da "FIGHTING PAISANO" di ALFONSO FELICI Parte I 3 |
[ Ringraziamenti | Prefazione ] |
I vocaboli in dialetto santostefanese sono stati scritti rispettando il metodo adottato per la realizzazione del dizionario dialettale di Aleandro ed Emanuele Amadio e Pino Leo. Per chiunque voglia consultarlo il sito internet è www.villasantostefano.com |
Don Amasio l'educatore
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Ricordo che un giorno Aldo Spaziani ed io, avevamo una gran fame e decidemmo di andarci a sfamare al forno di zia Candida. Sapevamo che il forno, intorno a mezzogiorno, rimaneva chiuso per circa un ora, per permettere la cottura del pane. Insieme a questo ponevano generalmente anche delle teglie con le patate, i polli, gli abbacchi ecc. che, alla riapertura, zia Candida avrebbe riconsegnato alla clientela. In un angolo del forno, c'era accatastata della legna e delle frasche che servivano per far ardere il forno. Da una finestra Aldo ed io scendemmo sulle frasche e raggiungemmo il forno. Lì riempimmo i nostri stornaci prendendo dalle <<latt'>> (80) le patate, i pezzi di pollo, i pomodori al riso e portammo via qualche pizzetta. Era la fame! L'indomani zia Candida fece le sue rimostranze verso gli ignoti ladri. La finestra fu sbarrata da una grata di ferro fatta mettere, opportunamente, da Michele Marafìota, il fabbroferraio. Venne anche la stagione degli amori. Avevamo circa dodici anni ed ogni ragazzo cercava la sua fidanzata. Io e Angelino Bonomo, il figlio della maestra Carmelina, ci fidanzammo con Maria ed Evelina. Queste ragazze erano due carbonare arrivate da Tagliacozzo insieme ai loro genitori, che erano dei tagliaboschi, impegnati a produrre il carbone nella macchia, dove vivevano nei <<pagliai>> (81) vicino alle <<carbonelle>> (82). Le due sorelle Maria ed Evelina venivano ogni giorno a piedi dalla macchia per frequentare le elementari nella scuola del paese. Ogni giorno, Angelino ed io le accompagnavamo a piedi fino a casa amoreggiando con infantili e semplici effusioni. Qualche anno dopo Angelino ed io riformammo il duo con altre due ragazze del paese, delle quali non riferisco i nomi perché ancora viventi, che chiamavamo <<l’ uaccarèll' d' Sa' Rocqu'>> (83). C'incontravamo nei fossi e nelle fratte e qualche volta eravamo scoperti da gente che passava per caso. La sera immancabilmente le nostre madri ci redarguivano perché le <<spie>> le avevano informate dei fatti. Spesso ero costretto a servire la messa da mio cugino Ermanno Palombo che aveva la mania di fare il prete. Celebrava la messa su un altare allestito in una cantina (84), vestito con paramenti sacri, usando incensieri, calici, candelabri e paramenti forniti dalla za Marietta, <<la sacrestana >>, la quale li recuperava in un locale dietro la sagrestia abbandonati nelle casse, tra le vecchie statue di <<Sant' Uallardin'>> (85), Sant'Antonio Abate, << Sant' Uastian'>> (86) ed altri santi. Mia madre da buona cucitrice rattoppava gli indumenti rendendoli quasi nuovi. Una volta, mentre Ermanno <<celebrava>> la messa, dimenticai il campanello e al momento dell'elevazione, non sentendo il suono si girò e mi disse: <<Suona!>>. Non sapendo cosa fare vidi una padella dentro una caldaia di rame, la presi, e cominciai a batterla contro il cerchio della caldaia imitando il suono del campanello. Andò tutto bene tra le risate dei presenti. In fondo celebrare queste pseudo funzioni era per noi un passatempo innocente. Un giorno durante una di queste messe, nel locale ci fu un corto circuito (87) e prese fuoco tutto l'apparato dell'altare. Grazie al pronto intervento delle donne che attinsero acqua da una vicina cisterna, il fuoco fu spento. Giuseppe Prepi vestito da chierico non riusciva a fuggire e a stento riuscimmo a tirarlo fuori. A