Padre Augusto Lombardi "Storia di Villa S. Stefano"   4 / 7

TURBAMENTI TRA COLONNESI E EUGENIO IV

Ed i turbamenti cominciarono subito alla morte di Martino V (20 febbraio 1431). Tra il nuovo Pontefice e i Colonnesi sorsero subito discordie per la consegna delle gioie e del denaro spettanti al tesoro pontificio e che erano nel palazzo di Martino V ai S.S. Apostoli. Inoltre Eugenio, eccitato specialmente dal cardinale Giordano Orsini, pretese che essi restituissero alla chiesa tutto ciò che aveva avuto dallo zio defunto. I Colonna naturalmente non vollero cedere, e ricorsero alle armi.

Il Papa con bolla del 18 maggio 1455 li dichiarò rei di lesa maestà, scomunicati e a loro tolse beni, dignità e diritti. La guerra interrotta da qualche breve tregua, fu lunga, difficile, terribile per devastazione, rovine, tradimenti. Nel 1414 Antonio Colonna con l'appoggio di Niccolò Fortebraccio e di Antonio da Pontedera, famosi capitani di ventura, occupò Roma da cui il Papa riuscì a stento a fuggire travestito da monaco cassinese e imbarcandosi sul Tevere. Le cose però cambiarono notevolmente quando contro i ribelli venne il celebre patriarca Giovanni Vitelleschi "persona imperiosa e crudele, e più atto alla vita soldatesca che alla religione" dice il Plotino nelle sue "Historie di Sommi Pontefici".

Egli snidò successivamente i rivoltosi da tutti i castelli in cui si erano asserragliati. Iacopo da Caldera altro condottiero di ventura, terribile per la sua crudeltà che dai servizi per il Papa era passato ai Colonnesi, difendeva i castelli della valle dell'Amaseno. Il Vitelleschì lo perseguitò senza tregua, e a S. Stefano fu sul punto di farlo prigioniero. Si salvò fuggendo per la montagna di Siserno; ma, lì a poco, fu preso a Frosinone e impiccato ad un albero.

Le sorti dei Colonna, ormai disperate, migliorarono solo alla morte di Eugenio IV avvenuta il 25 febbraio 1447. In tutto questo trambusto, S. Stefano insieme ad Arnara era stato dato dal Papa, con breve del 26 aprile 1432, e fino alla terra Gennazzano, ad un Giovanni Antonio di Ceccano, il quale probabilmente fu l'ultimo superstite della illustre famiglia dei Conti di Ceccano.

Ma anche questi due feudi furono da Antonio Colonna recuperati quando fu eletto il nuovo Pontefice Niccolò V al quale egli chiese ed ottenne l'assoluzione e la restituzione del beni. Sotto il pontificato di Callisto III, egli militò agli stipendi del Papa e riaffermò suoi domini. In un elenco di castelli dei quali gli si concessero i tributi danti alla Camera Apostolica sino a concorrenza di 1600 fiorini di paga delle quali era creditore (Archivio Vaticano, atto del settembre 1455) figura S. Stefano insieme a Castro, Giuliano, Morolo, Collepardo, Vico, Paliano, Supino, Piglio, Trevigliano, tutti presumibilmente tornati ai Colonna.

Antonio godè in pace i suoi beni fino alla morte avvenuta nel 1472. Ma nuovi lutti e nuovi disastri vennero a sconvolgere le nostre contrade quando nella primavera del 1482, sotto il pontefice Sisto IV, scoppiò la guerra tra Ferrante re di Napoli e il Papa. I Colonna stettero col primo e col loro aiuto potentissimo Alfonso di Calabria, figlio del re, riuscì a portare la guerra fin sotto Roma; in questa occasione la valle dell'Amaseno fu messa a sacco e a ruba dall'esercito napolitano in cui militavano anche truppe selvagge di cavalieri turchi che, dove passavano, non lasciavano che rovina e morte. S. Stefano seguì la sorte comune e il territorio fu orrendamente devastato.

