È incredibile come le ricerche, iniziate alcuni mesi fa, volte a scoprire le prove della presenza dei Cavalieri Templari ad Amaseno, stiano riportando degli risultati che nessuno avrebbe mai immaginato. Al primo piccolo gruppo di semplici seppur competenti, appassionati, messi assieme dall'eclettico amasenese Luciano De Prosperis, si sono aggiunti studiosi e ricercatori di fama, altri, non residenti nella nostra provincia, hanno offerto collaborazione e consulenze. Tutto ciò a dimostrare l'interesse e l'importanza che sta acquisendo la storia più sconosciuta della nostra vallata. Da queste sinergie sono emerse nuove ipotesi e nuove scoperte che hanno allargato incredibilmente l'orizzonte delle ricerche, coinvolgendo, appunto, anche i comuni limitrofi. Si sono rintracciati inaspettati collegamenti tra la nostra terra e la città di Anagni, sono state riportate alla luce tracce della presenza anche di altri Ordini Ospitalieri e Monastico-militari sia a Giuliano di Roma che, e questa è la novità assoluta, a Villa Santo Stefano. Tutto è iniziato da un indizio scovato non in antiche chiese, polverosi archivio o tra dimenticate rovine ma su uno strumento avveniristico, assurto a simbolo del futuro. Non un sito archeologico ma un sito internet. Quello www.villasantostefano.com curato da alcuni appassionati santostefanesi che sta ottenendo numerosi apprezzamenti tanto da essere stato premiato. In una apposita rubrica, il sito mette a disposizione vecchie foto del paese, dei suoi abitanti e delle loro tradizioni. Scorrendo queste splendide fotografie d'epoca l'occhio è caduto su quella che ritrae una specie di lapide con una scritta in strani caratteri. Trattasi di un manufatto in pietra risalente al XV secolo, un tempo murato all'interno della Chiesa, ormai diruta, di San Giovanni in Silvamatrice nelle campagne santostefanesi. L'attuale struttura risale al XIV secolo. Ma è soltanto l'ultima delle numerose sovrapposizioni susseguitesi nel corso dei secoli. In principio antico tempio pagano (l'area circostante ha restituito le tracce di un "pagus" di epoca romana) sul quale, con la diffusione ed affermazione del Cristianesimo nel IV secolo D.C., sorse la chiesa paleocristiana. Di tali manufatti rimangono i grandi blocchi di tufo posti lungo il lato sinistro della chiesa. Altri reperti d'epoca romana e paleocristiana sono ravvisabili ovunque, anche incastonati nelle mura perimetrali medioevali. L'iscrizione della fotografia, in latino, a caratteri medioevali, racconta della donazione nel 1439 della Cappella, in stile gotico, annessa alla chiesa da parte di un certo Boccanappi e della moglie Iacobella (*). La foto, in bianco e nero, fu scattata negli anni '50 da Arthur Iorio, l'emigrato santostefanese in America che ritornato, ormai in pensione nella sua terra d'origine, si dedicò con una competenza e un amore encomiabili, alle ricerche sulla storia della nostra vallata. Poi confluite in alcuni libri ancora oggi in massima parte insuperati. Citarlo in questo articolo è anche un modo per rendere omaggio a questo santostefanese che ci ha lasciati nel 2004 al quale si deve la scoperta, sebbene inconsapevole, della presenza, anche a Villa S. Stefano, di un ordine Monastico-Cavalleresco. Infatti, nel margine inferiore della fotografia, sotto la lapide di Boccanappi, di scorge una croce con i bracci a coda di rondine, scolpita sull’architrave in peperino della porta che dalla navata principale conduceva alla Cappella Gotica. Qualsiasi manuale di araldica indica la nostra Croce con l’appellativo di "Giovannita" o "Amalfitana" o "Maltese". L’Ordine Ospitaliero di San Giovanni di Gerusalemme o Cavalieri Giovanniti poi Cavalieri di Rodi e poi di Malta, sorse in Terrasanta nel Medio Evo, qualche anno prima di quello dei Templari. Fondatori furono alcuni mercanti amalfitani e sopravvisse, tra alterne vicende, attraverso i secoli. Trasferendosi prima nell'isola di Rodi e poi in quella di Malta, dove durante le Guerre Napoleoniche fu costretto a cedere ai francesi invasori l'arcipelago al largo della Sicilia. Trasferitisi a Roma, i Cavalieri Giovanniti esistono ancora oggi con il nome di Sovrano Militare Ordine di Malta, dedito ad interventi umanitari in tutto il Mondo.
