INTRODUZIONE

A lungo sono rimasto nel dubbio se disseppellire dal sonno della memoria la tragica vicenda di Benito Lucidi. Alla fine ho optato per il si in quanto mi è sembrato giusto rileggere l’accaduto in quest’epoca in cui la non certezza della pena è l’unica certezza offerta dal sistema giudiziario italiano. Benito fu condannato all’ergastolo nel clima avvelenato del dopoguerra e, forse, sulla pesantezza della pena gravò il suo passato di Repubblichino. Durante le sue fughe non uccise nè rapinò nessuno, determinato solo a vendicarsi dei giudici che l’avevano condannato a vita senza tener conto della sua neuropsicolabilità emersa dalle perizie psichiatriche durante il suo ricovero ad Aversa. Ferma restando la condanna per il gesto criminale da lui compiuto, mi sento di affermare che anch’egli fu vittima della follia di una società che non perdonò in alcun modo quelli che avevano combattuto, in buona fede, in campo avverso. (E. Petrilli)

BENITO LUCIDI

"IL RE DELLE EVASIONI"

del prof. Ernesto Petrilli

Antonio Italo Benito Lucidi nasce a Villa Santo Stefano in via delle Ceneri 37, alle ore 11 del 1 ottobre 1923 da Augusta Iorio e da Stefano. Ormai libero da ogni debito con la giustizia, sposa Anna N. nella cittadina di Anzio dove muore il 12 ottobre 1997.

via delle Ceneri prima e dopo i lavori di ristrutturazione, la foto al centro mostra, sulla sinistra, l'ingresso della scomparsa casa del Lucidi

Benito che la madre chiamerà sempre affettuosamente Nino e che, poi, diventerà tristemente famoso come "Nino il Marinaio" frequenta le scuole elementari a Santo Stefano. E’ un ragazzo intelligente, ma molto vivace e poco motivato allo studio, tanto che viene bocciato più volte. I compagni di classe e, soprattutto le compagne, lo ricordano come la disperazione della maestra Teresa Sperandio la quale, una volta che volle punirlo, lasciandolo da solo in classe per tutto un pomeriggio, si ritrovò, il mattino successivo, con i calamai non più pieni di inchiostro nero, ma di un liquido di colore giallo paglierino.

Nel periodo della seconda guerra mondiale Benito lavora come apprendista calzolaio nella bottega di Domenico Lucarini (La Luna) al quale un giorno confida di voler andare al ponte delle Mole a sparare contro i tedeschi e gli mostra un mitra attaccato alla canna della bicicletta. Domenico si spaventa: teme conseguenze per la popolazione, lo scongiura e riesce a dissuaderlo.

In quel periodo la famiglia Lucidi è colpita da un grave lutto: il 19 ottobre 1943 la bella Milena, sorella minore di Benito, mentre sta disinnescando una bomba a mano "balilla" nella bottega del calzolaio (scarparo) Giuseppe Rossi, in vicolo della Portella 15, salta in aria.

Ada Milena Lucidi, la sorella  di Benito, tragicamente scomparsa Vicolo della Portella nr.15 (2008)

Nel 1942 Benito è un giovane soldato valoroso e decorato e quando, nell’estate - autunno del ’43, l’Italia si spezza in due, egli trovandosi nel Nord si arruola nella X Mas del comandante Junio Valerio Borghese, attiva nella Repubblica Sociale Italiana.

Mino il marinaio

La Decima Flottiglia MAS

Alla fine della guerra, va a vivere a Roma, dove la madre lavora come colf di un eminente cardiologo italiano. Cerca di arruolarsi come sott’ufficiale nella Polizia e nel Corpo delle Guardie di Custodia, ma senza esito.

Questo ambiente sociale ostile lo fa incattivire. E' un periodo di lavori saltuari. Nino abita a Torpignattara, quartiere molto popolare fra la via Casilina e la Prenestina, dove frequenta amicizie non sempre "giuste".

