ERNESTO LUCARINI |
Classe 1914,
Cacciatore delle Alpi |
La carriera militare di Ernesto
Lucarini inizia il 24 Settembre 1935 quando, con il numero di matricola
47718, viene assegnato alla nona compagnia del 49° Reggimento Fanteria
“Parma” con sede Mantova per poi essere collocato, il primo Luglio 1936,
in congedo provvisorio. Tuttavia il 12 Settembre 1939, nonostante fossero
trascorsi più di due anni, vestirà di nuovo la divisa grigio verde
unendosi ai ranghi del glorioso 51° Reggimento Fanteria “Alpi”, dislocato
nei pressi di Perugia. Nel reparto, che vanta tradizioni garibaldine, il
giovane santostefanese verrà addestrato per mesi all’imminente intervento
militare italiano a sfavore della Francia ed oltre alle estenuanti manovre
sarà comandato anche di vigilare alcuni compagni d’armi reclusi nel vicino
carcere militare, mai pensando che tale punizione, sebbene ingiustamente,
gli sarà riservata dalla sorte alcuni anni dopo. Dal12 al 31 Giugno 1940 è
sul Fronte Alpino Occidentale, trincerato nei pressi di Nizza.
Al termine del breve conflitto, con la stipula dell’armistizio con le
autorità francesi, Lucarini farà rientro il 24 Novembre 1940 a Perugia per
essere posto in congedo, questa volta, illimitato. Ma l’ambiziosa politica
espansionistica del Duce porterà poco dopo all’occupazione dell’Albania
determinando l’inevitabile trasferimento in quelle lande di numerose unità
del Regio Esercito, tra questi, i Cacciatori delle Alpi. A farne le spese,
il fante Lucarini Ernesto che, richiamato per l’ennesima volta il 15
Febbraio 1941, sarà imbarcato, insieme al compaesano Domenico Bravo, tre
giorni dopo a Bari.
Sbarcato a Durazzo, dal febbraio 1941 all’aprile 1941, sarà sul Fronte
Greco Albanese. Ernesto ricorda ancora il suo arrivo in territorio di
guerra, il 19 febbraio 1941, quando, sotto il peso dello zaino ed esausto
per le marce forzate, vide di fronte a sè una moltitudine di soldati
ognuno diverso dall’altro, sia per uniforme che nazionalità, c’erano i
nostri alpini con i loro inseparabili muli, gli artiglieri che
trascinavano nel fango i loro poderosi pezzi e i nostri nuovi alleati gli
ungheresi che insieme ai bulgari e agli sleali ustascia ci avrebbero
supportato per la difesa del nostro caposaldo sulle alture di Giafa e
Murit.
Dopo un lungo periodo di guerra di trincea, respingendo i ripetuti assalti
dei greci, nella primavera 1941, Lucarini, partecipa al contrattacco
decisivo che sfonderà le linee nemiche, annientandole completamente. Con
la conclusione della Campagna di Grecia Ernesto verrà assegnato al
Battaglione cosiddetto “mobile” che, dal 19 Luglio 1941 fino la 31
Dicembre 1942, sarà impegnato in azioni di polizia finalizzate ad
ostacolare l’attività del nemico, rappresentato da bande di partigiani che
operavano con insolita abilità tra i fitti boschi e le impervie cime della
Jugoslavia.
L’ultimo giorno dell’anno 1942, affondati fino alla cintola nella neve,
Ernesto e il suo plotone attendevano di compiere l’ennesima manovra di
contrasto, dopo che erano stati avvistati nel cuore della foresta alcune
scie di fumo lasciate dalle cucine da campo del nemico, che usava celarsi
in cunicoli e ricoveri sotterranei.
L’obiettivo del manipolo era infatti raggiungere, senza essere notato,
l’area prospiciente una primitiva canna fumaria che emergeva appena fuori
dal terreno, seminascosta da un intreccio di rami e foglie. L’azione
doveva contare sulla sorpresa, così ognuno, attestato nella propria
posizione, sperava nell’immediato ordine di attacco. Ma invece del segnale
convenuto, alcune improvvise quanto assordanti esplosioni scossero il
silenzio che li avvolgeva, erano colpi di mortaio che i soldati di Tito
avevano destinato a quegli sventurati. Intuendo l’agguato loro teso, i
fanti si dispersero, cercando ognuno un valido riparo tra gli alberi, ma
la pioggia di schegge che li travolse decimò la maggior parte di loro.