Un Ordine Cavalleresco importantissimo, formato da cavalieri che avevano preso anche i voti monastici, come i Templari, con i quali combatterono (anche se spesso i rapporti tra i due Ordini furono piuttosto tesi) per difendere il Santo Sepolcro dai Musulmani. In questa guerra venivano investite tutte le rendite che ricavavano dai molti castelli, terreni, Mansioni, fattorie e chiese che possedevano in tutta Europa. La fotografia con la Croce è stata fatta vedere a molti studiosi ed esperti del Medio Evo e la conclusione è stata univoca. La Croce indubbiamente appare come quelle usate dai Cavalieri Ospitaleri di S. Giovanni. Quanto al motivo per il quale tale Simbolo si trovava nella Chiesa del territorio santostefanese, beh, è tutto un'altro discorso. E' chiaro che l'ipotesi più probabile ed anche quella più affascinante ed intrigante; è che la Chiesa di S. Giovanni in Silvamatrice, o una sua parte o pertinenza, appartenesse all'Ordine Ospitaliero. Certo l'intitolazione a S Giovanni sembrerebbe confermarlo. Visto che il Battista era Patrono dell’Ordine. A conferma di una presenza "Giovannita" nella vallata dell’Amaseno, arriva un documento conservato nella Biblioteca Vaticana. Si tratta di un "cabreo" ovvero un inventario (la parola deriva da capibrevum ovvero caput breve; elenco sommario) in cui sono elencati alcuni beni della Commenda Giovannita di San Giacomo a Ferentino. L’inventario (Biblioteca Ap.Vat., Cod. Vat. Lat. 10372, manoscritto pergamenaceo di pp. 110 tra recto e verso, cm 17 x 23,5) risale al 1333, voluto dal Priore Giovannita di Roma, recita testualmente: "Status domus Sancti Iacobi de Fermentino assignatus per fratrem Thomassium priorem domus Urbis ex parte fratris Petri de Ozeto prioris dicte domus et in primis assegnati. Quoddam stabulum cuiusdam ecclesiae Sancti Johamnnis de Verulis per florenos X; Item pro quodam Ospitali castri Babuci per florenos XXX; Item unum posse in castro Sancti Laurenti de Valle quod tenet Franciscus de Ceccano.." In pratica vi sono elencati i beni dei Giovanniti presenti a Veroli, con la Chiesa di S. Giovanni, fuori Porta Romana, in località chiamata "Arnara" e l’Ospitale di Bauco (odierna Boville Ernica). Inoltre, e qui il discorso ci riguarda da vicino, i beni posseduti nel Castrum di San Lorenzo in valle. Abbiamo letto bene? Beni degli Ospitalieri ad Amaseno, l’antico San Lorenzo. Vista la data potrebbero trattarsi, addirittura, di beni già appartenuti ai Templari e successivamente, come deciso dal Pontefice dopo la tragica soppressione dell'Ordine del Tempio, ceduti agli Ospitalieri. Il manoscritto non specifica quali fossero questi beni, che tra l’altro non compaiono più in inventari successivi. Probabilmente ceduti o abbandonati. Non c’è dubbio che il documento Vaticano sia la prova della presenza Giovannita nella valle. Anche se dobbiamo tener presente che il possedere un bene immobile non significa automaticamente che i cavalieri erano materialmente installati tra questa montagne. I beni potevano essere affidati o affittati a terzi e le Commende, come ad esempio quella accertata di Ferentino, ne incassavano i profitti. Inoltre l’inventario è precedente di quasi un secolo alla Cappella Boccanappi ed alla Croce. Sempre che il blocco di peperino dell’architrave con la Croce non fosse più antico e poi riutilizzato. Per la nostra chiesa abbiamo quindi un altro indizio ma non una conferma. Quest’ultima forse può arrivare da recenti scoperte, avvenute grazie ad alcune ricognizioni svolte da chi scrive, assieme ad altri studiosi. Scrutando palmo a palmo i venerandi ruderi di Silvamatrice, ovviamente laddove la lussureggiante vegetazione lascia ancora intravedere elementi architettonici o blocchi di pietra; si è, forse, aperta apre una pagina nuova nell'ideale libro della Storia di Villa Santo Stefano, che rende ancora più affascinante questo sito. Sulle mura sbrecciate sono emerse da un sonno secolare alcune piccole croci, almeno quattro, scolpite nei blocchi di tufacei. Uguali in tutto e per tutto a quella fotografata negli anni '50 da Arthur Iorio. Le prime due si trovano, una di fronte all'altra, sugli stipiti in pietra del Portale principale. Queste sarebbero state già descritte in uno studio di trent'anni fa, ma non identificate per quello che sono. Vennero indicate come due croci greche devozionali Evidentemente non venne notata la peculiare forma a coda di rondine. Le altre due, invece, pare siano una novità assoluta, anche perché si trovano sotto l'intonaco, affrescato nel XV secolo, caduto negli ultimi anni. Sono posizionate sulla facciata anteriore della chiesa, quella volta a sud-est.