Nel dicembre 1946 in via Archimede, verso sera, sul portone del suo garage, l’industriale Casimiro Santiangeli durante un tentativo di rapina reagisce e riesce quasi a sopraffare uno dei rapinatori che, vistosi perduto gli esplode contro alcuni colpi di pistola. L’industriale, prima di morire riesce a strappare all’assassino un bottone dell’impermeabile con un lembo di stoffa. La rapina frutta ai banditi un anello del valore di un milione e una penna stilografica d’oro.

I commissari Iacovacci e Santillo, dopo serrate indagini nel mondo della malavita romana, riescono ad individuare nel proprietario del bottone (grazie al riconoscimento dello stesso da parte della madre) Benito Lucidi "il bandito inafferrabile" che aveva portato a segno, con alcuni complici (Silvio Pignotti, Amedeo Caponera, Pasquale Talamo e Anna Postilli), numerose rapine a mano armata. Nonostante gli assidui appostamenti il ricercato riesce ad evitare la cattura che avviene qualche mese dopo a Nervi, presso Genova, dove si era recato per espatriare in Francia e arruolarsi nella Legione Straniera, nella quale, in quel tragico periodo del dopoguerra militavano circa 6000 fuoriusciti italiani. Benito viene sorpreso da due carabinieri mentre cerca di rubare un’auto, viene riconosciuto e trasferito a Roma. Nel corso del processo che si svolge a Latina, Benito confessa l’omicidio (più tardi ritratterà affermando che con quella confessione aveva voluto scagionare delle persone innocenti).

La Corte non tiene in nessun conto le risultanze psichiatriche emerse durante il ricovero di Benito Lucidi nel manicomio criminale di Aversa e lo condanna all’ergastolo. Nel 1954 pochi giorni prima di comparire dinanzi ai giudici della Corte di Appello, Benito tenta il suicidio tagliandosi le vene dei polsi con una lametta da barba. Soccorso dalle guardie carcerarie e trasportato in infermeria viene giudicato guaribile in pochi giorni. La Corte di Appello conferma la condanna all’ergastolo. Per Benito si riaprono le porte del carcere. In attesa di destinazione Benito viene rinchiuso nella cella nr. 258 del terzo braccio del carcere romano di Regina Coeli e si ritrova in cella con Luigi Dejana che l’8 ottobre 1953 aveva compiuto una sanguinosa rapina alla miniera di Allumiere, uccidendo un operaio, e con Luigi Angelini, in attesa di essere sentito dal magistrato.

Benito ha portato con sé, nascosta nel volume "Le Religioni" della Nuova Antologia Italiana, il seghetto che gli servirà per tagliare le sbarre della cella. In pochi giorni lui e Dejana studiano un piano di fuga e il 18 febbraio del 1954 evadono calandosi con le classiche lenzuola annodate, attesi da complici fidati (fra i quali Aldo Di Palma detto Er Tedesco).

La fuga viene scoperta alle ore 6 di mattina e già dalle 7 il colonnello Giovannini, comandante della Polizia Stradale, predispone posti di blocco stradali intorno a Roma.

I due evasi vanno alla ricerca di un vecchio complice di Lucidi (er Gorilla) dal quale sperano di farsi prestare un’automobile. Si recano perciò nella sua casa in via Alba, ma er Gorilla nel vederli li liquida con poche parole "mi dispiace, ma non voglio avere noie con la Polizia" e li manda via. Il capo della squadra mobile, Dr. Magliozzi, dispone verifiche di polizia, oltrechè a Roma, anche a Villa Santo Stefano dove vivono alcuni parenti di Benito e ad Anzio cittadina di residenza del padre che interrogato dal Dr. Santillo dichiara di non sapere nulla del figlio con il quale, oltretutto, non è in buoni rapporti. Viene diramata a tutte le questure e commissariati la descrizione di Lucidi: statura leggermente bassa, colorito bruno roseo, capelli castani ondulati, viso ovale, sopracciglia curvilinee, fronte media rettilinea, occhi castani, naso rettilineo, bocca regolare.

