, var. arèscja, vb.: l'apparire di spiriti, (jö arèscu, tu aröscj, arescítu). Il fenomeno della comparizione di spiriti benigni e maligni era molto sentito nel paese, come s'è notato alla voce àlemesànte, Nella metafisica paesana, l'essere ed il non essere, il visibile e l'invisibile, il tangibile e l'intangibile erano aspetti di una unica realtà percepita oggettivamente, e nella quale tutto che si vuol credere vero è vero e quindi reale. Gli spiriti che arescéunu potevano essere benefici, come le anime del Purgatorio, maliziosi come i mönicj, o del tutto impersonali come le "tristes umbrae" virgiliane, anime vaganti senza immediate parentele condannate ad aggirarsi per i crocevia, sottoportici ed altre località del paese e delle terre circostanti per scontare chi sa quali peccati, spesso lemure di lontani fatti di sangue rimasti impressi nella coscienza popolare, come il brigante Gioia che arescéua dopo il cader del buio agli approcci di via S. Antonio dove era stato fucilato ancor ragazzotto dai carabinieri all'angolo del palazzo Colonna; forse glj'òmu níru che qualcuno incontrava a tarda notte Sóttu Ila Löja oppure alla Fontana della Rentre, ricordava qualche fatto cruento. C'erano poi spiriti indistinti, come le pantàsime che si incontravano per le strade del paese nelle forma di donnone appiattate ai muri alte fino ai tetti delle case, nei campi addossate ai tronchi di alberi solitari, e nelle fontane vicinali, luoghi favoriti di tutti spiriti e metamorfosi psicosomatiche, v. lupupunàru, come pure asini, cavalli ed altri animali che saltavano dalle siepi per le strade di campagna ecc. A S. Sebastiano cj'arescéua poi una non meglio definita mànu rellíquija uscita forse da qualche vetusto reliquiario ad impaurire un chierichetto troppo curioso. Generalmente queste apparizioni che affioravano dal profondo del subconscio atavico erano innocue, atte ad incutere sgomento e ricordare ai viventi che c'era un altro mondo insito nella loro coscienza che non andava mai dimenticato. Da ricordare, di passaggio, anche gli spiriti dai quali, attraverso segni da riscontrare nella Smorfia, si ricevevano i numeri da giocare al lotto. Ma c'erano apparizioni che incutevano terrore nella gente cresciuta nel timor di dio e ne colpivano l'anima. Non era raro il caso d'imbattersi nello spirito rovente e più maligno dell'universo, l'àlema arajàta, quella brutta bèstja del diavolo sempre in agguato a portarsi qualcuno, specialmente le persone più devote, nel baratro dell'inferno per far dispetto a dio. Ecco un caso che coinvolse mio nonno Francesco Petrilli, mastro falegname, come me lo raccontò mia madre. Si era al principio del 1900 che nònnu Cíccu se ne tornava un pò più tardi del solito una sera dal suo podere di Varcatora, ngarènnu i suoi due asini con i basti carichi. Arrivato al santuario della Madonna dello Spirito Santo, sostò come faceva sempre, e dato che la chiesa era chiusa, cacciò il braccio dentro l'inferriata della finestrella per attingere dall'acquasantiere sul davanzale interno; e si fece il segno della croce sussurrando una preghiera. Come s'accinse a risalire verso Drento, s'accorse con sorpresa che invece di due asini ce n'erano ora tre, il terzo senza uàrda, basto. Si guardò intorno per cercare il padrone della bestia, ma non non vedendolo pensò che si trattasse d'uno di quegli asini detti "di S. Giuseppe", come si chiamavano quelli che avevano smarrito il padrone, v. àsinu; e così ngaràu anche questo altro animale sicuro che una volta in paese la bestia avrebbe saputo ritrovare la propria stalla. Risalendo la strada ciottolosa come il greto di un torrente a secco, gli asini si muovevano passo a passo, e così pure mio nonno col fiato grosso che allora aveva una settantina d'anni.. Arrivati sulla sella del colle di Drento, dove c'era e c'è ancora la croce, l'asino aggiuntivo incominciò a battersi freneticamente il retro con la coda e poi prese a fare impennate e a ragliare con una voce stridula ed orribile. Gli altri due asini cercarono riparo sotto un folto di castagni al lato della strada, mentre a mio nonno ci s'angriförunu ji píli, ji capíglj j la pèlla ce se fèce cùmmu a càrtautràta, rimanendo inchiodato al suolo incapace di muoversi o gridare. Riavutosi finalmente dal terrore, indovinò subito che si trattava di un tiro mancino del diavolo, e senza più esitare, tirò fuori dalla tasca la corona del rosario, l'alzo in aria facendo tintinnare le medagliette dei misteri, e poi preso il crocefisso tra le dita, lo alzò e si mise a fare il segno della croce e con la voce ancor tremula per la paura, gridò: Si tu sj àsinu uà nnèntu ríttu, ma si sj djàulu, uatténne allu nfèrnu. L'asino fece una impennata furibonda strillando come un ossesso e poi si lanciò giù nel frattónu, la folta siepe che chiudeva la strada dove scomparve. Ingoiatasi la paura, nonno Francesco rincuorò i suoi due asini e riprese la strada per il paese. Per rendersi conto di quello che era avvenuto quella notte, il giorno dopo tornò giù a Drento per vedere se la siepe avesse qualche segno della caduta dell'asino, ma trovò tutto in ordine, nè uno spino nè una foglia staccata, cosa che lo convinse che il diavolo, nella forma di asino, era venuto a tentarlo. Non è da pensare che tutte le apparizioni provenissero dal reame delle tenebre; ce n'erano anche di quelle soffuse di luci e canti paradisiaci che bambini e vecchie spesso vedevano, come quella beatifica della Madonna che apparve a zia Luisetta la quale, allettata da anni ed incapace di muoversi, mentre parenti e comari le recitavano il rosario intorno in attesa del trapasso, si sollevò dal giaciglio e con le braccia protese verso l'alto e con gioia gridò: Jèccu a Matònna ca me s'à menùta a tolla... Accúmmu à bèlla j addurènta di fjúri! E ricaduta sul letto spirò gaudiosamente. L'elemento chiave dello arèscja era la paura dello ignoto del buio; paura che il neonato acquistava, secondo una vecchia dicerìa, quando il padrino sbagliava il Credo durante la cerimonia del battesimo. (Lat. parere).a r e s c í
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