Possono sussistere ancora dubbi? E' vero che molte volte, devoti e pellegrini, tracciavano segni, imitandone altri che avevano visto e di cui, magari, non conoscevano nemmeno il significato. Ma, francamente, troppi sono gli indizi per parlare di semplici coincidenze o di somiglianze. Un'altra tessera a questo intricato ma avvincente puzzle ce la fornisce ancora una volta proprio Arthur Iorio. E ancora grazie alle sue foto degli anni '50. Si tratta di quella che ritrae un affresco, anch'esso ormai scomparso, nel quale si vedono tre oranti davanti a quella che si ritiene una Immagine Sacra, già all'epoca cancellata. Uno di questi, il primo a dx nella foto, porta una barba fluente e un bastone da pellegrino con legata in cima una sacca, chiamata "scarsella", con, ben visibile, una conchiglia di San Jacopo, il pecten o conchiglia di Venere. Nel suo libro "Villa S. Stefano, storia di un paese del Basso Lazio attraverso i secoli", Arthur Iorio la descrive come una palmetta, identificandola come simbolo del Martirio. Ma riteniamo che si sia confuso, forse per suggestione con l'elemento architettonico lapideo presente sullo stipite del portale più piccolo della chiesa che rappresenta una foglia di palma. Non c'è dubbio che quella sulla "scarsella" sia una conchiglia, e che i tre siano dei pellegrini, confermato anche dal bordone, il bastone tipico del pellegrino, portato dal primo degli oranti. L'affresco testimonierebbe, quindi, che il sito di San Giovanni in Silvamatrice era legato ai pellegrinaggi ed il pellegrinaggio per eccellenza, a parte quello a San Pietro, era quello lungo il Cammino di Sant'Jago, San Jacopo, San Giacomo, il cui simbolo è appunto la conchiglia di pecten. L'affresco potrebbe anche indicare che il committente voleva ricordare di aver compiuto proprio lui il pellegrinaggio a Santiago di Compostella, oppure che era devoto ad un santo (forse l'icona non più visibile verso al quale pregano i tre personaggi) legato sempre ai pellegrinaggi. Ma un culto di San Giacomo non è attestato né a Villa S. Stefano né nella vallata. Esiste un altro santo legato ai pellegrinaggi. San Rocco, compatrono di Villa S. Stefano, ma il pellegrinaggio di cui si narra nei racconti agiografici che lo vedono protagonista, è quello compiuto a Roma e non in Spagna. Quindi cade anche questa eventualità. Per inciso, si rammenta che la Commenda Giovannita di Ferentino, citata precedentemente, era dedicata proprio a San Jacopo. Da quello che si può evincere dalle fotografie, importantissime come ultime testimonianze di quelle opere d'arte, lo stile degli affreschi sembrerebbe attribuirli al XIV secolo. Periodo compatibile con il documento che attesta il possesso di beni Giovanniti nella valle. Infine, c'è un altro aspetto da considerare. La presenza dei Giovanniti, come quella degli altri Ordini, è perfettamente compatibile con la situazione ambientale e strategica della valle nei secoli del Medio Evo. Confinante com'era con le zone mefitiche delle paludi pontine e posizionata nei pressi delle vie di pellegrinaggio e delle Crociate. La via Latina, vera e propria "Francigena del Sud", portava a Brindisi o comunque nei porti della Puglia dai quali partivano Crociati, pellegrini e mercanti. Ma altri porti per il Levante si trovavano più vicini alla nostra Vallata. Appena oltre i Monti Ausoni. Terracina e, più a sud, Gaeta. E' probabile che nel prosieguo delle ricerche emergeranno altri elementi relativi ai Giovanniti nel territorio di Villa S. Stefano. L'importanza documentale e storica delle croci, sopravvissute alle intemperie ed all'incuria degli uomini, è indubbia ed invita ad una riflessione. E' necessario che gli organi deputati prendano in considerazione un salvataggio delle mura perimetrali, dei due portali in peperino, degli elementi architettonici e delle labili tracce di pitture. Forse siamo ancora in tempo a far si che San Giovanni in Silvamatrice non sprofondi per sempre nell'oblio. Anche per poter collocare i Cavalieri con le Bianche Croci nel posto che spetta loro nella Storia di queste Terre.
agosto 2006
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