La campagna di S. Stefano

Dopo la vittoria dei pontefici a Campomorto nelle paludi pontine (12 dicembre), il Senatore di Roma, Leonardo della Rovere, nipote del Papa, diffidò i Colonna e pronunziò la confisca dei loro beni. Questi però continuarono a difendersi disperatamente sotto la guida di Prospero e Fabrizio che cominciavano ora a conquistarsi quella fama che tanto doveva poi aumentare e illustrare il loro nome, e morto Sisto IV (12 agosto 1484) dal nuovo Pontefice Innocenzo VIII furono reintegrati nei loro diritti e possessi.

Più grave fu il pericolo che i Colonna corsero sotto Alessandro VI, il famoso Papa Borgia. Questi nei primi mesi del suo governo si dimostrò favorevole alla potente famiglia romana. Ma inseguito ai casi fortunosi cui andò soggetto, il regno di Napoli dopo la calata in Italia di Carlo VIII di Francia,quando col trattato, approvato dal Papa, del 1500 tra Francia e Spagna e con la guerra successiva contro Ferdinando II di Napoli, di cui i Colonna seguivano le parti,il regno napoletano fu spartito tra quelle due nazioni, i Colonna cercarono di prevenire la rovina che ormai li minacciava dichiarandosi pronti a consegnare al Sacro Collegio le chiavi dei loro castelli; ma Alessandro volle ed ottenne che la consegna fosse fatta a lui. Il cardinale Francesco Borgia andò subito in Campagna a prendere possesso, in nome del Papa, dei loro domini, mentre il Papa in persona si recava, trionfatore, in Marittima. Tornato a Roma,il 20 agosto 1501, egli mandò fuori una bolla nella quale egli dopo aver rimproverato ai Colonna tutte le loro malefatte sotto Sisto IV e di essersi stretti in lega con Federico di Napoli, li scomunicava e proclamava la confisca dei loro beni. Coi loro possedimenti e con quelli dei Savelli e dei Caetani il Papa creò due ducati per la sua famiglia.

Con bolla del 17 settembre 1501, Rodrigo, fanciullo di due anni, figlio di Lucrezia Borgia e di Alfonso Bisceglie, ricevette il ducato di Sermoneta con Ninfa, Cisterna, Nettuno, e quasi tutti i castelli situati nella valle dell'Amaseno e nel basso Sacco. II ducato di Nepi che comprendeva Palestrina, Olevano, Paliano, Frascati, ecc... fu dato a Giovanni, anche egli bambino e figlio legittimato del Papa, i due giovinetti furono messi sotto la tutela di quattro cardinali.

S. Stefano entrò a far parte del ducato di Sermoneta; così per la prima volta negli annali del pontificato, i beni della chiesa venivano ufficialmente alienati a favore di estranei, siano stati essi pure figli o nipoti del Papa, e in questo modo quasi tutto lo stato ecclesiastico era passato in possesso dei Borgia, giacché la Romagana e gli altri territori a Nord di Roma li teneva nel suo pugno il famigerato duca Valentino, altro figlio del Papa.

Ma questo imponente castello di potenze elevato sui tradimenti e sul sangue, crollò miseramente alla morte di Alessandro avvenuta il 18 agosto 1503.

Giulio II, il terribile restauratore della potenza morale e territoriale del papato, fin dal suo avvento al trono cominciò subito a disfare l'opera del suo predecessore. I Colonna, dalla Puglia e dalla Sicilia dove si erano rifugiati, ritornarono a Roma e riebbero i loro possessi che il Papa con bolla del 1504 aveva ritolto a Rodrigo e a Giovanni Borgia, abolendo i due effimeri ducati di Sermoneta e Nepi. Anzi per accattivarsi questa potente famiglia il Pontefice procurò che nel 1506 Marcantonio Colonna, nipote di Prospero, sposasse una sua nipote.

Tutti i baroni però reintegrati nei loro possessi dovettero uniformarsi alle ferree direttive dell'imperioso Giulio II il quale per ristabilire l'ordine nello stato che si trovava in una confusione estrema, emanò prescrizioni severissime per purgare le terre, e specialmente quelle confinanti col napolitano, dai banditi e dai ladri che le infestavano, e per far rifiorire l'amore e la coltura dei campi, minacciando fortissime pene ai baroni è ai grandi proprietari che avessero continuato a incappare il lavoro ai poveri contadini. E sotto il suo pontificato sappiamo che l'amministrazione prediale potè prendere un andamento più regolare, e in ciò egli fu favorito dal fatto che, al suo tempo, i dintorni di Roma andavano enti dal passaggio di grandi eserciti.

