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La più importante delle chiese di campagna nel territorio di S. Stefano, sia dal punto di vista storico-sociale che di quello artistico, fu e rimase fino a molti decenni addietro quella di S. Giovanni. I ruderi di questa antichissima costruzione folti di edere, con le navate invase da rovi ed arbusti, le sinopie di santi e madonne che guardano con le occhiaie vuote dalle mura sbiancate dalla pioggia sono malinconici testimoni dell'ignoranza e dell'incuranza locale.
Essi coprono tuttora il più antico sito sacro del territorio di S. Stefano, dove già in tempi antichissimi le genti che abitavano i colli e le valli sottostanti avevano eretto un santuario per l'officiatura dei loro riti lustrali e che poi con l'allargarsi dei rapporti civili e sociali tra loro divenne luogo per i raduni della comunità pagense che si era formata durante il tempo di Roma. Data la lentezza del processo sincretistico, specie nelle campagne, non è facile stabilire quando il santuario venne ridedicato al culto cristitano, ma ciò dovette verificarsi verso il sesto secolo, quando gli enti fondiari ecclesiastici dell'agro pontino dettero il via alla colonizzazione della valle dell'Amaseno. L'accettazione della nuova religione non comportava, al livello di popolo, l'abbandono di quelle credenze e riti comuni al patrimonio religioso di vari popoli, e che in effetti vennero utilizzati per agevolare la transizione dall'antica alla nuova fede; e le pozze nel tufo che raccoglievano l'acqua sorgiva, prima che scorresse ad irrigare le valli, usate nel passato per la lustrazione di uomini ed animali, venne riconsacrata come fonte battesimale per i catecumeni anche con il rito ad immersione ancora in uso nella Chiesa latina in quei tempi. Che come luogo di battesimi il santuario venisse intitolato a San Giovanni Battista, sembra perfettamente logico. Più tardi però, forse per l'influenza di monaci greci sfuggiti alla persecuzione iconoclastica che si stabilirono nelle vicinanze, il santuario venne ridedicato all'Evangelista Giovanni, dedica rimasta in effetti sino ai nostri giorni, ma non senza una certa confusione. La chiesa di S. Giovanni è composta infatti di due chiese diverse per il tempo che vennero erette e stile: quella grande, cioè la chiesa originale sorta sul santuario pagano e dedicata all'Evangelista, e l'altra più cappella che chiesa eretta nel Quattrocento come estensione laterale dell'altra, intitolata al Battista. Il perimetro della mura che racchiudeva queste due chiese si alza ancora al margine della « valle di Sancto loanni » al di sopra della fontana omonima, ora solo abbeveratoio per bufali, dove fino agli anni '50 e '60, a fine giugno, giovanotti e ragazze si recavano a farsi compari e comare S. Giovanni. All'interno rimanevano ancora imponenti le solide arcate che dividevano la chiesa dalla navata della cappella, con gli affreschi ancora in buono stato, specie nella cappella. La chiesa dell'Evangelista venne rifatta, più ampia, verso la fine del Millecento probabilmente per interessamento del conte Giovanni di Ceccano, e fu restaurata varie volte attraverso i secoli; verso la fine del Trecento quando era ancora chiesa unica, per un lascito del conte Giacomo di Ceccano, e l'ultima volta nell'Ottocento. L'architettura è quella comune ad una navata con tetto a capanna, ma la facciata rivela un'attenzione, da parte dei mastri muratori, allo stile romanico, com'era evidente nel portale con lunetta e l'occhio che originalmente doveva contenere un rosone lavorato. Quando si venne a costruire la cappella del Battista