Pochi giorni dopo i due evasi, raggiunti i Monti della Tolfa, si separano. E Lucidi in poco tempo riesce, nonostante l’incessante ricerca delle forze dell’ordine, a raggiungere Villa Santo Stefano per chiedere aiuto alla madre che, in qualche modo gli è vicina, ma che temendo per la sua vita ("la Polizia –scrivevano i giornali- ha avuto ordine di sparare a vista") decide di avvertire gli inquirenti rivelando loro l’appuntamento con il figlio all’ingresso del Cimitero Monumentale del Verano a Roma.

Il pomeriggio del 6 maggio 1954 Benito giunge davanti l’ingresso del Verano, ma la Polizia informata anche da un custode del cimitero che aveva riferito di un giovane strano che il giorno precedente gli aveva chiesto informazioni sul luogo dove si trovavano i paracadutisti della Folgore Nembo sepolti nel Verano, lo aspetta al varco.

Benito che indossa un paio di vistose scarpe gialle si avvicina al cancello del cimitero, ma viene subito immobilizzato dal maresciallo De Blasi: riesce a divincolarsi, estrae una grossa pistola di marca Ruby ed esplode numerosi colpi contro gli agenti che rispondono al fuoco. Benito colpito da due proiettili di mitra (uno al piede e l’altro alla spalla) stramazza a terra. Ammanettato, viene perquisito. Addosso ha un’altra pistola di marca Beretta con 7 colpi nel caricatore e 7 tubi di gelatina esplosiva di cui 4 già innescati e pronti ad esplodere. Pochi i soldi: 270 lire, in 5 biglietti da 50 e 2 monete da 10.

Il Garage di Santiangeli (2008) La fuga da Regina Coeli La cattura al Verano Le armi ritrovate

Colonna di granito scheggiata (2008)

Il Lucidi in una foto segnaletica

Luigi Dejana

L'arresto di Dejana

Trasportato in ospedale, alle 19 viene interrogato dal procuratore della Repubblica, Dr. Belotti. Si conclude così la sua prima fuga dopo 67 giorni di latitanza.

Il Lucidi, ferito, viene trasportato in ospedale

La tomba della Folgore Nembo al Verano

La prima pagina del Messaggero

Lucidi viene internato nel penitenziario di Santo Stefano, l’isola maledetta, detto anche di Ventotene. Da qui alle 17,00 di giovedì 17 del mese di novembre 1960 evade con Antonio Piermartini, delinquente incallito detto "il Mostro di Vignanello" che aveva ucciso il padre con 30 colpi di mitra per eliminare lo scomodo testimone di un suo precedente duplice delitto. Dopo aver segato le sbarre della finestra "a bocca di lupo" della loro cella si calano lungo 11 metri di muro e poi lungo la roccia a picco verso la piccola baia che costituisce l’unico porticciolo dell’isola. Piermartini, addetto alla lavanderia, è riuscito a procurarsi i teli necessari a mettere insieme la corda per la fuga. Sono entrambi alti 1,70 circa e indossano l’uniforme carceraria di rigato misto lana crema marrone. La direzione delle indagini per la ricerca degli evasi viene assunta dalla Procura della Repubblica di Latina che ipotizza l’aiuto esterno di un "guappo", da poco uscito di prigione, che avrebbe fatto avere ai due il seghetto utilizzato per tagliare le 8 sbarre della finestra e un piccolo battello.

Il carcere dell'isola di Santo Stefano

Dopo qualche giorno, visti i risultati deludenti delle ricerche, viene posta una taglia di 5 milioni di lire a favore di chi fornirà indicazioni utili per la cattura dei banditi. I due evasi raggiungono l’isola di Ischia e da lì la terraferma. Piermartini viene arrestato, sulla via Domiziana il 5 dicembre, dopo 17 giorni di latitanza. E’stanco ed affamato e durante l’interrogatorio grida "Lucidi è diavolo, non lo prenderete mai!"

