla Madonna della Neve, in epoca si imprecisata, ma immaginiamo per i motivi già detti, se ancora nel 1868 nelle sue vicinanze venne fucilato Domenico Orlandini, meglio conosciuto come Gioia, ed altri criminali.

E la sua antichità è ben dimostrata anche dal fatto che già nel 1585, durante la visita pastorale del vescovo Calassi, punto di riferimento insostituibile per la conoscenza delle strutture e vicende ecclesiastiche santostefanesi del cinquecento, essa risulta pericolante al punto di compromettere l'integrità dell'altare maggiore, per cui il prelato ne ordina la "messa in sicurezza" e il restauro secondo le indicazioni tecniche dell'architetto incaricato, ed ingiunge all'esecutivo del comune di collaborare accollandosi parte degli oneri, secondo i dettami del Concilio di Trento.

La notizia più antica di cui siamo in possesso risale al 1579: in quell'anno tal Rosato Riccio, appartenente ad una delle famiglie più facoltose del paese "per sua divotione" fonda una Cappella dedicata alla Madonna delle Grazie unitamente a S. Lucia e S. Caterina. Ne fa dipingere una immagine, la dota dei paramenti necessari per il culto e la liturgia e di beni stabili: alcuni appezzamenti di terreno in territorio di S. Lorenzo (Amaseno), con le cui rendite sovvenzionarne le spese. La cappellania dovrà essere retta da un membro della casa Ricci, e lui stesso ne investe un suo nipote prete: Don Nicola. Di questa cappellania se ne perderà traccia presto, scomparendo evidentemente con l'estinguersi in loco della famiglia Ricci fondatrice, e non potendo autosostenersi i relativi beni furono assorbiti nella massa parrocchiale. Molto tempo dopo ritroveremo il quadro nella chiesa parrocchiale, e successivamente, col rifacimento di questa, nella vecchia chiesa di S. Pietro. Ne ignoriamo il destino successivo.

Siamo al '600. E segno della spiritualità di quei tempi, caratterizzati dall'incubo della peste, che ad ondate si presenta nel 1627 e nel 1656 troviamo alcune vicende che ci illuminano sulla nostra chiesa.

Nel 1643 torna alla ribalta la famiglia Ricci con Luca, un chierico che aveva preso moglie in Napoli. Per sciogliere un voto fa erigere a sue spese col permesso del vescovo di Ferentino un altare in onore di S. Antonio da Padova sulla parete ovest (probabilmente nel sito del precedente voluto da Rosato), e vi colloca un quadro con l'immagine del santo fatta dipingere tre anni prima. Non mancano i lasciti e le donazioni. E ancora Pietro Palombo, un giovane celibe di 25 anni, mosso da un sentimento di pietà interiore, per riparare, come afferma, alle innumerevoli offese che quotidianamente si fanno a Dio, chiede al solito vescovo diocesano, Ottavio Rondoni, ed ottiene, di potersi dedicare alla cura e alla custodia della Chiesa di S. Maria della Neve.

Ma evidentemente l'antica struttura della chiesa è fatiscente e continua a cedere, tanto che si giunge nel 1758 a dovervi porre mano con interventi sostanziali: si ricostruisce tra l'altro il muro ad ovest, cadente, eliminando l'altare di S.Antonio che vi era addossato, ed il quadro del Ricci posto sull'altare maggiore. Da questo momento il popolo santostefanese ne decreta di fatto il titolo: sarà comunemente conosciuta come S. Antonio.

A decretare definitivamente il passaggio del testimone, ci penserà ventisei anni dopo Don Stefano Bravo, allora amministratore della chiesa e futuro parroco, che con i quattrini dei Luoghi Pii (24 scudi e mezzo, una bella sommetta!) commissionerà un nuovo quadro in cui verranno accomunati i due culti: nel mezzo l'Immacolata Concezione, a destra S. Antonio da Padova col Bambino Gesù e a sinistra S. Vincenzo Ferreri.

Nel frattempo l'offìciatura si arricchiva dei riti dei vespri nelle festività del 13 giugno e del 5 agosto, per il lascito di Caterina galante nel 1753.

Siamo così giunti all'alba del XIX secolo. A questo punto togliamoci il cappello e in religioso silenzio accostiamoci al luogo sacro per visitarlo e conoscerlo meglio, come in una sorta di macchina del tempo (ce la immaginiamo in penembra, silenziosa, vuota e perciò austera, che sebbene piccola, lascia filtrare appena come echi lontani le voci e i rumori del mondo estemo). Sul davanti vi è una piazza "campestre" che fu acquisita dal Comune nel 1681 in permuta col Capitolo, possiede anche una porzione di terreno sul retro. Dal punto di vista architettonico per alcuni versi ricorda da vicino la successiva chiesa della Madonna dello Spirito Santo. Sulla facciata vi è l'unica porta di castagno foderata con due piccole finestre ai lati con stipiti di peperino e inferriata. Sopra la porta una nicchia protegge un affresco raffigurante "l'Immacolata Concezzione di Maria SS.ma, e S. Antonio di Padova in atto di pregare genuflesso, con varii angioli, e serafini. Al di sopra un occhi alino con vetriata".