Tra i colpiti anche Lucarini, vittima di un frammento che gli attraverserà
il costato. Cosi come iniziato quell’inferno cessò lasciando spazio solo
alla neve macchiata di sangue e ai lamenti dei moribondi, furono quelle le
ultime cose che Ernesto avvertì prima di perdere i sensi completamente. Si
riavrà solo più tardi attirato dalla presenza di un’ombra confusa tra gli
alti faggi, fu allora che si rivolse alla Madonna, a cui era tanto devoto,
affidandogli l’anima, sicuro che fosse giunta la sua ora e che quello in
arrivo fosse il nemico che si apprestava a finire la sua opera. Ma
l’Angelica Maria aveva altri progetti per quel giovane soldato che si era
sentito chiamare a bassa voce e con un’inflessione dialettale familiare,
era il suo migliore amico, un coetaneo di Castro dei Volsci, Mario De
Giuli, che contravvenendo agli ordini dei superiori, si era spinto senza
indugio nel luogo dell’imboscata nella speranza di trovare il compagno con
cui aveva diviso tante volte la gavetta. Sollevando lievemente il braccio,
nonostante i dolori lancinanti, Ernestino si fece riconoscere permettendo
così al commilitone di soccorrerlo, questi con cautela lo sollevò e
issandolo sulle spalle lentamente, passo dopo passo, lo ricondusse
all’accampamento italiano.
Ricoverato il primo Gennaio 1943 presso l’ospedale militare di Lubiana
giungerà successivamente in patria, per essere assistito in varie fasi,
dai medici del Policlinico Celio in Roma. Ritenuto nuovamente idoneo al
servizio, dopo una licenza di convalescenza complessiva di giorni 90,
Lucarini rientrerà il 7 maggio 1943 al corpo, presso il Deposito Militare
del 51° Reggimento a Perugia, per essere mobilitato il 2 agosto 1943
nuovamente sul fronte dei Balcani.
Viene fatto prigioniero dai tedeschi, appena fuori Lubiana, il 9 settembre
1943 mentre era asserragliato con i suoi compagni all’interno di una
guarnigione. Responsabile della resa il comportamento del suo comandante
che, ad insaputa dei suoi soldati, decisi a combattere fino all’ultimo
uomo, si era consegnato a quelli che fino al giorno prima erano stati i
nostri alleati. Oltre la libertà in quelle aspre terre Ernesto lascerà
anche tre santostefanesi, Sante Cipolla, Cesare Cristini e Augusto Lucidi
che come lui militavano nel Reggimento “Alpi”.
Da quel funesto giorno, dopo un trasferimento bestiale in treno, inizierà
la lunga prigionia in Germania che si concluderà ufficialmente solo l’8
maggio 1945. Saranno due anni di reclusione che il nostro compaesano
sconterà con il lavoro forzato consumandosi nelle fabbriche e nelle
piantagioni dell’attuale Brandeburgo. Violando ogni regola internazionale
a favore dei prigionieri di guerra, oltre alla privazione del riposo, ad
Ernestino e compagni sarà negato anche il rancio, ristretto a qualche
crosta di pane di segale mista a segatura, mentre incessante nelle
camerate echeggiava l’intimidazione “Nicht arbeit Nicht essen” (niente
lavoro niente mangiare!).
Con l’imminente occupazione della Germania da parte degli alleati,
iniziata con intensi bombardamenti notturni che facevano tremare, oltre
che le fondamenta delle baracche anche gli insonni prigionieri italiani,
la vigilanza tedesca iniziò a diminuire, fino a quando, all’alba del 2
maggio del 1945, quelli che ormai erano ombra di se stessi trovarono il
campo di contenimento privo dei suoi sorveglianti che, dileguandosi nella
notte, li avevano lasciati al loro ignoto destino.
Senza indugio, quasi increduli, i reclusi indossarono alcune uniformi
tedesche trovate in un magazzino e utilizzando un camion dimenticato si
allontanarono dall’odiato lager, la loro direzione era Berlino dove
sapevano sarebbero giunti presto gli alleati. Ma arrivati nei pressi della
capitale si ritrovarono imbottigliati in un fiume di veicoli di ogni tipo
colmi, fino all’inverosimile, di profughi, disertori e ogni sorta di
disperata umanità. Ben presto la situazione divenne drammatica, quando
inattesi, apparvero i primi cingolati russi in esplorazione che, senza
pietà, iniziarono a cannoneggiare quei disgraziati. Il timore anzi il
terrore di essere scambiati per veri soldati della Wehrmacht convinse gli
italiani in fuga a svestirsi delle divise dei loro aguzzini per indossare
nuovamente i loro miseri ma rassicuranti stracci, si unirono ad una
vecchina che trascinava tutto quello che era rimasto della sua casa sopra
un carrettino che, alternandosi, gli evasi condussero nella città ormai
cumulo di macerie.
Il premio per quei ragazzi, che forse come il suo avevano speso tutta la
loro gioventù nella follia della guerra, fu un pezzo di pane, certamente
scarso ma finalmente candido di farina di grano, forse il segnale di una
vita migliore, che si realizzerà con la liberazione ottenuta grazie all’
intervento delle Forze Alleate. Ernesto Lucarini sarà rimpatriato dalla
Croce Rossa Internazionale il 25 agosto 1945 e dopo il meritato congedo
rilasciato dal Distretto Militare di Frosinone, il 19 Ottobre 1945, con il
cuore in gola, busserà al portone di casa sua, in via San Pietro, al
tempo, civico 18. |