con la navata di accesso, la facciata fu prolungata con l'aggiunta di un altro porta'le più piccolo, che se la rese asimmetrica, non mancava di una certa grazia, con il lungo spiovente che correva incontro al declivio del prato; intonacata varie volte ed affrescata nella parte inferiore, porta ancora qualche traccia di dipinto. Al lato del portale grande, la sinopia di un santo in dalmatica, forse S. Stefano, il capo aurolato, fìssa con lo sguardo che sembra provenire dalla profondità dei secoli chi entra. All'interno, prima che crollassero le capriate, la moltitudine delle immagini sui muri nelle quali gli artisti trecenteschi avevano ritratto le sembianze di gente del paese guardavano ancora le ultime generazioni venute a pregare. II crollo del tetto nel secondo decennio del corrente secolo causò completa rovina agli affreschi già deteriorati per l'umidità. L'altare dell'Evangelista era addossato al muro di fondo del presbiterio, e sotto di esso era una cripta, forse parte dell'antico santuario ma più probabilmente una tomba per i monaci e gli eremiti che si aggregavano al santuario. Ai lati dell'altare sono ancora vagamente riconoscibili due gruppi di affreschi: il Salvatore con la Vergine in trono in cornu evangeli, e la Crocefissione con S. Giovanni e le Pie Donne in cornu epistolae. Sopra l'altare doveva esserci un grande affresco di Giovanni Evangelista, al quale venne sovraimposta nel Seicento, in una grossa cornice di stucco, una tela ad olio che testimonia la prevalente confusione agiografica; in essa era rappresentata con crudo realismo la Salomé che teneva in mano per i capelli la testa del Battista dagli occhi spiritati e grondante sangue, causa d'infiniti incubi a generazioni di ragazzi; questa tela che, stracciata e scolorita penzolò dal muro fino a tempi recenti, veniva ritenuta dal popolo, con altrettanta ambivalenza di storia sacra, una rappresentazione di Giuditta con la testa d'Oloferne. Gli affreschi del muro laterale e di quello d'entrata erano talmente rovinati da lasciar vedere solo tracce di colori, qualche aureola e dei panneggi. Ora quasi tutto è scomparso. Scesa la predella dell'altare, immediatamente sulla parete a mano sinistra, si apre una porticina che porta alla cappella gotica adiacente. Una lapide sopra l'architrave, ora scomparsa, racconta l'origine di questo gioiello di arte ben conservato fino a pochi decenni addietro con gli affreschi ancor vividi, ed il bell'arco a sesto acuto, ora crollato. La lapide, che era ancora sull'architrave nel 1960, è stata rimossa ed asportata da ignoti. Il testodiceva: Questa cappella venne fatta costruire da Pietro Boccanappi unitamente alla consorte Jacobella dedicata alla gloria di Dio ed in onore del beato Giovanni Battista per la salute delle anime loro e di quelle dei loro parenti morti, che riposino in pace Amen. Nell'anno del Signore 1439, indizione seconda. Nicola di Andrea e Nicola di Donato fecero il lavoro. Che sia benedetto Cristo, e così sia (1). Chi sia stato questo Pietro Boccanappi non sappiamo; fu probabilmente originario di Roma, come sembra indicare il nome, stabilitesi nel castrum S. Stefani con mansioni amministrative dove prese moglie; il nome Jacobella era ancora comune in paese nel Cinquecento. Che fosse persona facoltosa ce lo dice questa costruzione che egli intendeva probabilmente come cappella con tomba di famiglia. Fu solo in un secondo tempo che venne deciso di integrarne la struttura in quella della chiesa preesistente, provvedendola di una navata di accesso, aperta attraverso archi a sesto rialzato, alla chiesa grande, ampliandone lo spazio.
