Villa Santo Stefano ricorda… COME GIOCAVAMO Passatempi e giochi di cui oggi se ne’è persa memoria di Giovani Bonomo e Pino LeoCon i primi freddi, come tutte, anche la farmacia del nostro paese, si approvvigionava di compresse a base di potassio che, normalmente utili per curare i malanni di stagione, dai ragazzi venivano usate per la preparazione di miscele esplosive. "Gli alchimisti" mescolavano una compressa ridotta in polvere, con un piccola quantità di zolfo; la miscela ottenuta, posta sotto una piastrina di metallo a forma di L, tenuta ferma con il tacco della scarpa sinistra, colpita con quello della destra, innescava una fiammata seguita da un fragoroso scoppio. Il grado del fragore, dipendeva dalla qualità e quantità della polvere, nonché dalla capacità…. dell’ "artificiere" nel dare il colpo di tacco. L’intensità dei botti culminava nella mattina del 10 dicembre, (alle tre del mattino, n.d.r.) durante la messa solenne in onore della Madonna di Loreto, quando " Z’ Marcucc’ " , con la sua caratteristica voce e tonalità," dagl’ squann’ d’gl’ accòr p’drèt’ agl’ altar’ " (dallo scranno del coro dietro l'altare), intonava le litanie dedicate a Maria Lauretana. Questi "ordigni" artigianali, antesignani degli attuali fuochi pirotecnici, si sparavano per tutto il mese di dicembre, fino a raggiungere il massimo della vivacità nella notte di Capodanno.Le fredde giornate di gennaio e febbraio le trascorrevamo soprattutto nell’attesa e nella preparazione del Carnevale; ci mascheravamo alla buona riciclando vecchi e logori indumenti degli adulti per fare scherzi ad amici e parenti. Dopo la scuola, nel pomeriggio ci trovavamo alla " pòrta " per organizzare il gioco del momento.Per sgranchirsi le gambe e combattere il freddo, giocavamo con le " ròzz’ch’ "; queste si ricavavano da vari tipi di cerchi di metallo, smontati da conche e conconi di rame o vecchie bagnarole. Venivano fatte rotolare condotte con speciali manubri realizzati con filo di ferro piegato a mo’ di guida; la più ricercata era quella ricavata da un vecchio cerchione di bicicletta, che si guidava con un’asta messa nell’incavo: Nel caso peggiore, " ‘a ròzz’ca " veniva fatta girare spingendola a …mano. Spesso ci riunivamo in gruppo e, sferragliando, si partiva di corsa facendo il giro della piazza e delle strade del paese non ancora asfaltate.Nei pomeriggi piovosi la " Loggia ", era il luogo ideale per diversi giochi di gruppo. Ci tornano in mente i " cauagl’ l’ngu’ " e "un’ mònta " ; quest’ ultimo, simile al salto della cavallina, si svolgeva saltando, uno dietro l’altro, sulla schiena curva del sorteggiato. I salti, venivano accompagnati in successione, da espressioni di una tipica filastrocca: un’ monta, due al buco, tre ‘a figlia glià re, quattr’ lo spazzino, cinqu’ botta culata, sei’ all’ incrociata, sett’ sor gigett’, òtt’ lo sparanett’, nòu’ ‘na cica d’ prova, diec’ timbr’ e posta, und’c’ ultim’ sparanett’. Chi sbagliava il salto o non pronunciava la giusta frase, pagava pegno " ‘ncul’p’zzènn’s’ "." ‘A tèra agl’ f’ssat’ ", oltre che per le "sciarèll’ " , era il posto preferito per giocare con i " picch’r’ ", rozze trottole in legno di diversa grandezza, che lanciavamo sul terreno con un cordicella " ‘a zagagl’a " ; la bravura consisteva nel farlo girare più tempo possibile. Una variante del gioco era quella di tracciare sul terreno un cerchio dentro il quale " ‘i picch’r’ " , una volta lanciato, non doveva uscire, pena il rischio del rito della " spacca ".Nella stessa zona, giocavamo anche a " pallin’ " (biglie di vetro colorato); il gioco, prevedeva lo scavo di una buchetta di circa dieci centimetri di diametro e altrettanti di profondità; durante la gara, per misurare la distanza tra le palline, si usava" ‘i frucqhi’ " , termine ora in disuso, che rappresenta la distanza che intercorre tra le punte delle dita pollice e indice distese. Nello svolgimento del giuoco si usavano delle espressioni come " papiè ", e "pezzaffòcu’ ", di