queste funzioni spesso assisteva anche don Amasio che rimaneva impressionato dalla serietà del rito. Io, intanto, crescevo fra i disagi della miseria, addolciti dal sorriso di mia madre che si sacrificava facendo i lavori più umili. Voglio ricordare un triste Natale. Ogni mese i miei due fratelli Alfredo e Giuseppe, che lavoravano a Roma, inviavano a mia madre un vaglia postale di 30 lire per aiutarci a vivere. Ogni volta mia madre aspettava sull'uscio di casa la postina Virginia Palombo che usciva dall'ufficio postale situato prima della mia porta. Era la sera di Natale e noi non avevamo nulla da mangiare e tutto dipendeva dall'arrivo di quel vaglia. Passò la postina e disse a mia madre che il vaglia non c'era. Mia madre rientrò a casa piangendo e m'informò che il vaglia non era arrivato. Piangemmo entrambi abbracciati davanti al focolare acceso sul quale non avevamo nulla da mettere a cuocere. Mia madre mi disse di non andare a recitare il <<sonetto>> (88) perché saremmo andati a dormire a stomaco vuoto. Dopo qualche ora quando sentimmo bussare alla porta. Mia madre andò ad aprire con le lacrime agli occhi e trovò la signora Tutarella Panfili, la titolare dell'ufficio postale, con una canestra piena d'ogni ben di Dio. La signora Panfìli aveva capito che senza quel vaglia non avremmo potuto comprare niente da mangiare. Più tardi venne la mia madrina di battesimo, za Maria di <<Cecca>> con altre cibarie. Io allora andai a recitare il sonetto a Gesù Bambino e fui contento. Il vaglia arrivò dopo Natale, ma la Divina Provvidenza non ci aveva abbandonato. Ogni giorno frequentavo l'ambiente educativo di don Amasio alla palestra di San Pietro. In questa chiesa diroccata fra tante sterpaglie, don Amasio era riuscito a creare un'oasi per i giovani che non potevano trovare niente di meglio nel paese. In questa palestra c'era di tutto per lo sport: salto in alto, boxe, tiro alla fune, salto alla cavallina, sollevamento pesi, pallacanestro, esercizi ginnici. Tutto questo era finanziato da don Amasio senza l'aiuto di nessun Ente. Istituì in casa sua la scuola serali per analfabeti, fornendo quaderni, matite e penne gratis. Durante le lezioni venivano distribuiti panini, frutta, caldarroste, fave e lupini.
Erano famose le gite al fiume, in montagna e nelle Abbazie. Lui diceva ad ognuno di portare quello che poteva. Arrivati sul posto ci faceva stendere una coperta per terra e faceva deporre tutte le cibarie, comprese le sue che erano sempre molto abbondanti. Mangiavamo tutti insieme senza distinzione fra ricchi e poveri. Molte volte diceva di non portare niente e, all'ora di pranzo, ci portava nella trattoria del paese dove ci trovavamo. Durante le feste pasquali andavamo a benedire le case del paese e del Macchione e tutti offrivano uova e denaro. Il giorno designato eravamo invitati a casa sua a mangiare i <<maccarun' co' ll'òua>> (89). Ci educava alla maniera di don Bosco insegnandoci a comportarci bene con il prossimo e ad aiutare e rispettare gli anziani. Però, se qualcuno si comportava male, era un po' manesco. Ricordo che a Renato Tambucci e a Stefano Iorio di Enea, affibbiò due ceffoni quando seppe che fumavano di nascosto. Noi servivamo la messa e cantavamo nella <<Schola Cantorum>>, in tutte le feste e ricorrenze. Lo seguivamo nelle estreme unzioni e nei funerali. Don Amasio volle fare di più formando due bande musicali facendo venire, a sue spese, il maestro Zenobio da Frosinone. Io frequentavo assiduamente la casa di don Amasio poiché, come ho già detto, mia madre assisteva gnora Peppina. Lo facevo specie d'inverno per riscaldarmi al fuoco dove gnora Antonia (90) mi faceva pelare i tordi, i merli le varie qualità di <<celluzzi>> (91) che sor Piuccio, il fratello, riportava durante le battute di caccia.