Da questa navata, che come s'è detto aveva un suo portale minore nella facciata appositamente prolungata, si accedeva per un grande arco a sesto acuto alla cappella, che nella sua identità artistica non aveva alcun rapporto con il resto della struttura. Nel breve spazio delimitato dalle vele che scendevano dalla volta a crociera gotica, tutta una folla di figure di santi e di personaggi della storia sacra si affacciavano fino a pochi anni fa dai frammenti d'intonaco quasi volessero aiutare il visitatore a dare un significato al tragitto umano tra passato e presente, a quello personale della vita, alla morte ed oltre. Sopra l'altare, contro il muro di fondo, si alzava la figura, quasi di dimensioni naturali, del Battista rivestito di una tunica e mantello che reggeva nelle mani il vassoio, pronto al sacrificio per la sua fede. Alla sua destra, in alto, nella sala dei festini alla presenza di Erode, Erodiade e molti convitati, Salomé danzava per ammaliare il re onde ottenere la testa del santo, mentre al di sotto, in un ambiente cittadino con alti edifici, era in progresso la strage degli Innocenti. Alla sinistra, dall'alto della volta, due angeli si lanciavano annunciando con le loro trombe la resurrezione della carne alle tombe in basso, che si andavano scoperchiando con i morti che si destavano sbigottiti. Ai piedi di S. Giovanni, al livello dell'altare, in cornu evangeli, tre figurine in miniatura, cappa scura su tunica bianca, con e mani giunte, si volgevano in venerazione verso il santo; la prima di questa, con barba ed aureolata, portava un bastone con una bisaccia con il segno di un pal-metta a sei foglie, forse S. Antonio Abate, mentre le altre due figure, senza barba e con il capo raso, sembrano uscite dalle mani di un artista copto. La cappella, che si apriva sulla navata con il bell'arco a ogiva, aveva tutta una sua unità di concezione artistica e religiosa. Lo stile degli affreschi nelle due chiese ben visibili fino agli anni Venti-Trenta si richiamavano all'arte di Antonio di Alatri; in particolare quello del Salvatore con la Vergine, al lato dell'altare della chiesa maggiore, le cui sembianze riconducevano al suo trittico nella chiesa di S. Maria Maggiore di Alatri, mentre la figura slanciata del S. Giovanni sopra l'altare della cappella gotica sembra rifarsi al S. Sebastiano del Trittico. Data l'influenza di questo artista sui pittori che lavoravano nel Basso Lazio durante la prima metà del secolo XV, è probabile che gli affreschi delle due chiese di S. Giovanni siano opera sua o della sua bottega. Data la sua posizione esposta e lontana dal paese, la chiesa di S. Giovanni fu soggetta alle intemperie e alla devastazione di bande armate, e venne abbandonata più di qualche volta. Così la trovò il vescovo Calassi nell'autunno del 1585: « Fuori della città si trovava anche la chiesa di S. Giovanni, con due navate e due altari, uno per navata. Un altare era dedicato a S. Giovanni ed aveva un'immagine dipinta sul muro del Santo titolare. Vicino a questa chiesa abitava, in una camera sordida ed indecente, un eremita dell'ordine di S. Paolo. Il reddito della chiesa ammontava a 25 scudi in frumento, vino, lino. Vi si celebravano 4 messe l'anno; nella festa di San Giovanni Battista, vi si cantava la messa ed il vespero. In tale giorno si svolgeva presso questa chiesa un mercato. Durante il restauro dell'altare maggiore erano state trovate delle reliquie, trasferite, senza licenza dell'ordinario, a Giuliano », ed il vescovo ordinò ai giulianesi di restituirle alla chiesa (2). La chiesa venne restaurata varie volte; un importante restauro si fece in seguito al lascito testamentario del 1363 fatto dal conte Giacomo di Ceccano già ricordato; questi lavori si riferivano solo alla chiesa, dato che la cappella gotica non era ancora stata edificata. Gli ultimi lavori di ripristino vennero fatti nel 1866 quando la chiesa «e specialmente il tetto (era) ridotto a tale stato, che se non vi si provvede presto, rovina». L'arciprete Rocco Ventura ed il Capitolo, ricevuta l'autorizzazione dal vescovo mons. Gesualdo Vitali di vendere alcuni « censi capitolari », affidò i lavori al mastro muratore Carlo Buzzolini. La chiesa stessa era ancora in ottime condizioni, il guasto era nel tetto «prodotto dai ragazzi, che in diverse epoche dell'anno, e specialmente nel giorno antecedente e susseguente alla sua festività (di S. Giovanni Battista), vi salgono per suonare la campana »; e perciò il beneficiato rev. Luigi Maria Bonomi in una seduta del Capitolo nel settembre