"Sul muro della facciata, e in Cornu Evangeli! vi è un campaniletto che supera il tetto fatto a due pilastri, con ovato sopra, entro cui vi è una campana ... Entrato appena in chiesa ... in Comu Epistolae ... Un acquasantario di pietra comodo a prender l'acqua benedetta tanto quanto si entra in chiesa, che quando uno sta fuori. Lungo il muro in Comu Evangelii con tutto il coretto dietro l'altare vi è un muricciolo da sedere fatto di materia ... In mezzo vi è l'altare ... isolato ... di materia non avendo appoggio di dietro, ma solo nei laterali ... ai lati di esso altare vi sono due porticine senza scuri, che introducono al coretto, o sagrestia. In esso coretto (oltre al quadro di cui si è già detto) ... una credenza ... dove si conservano gli utensili d'altare ... Una cassa vecchia di legno … Due genuflessori di legno ... Non vi è soffitto, ma i travi in piano, con mezzi travi a forbice per dare le pendenze laterali, foderato il tetto al di dentro con folte tavole, sopra le quali posano i canali ..."

Particolare della foto di Pompeo Leo del 15 agosto 1920

La chiesa possiede alcuni appezzamenti di terreno in S. Stefano (alle Fontanelle, alla Lavina, al Moleto, Prata la Cesa, Prata, a S. Maria la Stella, S. Caterina e Serrone Narducci); altri in S. Lorenzo, e delle tenui rendite che se ne ricavano - poco più di quattro scudi - tolte le spese di culto, ben poco resta da destinare alla conservazione delle strutture. Tali beni vengono amministrati da un Priore che viene eletto ogni anno dal Vicario Foraneo.

Viene officiata soltanto nelle festività della Concezione, di S. Antonio da Padova e della Madonna della Neve (5 agosto): vesperi e messa cantata.

Con il passare degli anni la nostra chiesa lentamente e progressivamente va in decadenza. L'annessione dello Stato Pontifìcio al Regno d'Italia porterà in dote le famigerate leggi eversive, con le quali lo stato procede all'incameramento di molti dei beni ecclesiastici. Inizia un piccolo giallo al quale stando alle apparenze non sarebbero estranei, dei tentativi delle cosiddette frodi pie, sponsorizzati addirittura dal comune e tendenti a salvaguardare almeno in parte l'integrità del patrimonio religioso del paese. Le cose andarono così. Il 22 aprile 1876 viene soppressa la Cappellania di S. Antonio da Padova ed i beni incamerati dal Demanio. Passano gli anni e nel 1890 la chiesa viene chiesta in affitto da Luigi Popolla: risulta chiusa al culto da circa quindici anni per cui il prefetto l'acquisisce e concede in affitto. A questo punto interviene il sindaco, Celestino Bonomo che nega decisamente l'avvenuta chiusura della chiesa, anzi asserisce che "... non appena vi saranno preti disponibili ... funzionerà di nuovo ...". Il prefetto non ci sta e si rivolge al Procuratore del Re, il quale - manco a dirlo - approva l'operato del prefetto. Ma nemmeno il sindaco rimane con le mani in mano e a sorpresa in men che non si dica la chiesetta viene riaperta ed officiata da un prete di Ferentino.

Il prefetto disperato, ed anche un po' intimorito - correva infatti voce che il popolo di S. Stefano fosse entrato in subbuglio contro le autorità costituite dopo aver saputo della confisca della chiesa - vuole vederci chiaro e si rivolge ai carabinieri perché effettuino un'indagine accurata. Ed ecco che salta fuori la verità: la chiesetta era veramente chiusa al culto, e il sindaco, per rivalità politiche stava cercando di ostacolare in tutti i modi il Popolla, aspirante affittuario, al punto da sobillare la popolazione con l'aiuto di uno zio prete in nome del sentimento religioso.

Venne interessato successivamente anche il Ministero di Grazia e Giustizia che chiedeva se la chiesa fosse necessaria al culto, per evitare disordini nella popolazione.

Alla fine, come Dio volle si giunse alla vendita di quello che di li a pochi anni sarebbe divenuto un rudere: "... le mura e quel po' che rimaneva dell'interno erano ancora visibili negli anni Venti... dopo l'ultima guerra lo spazio venne adibito a cinematografo all'aperto e poi ... a cortile e giardino per i bimbi …".

Il resto è storia corrente.

da: "La Voce di Villa" - Notiziario a cura dell'Amministrazione Comunale di Villa Santo Stefano - aprile 2007

up. settembre 2007

www.villasantostefano.com

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