cui non ricordiamo il giusto significato.Con l’arrivo della bella stagione, riposti i " trich’ – trach’ " usati per sostituire il suono delle campane durante i riti settimana santa, approfittavamo delle lunghe giornate per impegnarci in attività svolte all’aperto.Nel mese di maggio, si raccoglievano i fiori per fare " gl’altarin’ "; questi consistevano nell’addobbo delle numerose edicole, con l’immagine della Madonna, ancora esistenti nella mura del nostro paese.La raccolta di fiori, poteva diventare anche remunerativa, quando in occasione di matrimoni, si aggiustavano dei cestini floreali che due ragazzi " paravano ’’ agli sposi, davanti al portone della chiesa. Si faceva, tenendo i capi di un lungo nastro bianco al centro del quale era legato l’omaggio floreale; questa cortesia veniva ripagata con confetti e monete. Il caldo dei mesi estivi non ci permetteva di svolgere giochi faticosi, già ricordati. Pertanto si ricorreva a passatempi più "intellettuali". Tra questi " i’ fulm’nin’ " (il filetto) era quello più praticato; " i’ muracciòl’ d’ Sant’ Uastian’ ", il lungo muretto di mattoni rossi, oggi sostituito da pietre, era il posto migliore. Infatti, a cavalcioni sul parapetto, protetti dall’ombra delle due enormi acacie, oggi scomparse, si disegnavano i tre quadrati concentrici e la gara iniziava usando per pedine nove sassolini bianchi e nove neri. Testimonianza di questo gioco, rimangono i quadrati scolpiti sui sedili di pietra sotto la " Loggia ", dove si giocava nelle giornate di maltempo." I’ fulm’nin’ " appassionava anche le ragazze i cui svaghi preferiti erano quelli della palla, della corda, della campana e delle " bricc’ra ": In questi giochi, come negli altri, l’importante era non sbagliare; Infatti se ciò accadeva, il malcapitato veniva ricoperto dagli anatemi dei presenti che in coro esclamavano: "…. s’ scacat’ " !!. Con le nostre coetanee condividevamo anche altri passatempi come " a sèmpi’ ", " a stuzza ", " a scamp’tambi’gl’ ", per i quali sfidiamo la memoria dei nostri lettori a ricordare in cosa consistessero. L’estate si immalinconiva nell’autunno, ricominciava la scuola. Nelle giornate fredde e uggiose, si apprezzavano, il tepore dello " scaldin’ " (barattolo riempito di brace) e il profumo, di " callarost’ o ual’n’ ", che si sprigionava dalle nostre tasche, dove le castagne calde, venivano messe per difenderci dal freddo. Quei botti della" Madonna L’rita " e il " Tota Pulchra " dell’Immacolata ci annunciavano l’arrivo del Natale. Era tempo di Presepe che doveva essere realizzato sulle ali della nostra fantasia, utilizzando il povero materiale, facilmente reperibile in casa. La volta celeste si realizzava con la carta azzurra " d’gl’ maccarun’ " ; su di essa, incollavamo stelline ritagliate da fogli di carta bianca. Le scatole di scarpe, opportunamente, forate, sagomate e colorate, erano un ottimo materiale per costruire delle graziose casette. L’effetto luminoso, si realizzava mettendo piccole lampadine colorate dietro la carta e dentro le case. Una striscia di carta stagnola diventava un torrente, un piccolo specchio un laghetto. La farina era la nostra neve che si posava su un prato fatto di muschio attraversato da stradine imbrecciate. La capanna, veniva allestita con le statuine " cumprat’ alla b’ttega". Per arricchire la serie dei personaggi ricorrevamo alla lavorazione della creta prelevata "agl’ cretar’ n’cima alla uigna ". Con questa, tentavamo di modellare le figure più classiche quali il pastore con il suo gregge, fabbro, la contadina , ecc. Grande o piccolo, ricco o povero, il Presepe, nelle nostre case, era motivo d’intensa partecipazione emotiva, soprattutto a mezzanotte, quando, nella mangiatoia ponevamo il Bambinello, affascinati dal ricordo del mistero più bello del mondo.
In contemporanea con: "La Voce di Villa" - Notiziario a cura dell'Amministrazione Comunale di Villa Santo Stefano - dicembre 2005
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