del 1866 proponeva di «toglierla effettivamente dal campanile di essa chiesa, straportarla nel campanile di questa chiesa madre ... a supplire alla mancanza della campanella ... (per) togliere l'occasione di salire sul tetto della chiesa rurale di S. Giovanni Battista. Perché in quella chiesa non manchi il mezzo di invocare i circostanti contadini alla messa, ogni qualvolta vi si andrà a celebrare, sarei di subordinato parere di togliere la campanella nel piccolo campaniletto della chiesa di S. Antonio Abbate, in oggi sospesa, e portarla nella chiesa di S. Giovanni Battista e situarla, non sopra il tetto, ma dentro l'occhialone della facciata collo spaco di dentro e così rimuova ogni danno che per la campana veniva causato nel tetto della chiesa ». Il Buzzolini completò i lavori per la fine di ottobre rifacendo tutto il tetto, restaurando il campanile ed il portale grande, facendo tutti i lavori di muratura e falegnameria, ripulendo ed imbiancando tutto l'interno della chiesa (3). Il lavoro si riferiva essenzialmente alla chiesa maggiore; la cappella gotica rimaneva ancora in ottime condizioni. La chiesa continuò ad essere officiata per la festa del Battista (4) fino ai primi decenni del 1900 quando, dopo la messa mattutina, al suono della campanella s'iniziava la mietitura. Negli anni Venti, il tetto era nuovamente in rovina, ma la chiesa rimaneva meta di gruppi di giovani d'ambo i sessi, scortati dalle nonne, che inghirlandati di vitalba, si recavano il giorno della festa del santo per i riti di comparatico di S. Giovanni. Nella chiesa maggiore, e più ancora nella cappella gotica, erano ancora distintamente riconoscibili quasi tutti i lavori di pittura; la tela dell'altare maggiore, detta di Giuditta ed Oloferne, staccatasi in parte dal muro, penzolava, e quando una piccola brezza la muoveva, il capo sanguinolento del Battista in mano a Salomé, con i suoi occhi spiratati, sembrava ravvivarsi e metteva i brividi agli astanti e faceva scappare i ragazzi impauriti. Venduta dai Colonna, che ne avevano acquisito il giuspatronato una volta dei conti di Ceccano, la chiesa è passata di male in peggio; e fino al dopoguerra si sarebbe potuto conservare questo gioiello dell'arte locale, ma lo si è lasciato andare alla malora irrimediabilmente. (*)
(1) Traduzione della professoressa Biancamaria Valeri di Ferentino. CAPPELLAM ISTAM FIERI FECIT PETRVS BOOCANAPPI CVUM lACOBELLA VSSORI SVA PRO DEO ET AD HONOREM BEATI IOANNI BATTISTE AC ANIMARVM EORVM ET MORTVORUM FORUM. QUI REQVIESCANT IN PACE AMEN. SVB ANNO DOMINI MCCCCXXXVIIII S/ECVND/A INDICTIONE NEC/O/LAVS AND/R/E ET NIC/O/LAVS DO/N/A/T/I FE/CE/RV/NT O/PERA/. CHRISTE BENIDICATUR AMEN. (2) Biancamaria Valeri, « Il frusinate Silvio Galassi e la sua visita nella valle del Sacco (1585), Lunario romano 1980, Roma 1980, 691-92. Un appunto monografico sulla chiesa di S. Giovanni è stato curato per il Gruppo archeologico volsco da Carlo Criistofanilli, La chiesa di S. Giovanni in silva matrice, Ceccano 1975. E' da notare che il testo erra quando dice che la cappella gotica venne costruita in seguito al lascito del 1363 fatto dal conte Giacomo di Ceccano. Contrariamente a quanto si legge nel testo, l'architrave del portale grande non venne colpito da una granata durante la guerra, ma è crollato in seguito, come è visibile da foto fatte nel 1950 dall'autore. (3) APVSS/Sed. Oapit., dove si trova il preventivo dei lavori. (4) 24 giugno Natività di San Giovanni Battista (*) APPUNTI A minima e parziale scusante deve essere ricordato che negli anni successivi la Seconda Guerra Mondiale, c'è stato un continuo abbandono del territorio santostefanese a causa di un'altra forte ondata di migranti verso le lontane Americhe e le grandi città, per fuggire dalla miseria e in cerca di una migliore qualità della vita e, purtroppo, chi era preposto alla salvaguardia della chiesa, autorità e proprietari, avevano altro a cui pensare. Del resto non sappiamo ancora come e quando la chiesa fosse stata abbandonata e sconsacrata con il successivo cambio di proprietà. Quello che resta certo e che in meno di 30 anni due luoghi sacri e millenari, San Giovanni e La Madonna della Neve, cessarono di esistere e le storiche pietre furono riutilizzate in nuove costruzioni anche ecclesiastiche! Speriamo, a questo punto, che quello che resta venga salvaguardato al più presto, ma, forse, è troppo tardi!
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up. 5.5.2008 - agg. 27.5.2008 - agg. 6.10.2008
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