La fuga di Lucidi va avanti fino al 29 dicembre. Quel giorno si trova in via Ottaviano a Roma, entra in un negozio di abbigliamento, acquista un maglione a collo alto con chiusura lampo laterale, un paio di pantaloni, un impermeabile blu e un cappello di feltro. Va nello spogliatoio si cambia, quindi esce e si dirige verso via degli Scipioni dove viene raggiunto da un ragazzo (E. A. F.) che gli consegna un pacchetto. I due si salutano e Lucidi si reca in via Silla 38, una bottiglieria, dove beve un bicchiere di vino bianco. Esce e a questo punto i commissari Pupa e Scirè gli saltano addosso ammanettandolo. La sorpresa è tale che Benito non riesce neppure a fare il gesto di difendersi, ma e ancora capace di fare dello spirito: "Questa volta avete vinto voi, ma abbassate quelle pistole potrebbe succedere qualche incidente. Non bisogna mai scherzare con le armi: sono pericolose." 25 poliziotti lo scortano alla macchina che lo conduce in questura. Durante l’interrogatorio ammette di trovarsi a Roma già da 15 giorni "mimetizzato con un paio di occhiali da sole". Il giorno 16 si era procurato delle foto tessera per un passaporto falso. Alla fine escalma "mi avete preso troppo presto … un’altra settimana e sarei stato al sicuro. Qualcuno mi ha tradito anche questa volta, ma questo piccolo giuda me la pagherà!" Gli viene offerto un intero pacchetto di sigarette e tutto contento dice "Più che all'ergastolo non potete mettermi..."

La fuga con il "Mostro di Vignanello" Le versioni sulla fuga di Piermartini e della Polizia Via Silla dopo l'arresto
Gli arnesi da scasso ritrovati Il Lucidi al processo Il padre di Benito, Stefano, interrogato dal giudice

Dopo il processo Lucidi viene trasferito nel carcere dell’isola di Pianosa. Per 5 anni Benito sconta la sua pena con la più grande tranquillità, è disciplinato e si tiene lontano dai guai. Sembra ormai domato e invece il suo spirito ribelle lo porta a sottrarre dall’officina del carcere alcune camere d’aria con le quali, dopo averle gonfiate, alle 21,30 del 28 agosto 1965 si cala in acqua cercando di allontanarsi il più velocemente possibile dall’isola. La fuga viene scoperta quasi subito, ma il buio ostacola le ricerche condotte con motoscafi e motovedette.

Il Messaggero sulla fuga di Pianosa Il penitenziario di Porto Azzurro nell’isola d’Elba (ex Portolongone) Benito Lucidi (1923 - 1997)

All’alba viene catturato a circa un chilometro dall’isola: il gioco dei venti e delle correnti sfavorevoli lo ha tradito impedendogli di concretizzare il suo sogno di libertà. Viene trasferito nel penitenziario di Porto Azzurro nell’isola d’Elba (ex Portolongone) dove per alcuni anni vive recluso in una cella davvero spartana disponendo infatti solo della brandina, come testimonia Fra Lupo, al secolo Beppe Frioli, che lo visita in quel periodo.

La sua disavventura giudiziaria si conclude nel 1985 anno in cui tornerà a Villa Santo Stefano prima di trasferirsi definitivamente ad Anzio.

up. 7 luglio 2008

di Ernesto Petrilli con la collaborazione di Marco Felici & Enzo Iorio  - www.villasantostefano.com

 
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Benito Lucidi "il re delle evasioni" 7 lug.2008
"32 anni, 11 mesi e 20 giorni di onorata galera". Benito Lucidi 9 dic. 2008
15 gennaio 1961 articolo sulla "Domenica del Corriere" di Indro Montanelli 9 dic. 2008
La testimonianza di frate Beppe Priolli: "Fra' Lupo" 9 dic. 2008
 
VillaNews

Benito Lucidi, una vita spericolata per il "re delle evasioni"  7 lug.2008

 

www.villasantostefano.com

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