GIUSEPPE LUZI
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Un carcerato siciliano, Raffaele Moschitto in galera per l’uccisione di un’ufficiale, riesce ad evadere durante il periodo di sorveglianza prestato da Peppe, viene catturato e trasferito al carcere dell’isola di Pianosa, colonia agricola. Raffaele Moschitto riesce a scappare di nuovo, Peppe sempre in servizio presso l’isola dell’Asinara, ne viene a conoscenza, e si propone, nel suo interno, di riuscire a catturarlo. Un giorno, vestito in borghese, Peppe che si trovava in licenza a Sassari, vede costui in divisa da sergente che passeggiava lungo il Corso Vittorio Emanuele. Lo rincorre, e una volta raggiuntolo gli chiede spiegazioni, l’uomo nega d’essere l’evaso Raffaele Moschitto. Improvvisamente fugge di corsa, Peppe subito lo insegue, afferratolo lo trascina a terra, nasce una violenta colluttazione, la gente accorsa faceva capannello intorno. Peppe riesce ad immobilizzarlo, lo trascina ad una vicina stazione dei carabinieri, e commette un grave errore: il comandante della caserma si prende il merito materiale della cattura, la carriera di Peppe avrebbe avuto un salto di qualità qualora fosse accaduto il contrario. Tempo dopo, accertata l’esatta dinamica dell’episodio, Peppe riceve la decorazione: una medaglia d’argento al merito di servizio. Riceve anche una lode solenne che recita: ha affrontato e catturato da solo l’evaso Raffaele Moschitto, fornendo prova d’abilità e coraggio.
Nel 1948, Peppe si avvicina a casa, viene trasferito nelle carceri giudiziarie di Latina, vi rimane un anno. Nel 1949, giunge alla carceri di Regina Coeli a Roma per un anno. Nel 1950, viene destinato alla colonia agricola del carcere di Rebibbia a Roma. Dopo qualche anno, viene trasferito alla Casa di rieducazione di Porta Portese, specializzata nella rieducazione dei minori. Vi resta per diciotto mesi, scelto tra oltre centocinquanta agenti di custodia, per la sua riconosciuta capacità di riabilitare. Il Direttore della Casa di rieducazione di Porta Portese, insospettito dal fatto che Peppe fosse l’unico non raccomandato in servizio, lo teneva costantemente sotto scrupolosa e rigida osservazione.
Passato qualche mese, il Direttore chiede il trasferimento di Peppe a Regina Coeli, perché lo riteneva non idoneo per il servizio specifico di rieducazione dei minori, ma piuttosto adatto per la sorveglianza dei peggiori delinquenti. Una relazione negativa che infangava l’immagine e la correttezza morale dell’agente Giuseppe Luzi. Peppe rifiuta il trasferimento a Regina Coeli e ritorna a Rebibbia.
Conosce il professor Leccioni, direttore generale di sanità del carcere, che riconosce l’infondatezza delle pessime informazioni personali riguardanti Peppe. Sono riconosciute la capacità di Luzi che è totalmente riabilitato dal prof. Leccioni, il quale gli chiede a quale compito destinarlo. Peppe sceglie di fare il capoposto nell’ufficio carcerario di Rebibbia. Memore di quanto gli era accaduto, Peppe invia un verbale di denuncia indirizzato al capo del personale del Ministero di Grazia e Giustizia, Dottor Menervini, sollecitando un’indagine ispettiva per la cattiva gestione dell’Istituto di Rieducazione di Porta Portese. Accusava d’associazione per delinquere il Direttore responsabile Bonamano, e tutta la sua "cricca" di correità.
L’indagine accerta che l’atto accusatorio di Peppe, era fondato. Il Direttore Bonamano, e i suoi collaboratori, sono trasferiti al carcere di Civitavecchia. Peppe ottiene piena soddisfazione: materiale e morale. Luzi resta al carcere di Rebibbia, fino al 1956. Dal 1956 e fino al 1966 è trasferito al carcere di Velletri, dove svolge la mansione di capoposto nell’Ufficio Conti Correnti, occupandosi di servizi di ragioneria: registrava l’entrata dei viveri. Peppe ottiene il foglio di congedo il 20/09/1966, finalmente arriva alla meritata pensione.
I racconti di Giuseppe Luzi:
Morire per un fagiolo | Amore per gli animali | Repubblicano e socialista
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