La sera sedevo davanti al grande focolare e rovistando all'angolo dello <<squanno>> (92) trovavo i giornali ammucchiati, già letti da don Amasio, e che anch'io leggevo con interesse per arricchire la mia cultura. I giornali erano <<L'Avvenire d'Italia>>, <<II Messaggero>> e qualche rivista cattolica. Leggendo questi giornali apprendevo tutto quello che succedeva nel mondo e imparavo cose che i miei amici non conoscevano, ed a scuola ero sempre il primo a rispondere. Era gnora Antonia a mandare avanti la casa di don Amasio. Essa provvedeva alla cucina, all'approvvigionamento dei generi alimentari e all'immagazzinamento del grano, dei legumi e dell'olio. In questo lavoro l'assistevano, Mariangela Paggiossi, mia madre e za Marietta, <<la sacrestana>>, che faceva la spola tra la chiesa e casa Bonomi. Io mangiavo a tavola con mia madre con Mariangela e Marietta, sollecitato da gnora Antonia tanto generosa nei miei riguardi. Giocavo spesso con la figlia Anna che, quando vincevo, mi graffiava le mani ma, subito dopo, facevamo pace. In casa Bonomi, oltre a don Amasio, abitavano gnora Peppina, gnora Antonia, gnora Berenice, Anna, Mariangela, sor Piuccio con il figlio Giggetto. D'estate in quella casa era un viavai di gente. Venivano il signor Ermete, la moglie gnora 'Nzina ed i figli Manlio, Renato e Fiorenza. Non mancavano le visite dei figli di gnora Berenice, Cesare ed Ermenegildo Perlini, mentre erano sporadiche quelle di gnora Gigetta, di sor Checchino e dei figli Roberto e <<Ghella>> (93), da quando si erano trasferiti alla nuova casa di Via San Sebastiano. In quella casa era un andirivieni di preti, vescovi, frati che venivano per predicare le missioni, le feste e le novene e don Amasio era sempre disponibile verso tutti. Il giorno 3 di maggio, festa della Santissima Croce, si usava radunarsi davanti la Croce di San Marco (94) <<per scacciare il diavolo>> e le donne, mentre pregavano, ripetevano dopo ogni Padre Nostro: <<Vattene via falso nemico, il giorno dedicato alla Santissima Croce dissi mille volte, sia lodato il nome di Gesù e Maria >>. Noi ragazzi, durante la funzione, giocavamo davanti ad una rupe di tufo, chiamata <<le pisciarelle>> e ci divertivamo a raccogliere l'acqua dentro un barattolo che poi ci tiravamo addosso l'uno con l'altro. Cenci' Talem'c’ (95), molto più grande di noi, c'insegnò a dire invece di <<vattene via falso nemico>>, riferito al diavolo, <<vattene via Rocco becco>>. Le donne irritate interrompevano le preghiere e si avventavano brutalmente contro Cencio perché, secondo loro, era stato mandato dal diavolo per plagiarci.
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81. Capanne di paglia e ramaglie. 82. Piazzola dove si produceva il carbone. 84. Scantinato utilizzato per il ripostiglio di derrate. 88. Poesie natalizie che si recitavano in chiesa la notte di Natale davanti a Gesù Bambino. 90. Antonia Bonomi sorella di Don Amasio 93. Dall'inglese girl. Trattasi di Luigia, la giovane figlia di Sor Checchino che, essendo stato in America amava chiamarla <<ragazza>> in un inglese approssimato. 94. Croce posta a ricordo della S. Missione PP. Passionisti il 25 aprile 1920 alle porte del paese. 95. Vincenzo Adinolfi, figlio di Telemaco.
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settembre 2004
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