La relativa pace ed essere di cui godette la nostra regione per qualche anno furono di nuovo travolti da terribili sconvolgimenti che resero tanto tragico il ponteficato di Clemente VII. Nel settembre 1526 i Colonna con forti bande avevano sorpreso Roma e imposte al Papa le loro condizioni.

Per vendicarsi dell'onta subita, nei primi mesi dell'anno successivo questi inviò contro le loro terre un forte esercito con Vitello Vitelli che marciò contro i castelli dei Colonna situati in campagna, mentre altre soldatesche, per la maggior parte già facenti parte delle schiere di Giovanni dalle bande nere; comandate da Alessandro Vitelli e da Ranuccio Farnese, avanzando vittoriose tra terribili devastazioni, si concentravano in Piperno, centro delle operazioni da svolgere nella vallata dell’Amaseno.

Giuliano, S. Stefano, S. Lorenzo, Vallecorsa venivano presi, saccheggiati e in parte distrutti; Sciarra e Camillo Colonna si difesero disperatamente riducendosi a fare la guerra sui monti. Ma intanto il Papa spaventato dell'avanzarsi in Roma del Connestabile di Borbone, si decise la pace con i ribelli ai quali rimetteva la remissione di tutte le pene e le scomuniche loro inflitte, ma non restituiva le terre loro strappate, fino ad un avvenuto accordo con il viceré di Napoli giacché era a Napoli che i Colonna trovavano sempre protezione, aiuto e consiglio. Qualche mese dopo, il 6 maggio, avvenne l'orrendo e spaventoso sacco di Roma, e Clemente VII, prigioniero in Castel S. Angelo, con la capitolazione del 5 giugno restituì ai Colonna tutti i loro possessi.

Ad altre traversie andarono questi soggetti sotto il ponteficato di Paolo III, Farnese (1534-49). Per risanare il bilancio disastroso dello stato, il Papa fu costretto ad imporre nuove tasse, le quali inasprirono terribilmente gli animi, specie quelle dell'aumento del prezzo del sale. Ascanio Colonna, figlio di Fabrizio, e capo ora deIla famiglia, rifiutò incondizionatamente per i suoi feudi il pagamento di questa nuova tassa e l'altra del focatico, appellandosi ai privilegi concessi da Martino V in favore dei territori della sua famiglia.

Di più, quando Paolo III cercò lavoratori per la difesa di Roma, Ascanio proibì ai suoi sudditi di partecipare a quell'opera, e ostacolò, anzi In tutti i modi l'importazione di granaglia nella città. Andati falliti tutti i tentativi di accomodamento fatti e dalla celebre Vittoria Colonna, sorella di Ascanio, e dal Viceré di Napoli, il Papa con bolla del 6 marzo I54I lo dichiarò ribelle e mandò contro di lui un esercito condotto da Pier Luigi Farnese. La maggior parte delle fortezze dei Colonna andò rapidamente perduta, mentre con altra bolla del 28 maggio i seguenti feudi venivano confiscati e riuniti nella provincia di Campagna: Trivigliano, Vico, Ripi, Collepardo, Arnara, Pofi, Sgurgola, Morolo, Supino, Giuliano, S. Stefano, S. Lorenzo, Sonnino, Vallecorsa, Falvaterra, Ceccano, Castro.

>> segue GUERRA DEL SALE pag.5

VILLA SANTO STEFANO pag.1 | LOTTA TRA IMPERO E PAPATO pag.2 | TESTAMENTO DI GIOVANNI pag.3 | TURBAMENTI TRA COLONNESI E EUGENIO IV pag.4 | GUERRA DEL SALE pag.5 | TESTAMENTO DI MARCARTONIO COLONNA pag.6 | UOMINI ILLUSTRI DI VILLA SANTO STEFANO pag.7

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